Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-07-2011) 21-11-2011, n. 42950 Estinzione delle misure

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I difensori di M.A. hanno presentato ricorso avverso l’ordinanza 27.1.2011 del tribunale di Milano, con la quale veniva confermata l’ordinanza 4.11.2010 del Gip del medesimo tribunale, di rigetto dell’istanza di declaratoria di perdita di efficacia, ex art. 297 c.p.p., comma 3, della misura della custodia in carcere, disposta con ordinanza 24.9.09.

Il ricorso dell’avv. Cerreti Astuto si articola nei seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 297 c.p.p., comma 3, vizio di motivazione. Il ricorrente rileva che, in data 20.5.06, il M. veniva arrestato in esecuzione di un’ordinanza emessa il 18.5.06, per un reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, nell’ambito del procedimento 20483 RGNR. Con ordinanza 24.9.09 veniva applicata, nell’ambito del procedimento n. 51746/05 RGNR, la misura della custodia in carcere, in ordine ai reati D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 73 e 74, di cui ai capi 48 ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), e 80 ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), per fatti commessi dal (OMISSIS). Le due ordinanze sfociavano, rispettivamente, nella sentenza di condanna 28.9.06, definitiva il 13.10.07, a 5 anni, 4 mesi di reclusione; nella sentenza 16.7.2010, nell’ambito del processo 51527/09 RGNR (stralcio dal n. 51746/05) con la quale M. veniva condannato alla pena di 16 anni di reclusione, perchè ritenuto colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73 (capi 48 e 80), ritenuta la continuazione tra questi fatti e quelli giudicati con la sentenza irrevocabile 28.9.06, ritenuto più grave il reato di cui al capo 80 ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74). Il M. ha presentato istanza al Gip di retrodatare il termine di decorrenza della custodia cautelare disposta con ordinanza 24.9.09 alla data di esecuzione, 20.5.06, della prima ordinanza cautelare 18.5.06, in quanto a) tra i reati delle due ordinanze era stata riconosciuta la continuazione e quindi la sussistenza di un medesimo disegno criminoso; b) la giurisprudenza di legittimità riconosce la retrodatazione dei termini di custodia cautelare, anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza cautelare sia stata emessa nell’ambito di un procedimento concluso con sentenza di condanna irrevocabile; c) i fatti contestati con la seconda ordinanza erano desumibili all’epoca dell’emissione della prima ordinanza.

Il Gip ha rigettato l’istanza e i difensori hanno presentato appello, che è stato rigettato dal tribunale del riesame, con ordinanza 27.1.2011, secondo cui la retrodatazione non può operare, perchè non sussiste il concetto di desumibilità di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3: il reato associativo, la cui natura permanente e la cui consumazione si protrae sino allo scioglimento dell’associazione o all’uscita dell’associato dal sodalizio, è stato contestato con la seconda ordinanza custodiale, a seguito dei risultati delle intercettazioni telefoniche successive alla data del primo arresto.

E’ poi irrilevante, secondo il tribunale, l’analisi della questione del passaggio ingiudicato della sentenza relativa ai fatti della prima ordinanza, perchè nel caso in esame non opera il disposto ex art. 297 c.p.p..

Secondo il ricorrente, non può essere condivisa la ricostruzione del fatto a lui ascrivibile nel presente procedimento: è stato ritenuto responsabile di avere il ruolo di capo nell’associazione, ma si evince che gli elementi a suo carico emergono prima dell’arresto del maggio 2006 Le intercettazioni citate nel provvedimento impugnato riguardano conversazioni tra altre persone e nulla rilevano in ordine al ruolo svolto dal M., ma espongono suoi comportamenti avvenuti nel carcere di San Vittore, che sembrano il frutto di un costume carcerario e comunque non hanno dato luogo a imputazione specifica.

