Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-05-2012, n. 8745

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 5 ottobre 2004 il Tribunale di Bari sezione distaccata di Bitonto accoglieva la domanda con la quale S. V. aveva chiesto l’annullamento del contratto preliminare, stipulato con il promittente venditore M.A., per errore sulle caratteristiche del terreno promesso in vendita, condannando il convenuto alla restituzione della somma di L. 100.000.000 versata a titolo di caparra confirmatoria; rigettava la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento e di condanna al pagamento della penale di L. 70.000.000 formulata dal M..

Il Giudice di primo grado annullava il contratto sul rilievo che l’attore ignorava che l’immobile, ricadente in zona destinata ad attività industriale, era stato inserito nel piano per insediamenti produttivi.

Con sentenza dep. il 14 dicembre 2009 la Corte di appello di Bari, in riforma della decisione impugnata dal convenuto, rigettava la domanda proposta dal S. e, in accoglimento della riconvenzionale, pronunciava la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore che condannava al pagamento della penale di L. 70.000.000.

I Giudici, nell’escludere l’esistenza di un errore sulle qualità del bene promesso in vendita rilevante ai sensi dell’art. 1429 cod. civ., n. 2, ritenevano che l’inserimento del terreno nel piano per insediamenti produttivi non ne aveva mutato la destinazione urbanistica e, non implicandone l’espropriazione, non comportava l’inutilizzabilità del bene; in ogni caso, l’attore non aveva provato che l’errore sarebbe stato determinante del consenso ovvero che non avrebbe stipulato l’atto ove avesse saputo dell’inserimento del terreno nel piano per insediamenti produttivi.

La domanda di risoluzione proposta dal convenuto era accolta sul rilievo che era risultato ingiustificato il rifiuto dell’attore di adempiere nel termine pattuito, mentre era ritenuta inammissibile, perchè proposta per la prima volta in appello, la domanda di recesso e di ritenzione della caparra dal medesimo formulata.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S. V. sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso l’intimato.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1.1. – il primo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, deduce, alla stregua della domanda proposta dall’attore e di quella riconvenzionale, l’erronea interpretazione del quantum devolutum.

Erroneamente il convenuto aveva chiesto l’autorizzazione a trattenere la somma di L. 70.000.000 che affermava già incassata a titolo di penale, confondendola con la somma di L. 100.000.000 versata a titolo di caparra confirmatoria; essendo stata chiesta la risoluzione del contratto, in discussione non era l’adempimento specifico ma l’imputabilità della non esecuzione o della risoluzione del contratto.

Mentre nel giudizio di primo grado si era prescelto il criterio dell’annullamento del contratto, in sede di appello si era resuscitata l’indagine circa la responsabilità delle parti nella risoluzione del contratto ma si era esaminata solo quella del S..

1.2.- Il secondo motivo, lamentando contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata laddove, dopo avere correttamente dichiarato inammissibile la domanda di recesso e di ritenzione della caparra di cui all’art. 1385 cod. civ., aveva accolto la domanda di pagamento della penale, proposta in appello in via subordinata; denuncia l’errore consistito nella non applicabilità dell’art. 1385 cod. civ., comma 2, alla ipotesi di recesso con penale di cui all’art. 1386 cod. civ., prevista come corrispettivo del recesso, quando nella specie non era stato pattuito il recesso e la clausola penale era stata prevista solo in caso di inadempienza.

Una volta che con l’appello il convenuto aveva dichiarato di sostituirla con la domanda di recesso, doveva considerarsi inammissibile la domanda originariamente proposta.

1.3. – Il terzo motivo, lamentando insufficienza della motivazione, censura la sentenza laddove aveva negato rilevanza all’inserimento del terreno de quo nel p.i.p., ritenendo così inutile l’indagine sulla conoscibilità o meno di tale circostanza, che invece sarebbe stato necessario verificare per stabilire a quale delle parti addebitare l’inadempienza. La mancanza di motivazione aggravava l’errore di ritenere ammissibile l’appello in ordine alla valutazione dell’inadempienza come causa di risoluzione, la cui valutazione doveva ormai ritenersi preclusa.

1.4.- Il quarto motivo, lamentando omessa motivazione, deduce che i Giudici di appello avevano deliberatamente ignorato quanto risultante dagli atti ed accertato dal Tribunale ovvero che le parti non conoscevano la circostanza dell’esproprio, sicchè entrambe potevano ritenersi in errore e, quindi, non era rilevante addebitare all’una o all’altra un comportamento di inadempienza: la sentenza non aveva compiuto alcuna indagine sulla condotta tenuta dai contraenti ed era incorsa in errore laddove aveva ritenuto irrilevante sotto il profilo del vizio di cui all’art. 1429 cod. civ., la circostanza dell’esproprio che era idonea a indurre in errore.

