Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-05-2012, n. 8744

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 1.4.99, P.G. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Barcellona P.G., sez. dist. di Lipari, C.S. chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 46.524.010, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, a titolo di saldo del corrispettivo (pari a complessive L. 95.524.010), per lavori di falegnameria eseguiti su incarico del convenuto.

Questi costituitosi in giudizio assumeva che il corrispettivo delle opere era stato convenuto nel minore importo di L. 70.000.000, interamente corrisposto in parte con assegni ed in parte in contanti.

Con sentenza 15.7.03 il Tribunale accoglieva la domanda dell’attore, condannando il C. al pagamento della somma richiesta oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge dal 5.6.95, data di emissione della fattura relativa ai lavori in questione; condannava il convenuto al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale sentenza il C. proponeva appello cui resisteva il P..

Con sentenza depositata il 1.4.2008 la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava non dovuta la rivalutazione monetaria sulla somma di L. 46.524;

attribuiva su tale somma gli interessi legali dal 22.10.96 e cioè dal primo atto di messa in mora mediante lett. racc. in pari data;

rideterminava in un minore importo le spese processuali del giudizio di primo grado e condannava il C. a rimborsare al P. la metà delle spese del giudizio di appello, compensando fra le parti la residua metà; respingeva il primo motivo di appello (sulla mancata prova del credito azionato), osservando che sebbene non vi fosse prova diretta del corrispettivo convenuto fra le parti per i lavori in questione, essendo inidonea al riguardo la fattura n. 4/95 in quanto atto unilaterale di parte, tuttavia il corrispettivo preteso dal P. poteva presumersi, ai sensi dell’art. 2729 c.c., in base al comportamento ante causam del C.. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il C. formulando due motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2225, 2697 e 2729 c.c. nonchè dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto provato il residuo credito del P. sulla base di presunzioni riferite genericamente al comportamento ante causam del C. ed, in particolare, al fatto che quest’ultimo: a) non aveva preteso, dopo l’ultimo versamento di L. 10.000.000 del 30.10.1995, la quietanza a saldo; b) non aveva riscontrato le due lettere raccomandate del 22.10.96 e del 2.2.99 inviategli dal P.; la Corte di merito aveva, sostanzialmente, esonerato il P. dall’onere su di lui incombente di provare, ex art. 2697 c.c., il fondamento della sua pretesa, dovendosi escludere il ricorso del Giudice a presunzioni in mancanza di tale prova;

2) omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; la Corte d’Appello aveva omesso di motivare sulla ricorrenza dei requisiti di ammissibilità delle presunzioni, non avendo indicato il "fatto noto" da cui desumere il "fatto ignoto" e cioè l’entità del corrispettivo dovuto all’attore;

da detto comportamento ante causam tenuto dal C. non era, quindi, desumibile la sussistenza del credito vantato dal P., trattandosi di comportamento "di per sè neutro,determinato dai rapporti di affidamento e di fiducia fino all’epoca intercorrenti tra le parti".

Osserva il Collegio:

i motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto connessi tra di loro.

La Corte di merito ha desunto l’entità del corrispettivo dovuto all’attore facendo ricorso ad elementi presuntivi, non considerando che, ai sensi dell’art. 2729 c.c., non può farsi ricorso alle presunzioni, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste da tale disposizione, richiedente la prova di circostanze di fatto gravi, precise e concordanti da cui desumere la congruità del corrispettivo esposto in fattura e richiesto dal P..

Com’è noto, per la configurabilità di una presunzione giuridicamente valida, si richiede che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto, secondo canoni di probabilità rapportati ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti; nel caso di specie la Corte di merito ha omesso di indicare il "fatto noto" da cui avrebbe dedotto il fatto "ignoto" e cioè l’importo del corrispettivo dovuto all’attore, desumendo l’importo stesso con motivazione inadeguata, dal "comportamento ante causam" del C., consistente nella mancata richiesta, da parte dello stesso, di quietanza a saldo e nell’omesso riscontro a due lettere racc. a.r. (V. pag. 5 sent.). Va, in particolare, rilevato, che il pagamento delle opere sarebbe avvenuto parte in contanti e parte in assegni e quest’ultimo mezzo di pagamento, di cui non è stato tenuto conto, ne escludeva il carattere presuntivo, trattandosi di fatto comunque accertabile mediante prova diretta.

Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Messina anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Messina anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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