Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-05-2012, n. 8740 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo n. 326/1995 il Presidente del Tribunale di Rimini ingiungeva a M.F., M.D., M.C., M.E. e F.M. il pagamento di L. 50.741.552 a favore di B.M. per prestazioni professionali.

Gli ingiunti proponevano opposizione eccependo la mancata prova dello svolgimento delle attività professionali esposte in parcella ed asserendo che il rapporto era intercorso esclusivamente con M.F. e che per l’attività era stato concordato il corrispettivo di L. 30.000.000 già integralmente pagato; lamentavano che il professionista non aveva presentato il rendiconto e che aveva messo all’incasso titoli per L. 20.000.000 a lui consegnati solo in garanzia; esercitavano l’azione di rendiconto.

Il B. si costituiva e contestava gli assunti avversari.

Il Tribunale di Rimini con sentenza del 5/5/2001, accertato un pagamento di L. 10.000.000 che andava detratto dall’importo di cui al decreto ingiuntivo, revocava il decreto e condannava gli opponenti al pagamento della somma di L. 40.741.552, respingeva la riconvenzionale di rendimento del conto e condannava gli opponenti alle spese.

La Corte di Appello di Bologna con sentenza del 2/3/2005 accoglieva parzialmente l’appello degli opponenti che condannava a pagare la minor somma di L. 10.000.000; compensava per due terzi le spese di lite e poneva a carico degli appellanti il residuo terzo.

La Corte di Appello rilevava che erano stati conferiti due incarichi professionali, uno dei quali svolto per M.F. nell’interesse della società Il Nocchiero e in ordine a questo incarico un decreto ingiuntivo era stato predisposto, ma non ancora richiesto; il secondo incarico era stato svolto nell’interesse del gruppo familiare M. e tale incarico era l’oggetto della controversia; in ordine a questo secondo incarico, valorizzava una lettera dell’avv. Zangheri Palazzini (doc. 33 lettera 15/11/1993) con la quale, nell’interesse del professionista, era chiesto il saldo di L. 20.000.000 in risposta alla lettera 11/5/1993 della M. nella quale si faceva riferimento ad un compenso di L. 30.000.000 e al già avvenuto versamento di un acconto di L. 10.000.000; il 27/9/1996 lo stesso legale riconfermava la debenza del saldo di lire 20.000.000; altri crediti del B. erano invece maturati nei confronti della soc. Il Nocchiero e nella documentazione prodotta a sostegno della richiesta di decreto ingiuntivo erano infatti esposte prestazioni relative alla società Il Nocchiero di M. F.; gli ulteriori pagamenti che i debitori opposti affermavano di avere eseguito erano invece assegni consegnati per il pagamento di altri debiti; dall’importo residuo a debito, così calcolato in L. 20.000.000 doveva, infine, essere detratto l’importo di L. 10.000.000 riscosso dal professionista per interessi maturati sulla somma di L. 120.000.000 ricevuta in custodia.

B.M. propone ricorso affidato a tre motivi; resiste con controricorso M.F. che propone ricorso incidentale affidato ad un motivo; sono rimasti intimati M.D., M.C., M.E. e F.M..

Sia il B. che la M. hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, testualmente "errata statuizione in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie per violazione degli artt. 2697, 116 e 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione"; il ricorrente rileva che il giudice di appello, malgrado avesse disatteso la tesi degli opponenti circa un mandato conferito solo da M.F., avrebbe poi ridotto l’importo riconosciuto dovuto in primo grado sulla base di una lettera dell’avv. Zangheri in data 26/9/1996, addirittura successiva alla richiesta di decreto ingiuntivo, con la quale era richiesto il pagamento della (minor) somma di L. 20.000.000 che, secondo il giudice di appello, costituirebbe il riconoscimento di quanto risultava ancora a credito del B.; il ricorrente aggiunge che la lettera 18/5/1993 della M., egualmente posta a fondamento della decisione, dimostrerebbe solo che gli anteriori pagamenti del 1991-1992 non potevano essere imputati a tacitazione del credito.