Si ribadisce pertanto che nella prima ordinanza emergeva un chiaro quadro probatorio anche a carico di altri soggetti e che nessun nuovo elemento si ricava dalle intercettazioni dell’agosto 2006.

L’avvocato Chiesa rileva che l’ordinanza impugnata ha ritenuto che la retrodatazione non può essere effettuata perchè manca uno dei presupposti, ossia l’anteriorità del fatto di cui alla seconda ordinanza.

Secondo il ricorrente, questo argomento è errato, poichè ciò che conta è che il reato, oggetto della seconda ordinanza, fosse desumibile prima dell’emissione della prima ordinanza. La consumazione del reato si ha quando l’associazione sia stata costituta in organizzazione permanente e, in relazione alla partecipazione, quando sia stato apportato un minimo di contributo effettivo. Nel caso di specie non può dubitarsi che l’associazione fosse operante già in un tempo antecedente rispetto all’arresto del M., avvenuto nel maggio 2006. Di ciò è stato atto nell’ordinanza 25.9.09.

Tra i due reati intercorre una connessione qualificata a norma dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. B), trattandosi di reati in materia di stupefacenti, commessi in forma associata, per i quali è stata giudizialmente riconosciuta la continuazione sulla base del medesimo procedimento e sulla base dello stesso materiale investigativo.

Secondo la sentenza S.U. n. 21957 del 22.3.05, Rahulia, se sussiste connessione, essa opera automaticamente, indipendentemente dalla desumibilità dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, dell’esistenza dei fatti oggetto di quella successiva. La validità di questi argomenti è confermata dalla decisione dello stesso tribunale di Milano, che ha retrodatato il termine nei confronti del correo C., ritenendo automatica applicabilità dell’art. 297 c.p.p., comma 3.

Il ricorrente, infine, rileva che, ove la retrodatazione dei termini di custodia cautelare non fosse compiuta, ritenendola incompatibile con il passaggio in giudicato della sentenza con cui egli è stato condannato per i fatti della prima ordinanza, vada sollevata la questione di illegittimità costituzionale, già all’esame del giudice delle leggi (questione di legittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, in relazione agli artt. 3, 13, 27 Cost., nella parte in cui impedisce la retrodatazione dei termini di custodia cautelare, nelle ipotesi in cui per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato).

Il ricorso non merita accoglimento.

La semplice lettura della sentenza di condanna datata 16.7.2010, emessa dal Gup del tribunale di Milano, mette in evidenza l’assoluta autonomia del contenuto e del risultato delle indagini svolte a carico del M., sfociate poi nella formulazione del capo di imputazione n. 80 e nella pronuncia di responsabilità a suo carico.

Indagini e risultati concernono, in maniera prevalente e decisiva, un fatto sicuramente non anteriore alla data di emissione della prima ordinanza. Nessun dubbio può sussistere sulla natura permanente del reato associativo in esame e sul protrarsi della criminosa operatività del sodalizio indicato al capo 80 della sentenza ad epoca che ne rende la consumazione quanto meno alla data fissata nel capo di imputazione (gennaio 2007). Nella descrizione del fatto seno scanditi con estrema chiarezza le date e i risultati delle indagini successivi all’arresto e concernenti i contatti sviluppati in carcere dal M. con un componente dell’associazione ( C.) indicato come "il fulcro di ogni attività associativa" e con altri soggetti, sempre in funzione della criminosa attività D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74. Correttamente è stato ritenuto dal tribunale che conseguentemente manca uno dei presupposti per l’applicazione del disposto di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3: l’anteriorità del fatto di cui alla successiva ordinanza cautelare rispetto alla data dell’arresto del 20.5.06. Razionalmente il tribunale ha osservato che la mancanza di operatività del disposto di cui al citato art. 297 c.p.p., comma 3 esclude rilevanza all’analisi della questione della carattere ostativo o meno del passaggio in giudicato della sentenza, avente ad oggetto i fatti contestati con la prima ordinanza.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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