1.5.- Il quinto motivo, lamentando insufficienza e contraddittorietà della motivazione, censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che il S. non avesse offerto la prova che non avrebbe stipulato il contratto ove avesse saputo dell’inserimento del terreno de quo nel p.i.p.; posto che non vi era contrasto circa la risoluzione del contratto, non vi era alcun onere a carico dell’attore di giustificare tale risoluzione, mentre erano equivalenti gli oneri al riguardo posti a carico delle parti e ciò peraltro assumeva rilievo al limitato fine della penale, posto che – una volta pronunciata la risoluzione – non era più in contestazione la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria. D’altra parte, non erano stati rilevati gli obblighi che sono in primo luogo a carico del proprietario venditore di acquisire le informazioni e le dichiarazioni circa la qualità e l’uso del terreno.

1.6.- Il sesto motivo, lamentando contraddittorietà della motivazione, denuncia che, anche nell’ipotesi di responsabilità dell’attore, la risoluzione avrebbe comportato la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria e la compensazione di tale importo con quello dovuto a titolo di penale, tenuto conto che sul diritto alla restituzione si era formata la cosa giudicata.

1.7. – I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – vanno accolti nei limiti di quanto si dirà infra.

Occorre premettere che la domanda proposta dall’attore aveva a oggetto l’annullamento per errore del contratto preliminare e la conseguente restituzione della caparra di L. 100.000.000 che era stata versata.

La Corte, riformando la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda di annullamento del contratto, ha escluso che ricorressero i presupposti di cui all’art. 1429 cod. civ., e, una volta accertata la sua validità, ha esaminato la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento proposta in primo grado dal convenuto, il quale aveva chiesto anche il pagamento della pattuita penale: avendo ritenuto infondate le ragioni dedotte per giustificare il rifiuto di adempiere (l’esistenza dell’errore denunciato), ha pronunciato la risoluzione per inadempimento dell’attore, che ha condannato al pagamento della somma di L. 70.000.000 (che era stata pattuita a titolo di penale).

Nessuna violazione processuale è al riguardo riscontrabile, posto che, a seguito della riforma della decisione di primo grado, la Corte era investita della decisione della riconvenzionale e dei presupposti su cui questa si basava e fondava.

Va qui chiarito che la sentenza, dichiarata inammissibile la domanda di recesso ex art. 1385 cod. civ. e di ritenzione della caparra perchè proposta per la prima volta in appello, ha accolto – come si è già detto – la domanda di pagamento della pattuita penale che era stata proposta in primo grado e che, sia pure in via subordinata, era stata riproposta anche con le conclusioni dell’atto di appello:

dunque la stessa – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – non poteva considerarsi rinunciata o sostituita da quella di cui all’art. 1385 citato e doveva pertanto essere presa in esame.

Ciò premesso, le censure appaiono meritevoli di accoglimento laddove la sentenza, nel respingere la domanda di annullamento del contratto preliminare, ha escluso l’errore sulle qualità del terreno che l’attore aveva posto a base della domanda formulata ai sensi dell’art. 1429 cod. civ.: i Giudici hanno al riguardo ritenuto che l’inserimento del terreno de quo nel piano per gli insediamenti produttivi non aveva mutato la destinazione urbanistica del bene, non comportando la espropriabilità e quindi la inutilizzabilità invocata dal S..

Orbene, va considerato che: a) che l’inserimento del terreno de quo nel piano per gli insediamenti produttivi era avvenuto in epoca anteriore alla conclusione del preliminare; b) il venditore aveva garantito la libertà del fondo da ogni vincolo.

Al riguardo, occorre premettere che l’inserimento del terreno de quo nel piano per gli insediamenti produttivi comporta il vincolo preordinato all’espropriazione. Allora, l’indagine circa la sussistenza di un errore essenziale e riconoscibile in cui sarebbe incorso il promissario acquirente andava condotta tenendo conto, da un lato, del comportamento del promittente venditore – il quale, come detto, aveva garantito l’assenza di vincoli – e, d’altra parte, della condizione del fondo e delle sue concrete possibilità di sfruttamento, che erano condizionate dalla presenza attuale del vincolo preordinato all’espropriazione – che evidentemente ne riduce il valore commerciale -la cui esistenza poteva essere legittimamente ignorata dall’acquirente, proprio perchè tratto in errore dalla dichiarazione del venditore.

La motivazione della sentenza impugnata è sotto il profilo esaminato del tutto carente, in quanto i Giudici non hanno in alcun modo preso in esame nè la dichiarazione di libertà del fondo formulata nel contratto dal venditore nè che l’ inserimento del terreno nel p.i.p. era avvenuto già al momento della conclusione del contratto.

Le censure circa i presupposti relativi alla risoluzione del contratto e all’inadempimento nonchè alle conseguenze da essa derivanti sono assorbite, posto che le affermazioni e le statuizioni in proposito formulate dai Giudici sono necessariamente travolte per effetto di quanto si è detto a proposito dell’errore invocato dall’attore.

La sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di quanto in motivazione cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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