1.1. Nel motivo non si evidenziano nè altrimenti risultano violazioni delle norme civilistiche e processualcivilistiche richiamate nella rubrica, ma vi si sviluppa una inammissibile censura della valutazione delle prove documentali; il ricorrente infondatamente definisce "mera supposizione" l’assorbente e convincente e comunque non carente motivazione per la quale con la lettera 15/11/1993 l’avv. Zangheri Palazzini nell’interesse del professionista chiedeva il saldo di L. 20.000.000 per prestazione professionale relativa al gruppo familiare; il giudice di appello ha inoltre rilevato che tale lettera si collegava alla lettera 11/5/1993 della M. nella quale si faceva riferimento ad un compenso di L. 30.000.000 e ad un acconto di L. 10.000.000 che era già stato versato; la conclusione secondo cui il saldo dovuto era di L. 20.000.000 è pertanto rigorosamente motivata su elementi documentali la cui valutazione è immune da censure; la successiva lettera del 27/9/1996, pure richiamata dalla Corte di appello e sulla cui valutazione il ricorrente svolge ulteriori censure, è totalmente ininfluente rispetto al percorso motivazionale sopra richiamato e che è autonomamente sufficiente a sostenere la motivazione; occorre infine osservare che la censura, in parte qua, è pure priva di autosufficienza in quanto il testo del documento non è neppure riportato.

Il primo motivo deve quindi essere rigettato.

2. Con il secondo motivo, così testualmente rubricato: "errata statuizione per violazione degli artt. 1713 e 1714 c.c., art. 112 c.p.c., art. 1226 c.c., art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. in rapporto all’art. 360, nn. 3 e 5", il ricorrente lamenta:

a) che l’importo dei prestiti da lui erogati non sarebbe di L. 6.000.000, ma a questa somma andrebbe aggiunta la somma di 20.000.00 rappresentata da due assegni (di L. 5,000.000, e di L. 15.000.000) dei quali sarebbe stata fatta menzione dal giudice di primo grado e che sarebbero stati riconosciuti dalla M. nella lettera del 18/5/1993;

b) il vizio di extrapetizione per la decisione del giudice, non richiesta dagli appellanti, di defalcare di ufficio dal dovuto la somma di L. 10.000.000 per interessi non corrisposti da esso ricorrente e liquidati in via equitativa non sussistendone i presupposti. a.1 La censura di cui al precedente punto a) è inammissibile per mancanza di autosufficienza in quanto si fa riferimento ad assegni in ordine ai quali nulla viene portato a conoscenza di questa Corte, salvo generici richiami alla sentenza di primo grado e ad una lettera della quale non è riportato il contenuto; nella sentenza di appello sono citati due assegni di corrispondente importo, ma solo per riportare la tesi dei convenuti i quali sostenevano che il professionista li aveva posti all’incasso. b.1 La censura di cui al precedente punto b) è infondata quanto al dedotto vizio di extrapetizione perchè nella sentenza di appello si da espressamente atto (v. pag. 14) che parte appellante lamentava il mancato inserimento, nel rendiconto degli interessi sull’attivo gestito e implicitamente, ma inequivocabilmente ne richiedeva il relativo riconoscimento.

La liquidazione degli interessi sul capitale trattenuto in custodia dal professionista non è stata equitativa perchè è stato applicato il 10% in relazione all’anno di riferimento e non sono dedotti errori nel calcolo o del parametro di riferimento; è stato invece equitativo l’ammontare della compensazione con gli interessi a credito del professionista al fine di ridurre l’importo liquidato ai convenuti a titolo di interessi, calcolati in L. 2.000.000 sull’importo capitale di L. 6.000.000 e pertanto in misura addirittura maggiore rispetto al 10% sul capitale in deposito.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e lamenta la compensazione per due terzi delle spese di lite in assenza di motivazione e comunque immotivatamente perchè egli non sarebbe in alcuna misura soccombente.

3.1 Il giudice di appello ha accolto parzialmente l’appello e per tale ragione (implicita, ma inequivoca) ha ritenuto di compensare per 2/3 le spese di appello; pertanto la motivazione si desume dal contesto della sentenza e non sussiste violazione delle norme richiamate.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la controricorrente deduce il vizio di motivazione perchè il giudice di appello, nel calcolare il saldo dovuto non avrebbe considerato due assegni (di L. 5.000.000, e di L. 15.000.000), pure richiamati a pagina 8 della sentenza.

4.1 Il motivo è infondato sotto un duplice profilo: nella sentenza di appello si afferma che gli assegni erano posti all’incasso, ma tratti su un conto estinto, ma non si afferma che erano stati incassati; in ogni caso, il giudice di appello ha adeguatamente motivato, in generale, sulla irrilevanza degli assegni consegnati al professionista in quanto si trattava di assegni di familiari (il marito della M. o parenti) che avevano lo scopo di pagare debiti del gruppo M., appostati come tali nell’attivo del rendiconto e non costituenti compenso del professionista (v. pagg. 13 e 14 della sentenza di appello).

5. Il ricorso principale e quello incidentale devono quindi essere rigettati con la compensazione delle spese di questo giudizio avuto riguardo alla reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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