T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 24-12-2011, n. 10185

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in trattazione la C.I. s.p.a., Divisione Coty Prestige, esposto di essere filiale italiana del Gruppo C.L., che produce e distribuisce prodotti cosmetici in tutto il mondo, e, tra questi, la crema cosmetica Lancaster "Retinology Total Age Solution", impugna la delibera dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato 4 febbraio 2010, n. 20747.

Tale delibera, in esito a procedimento avviatosi a seguito di segnalazione e richiesta di intervento dell’Associazione Avvocati dei Consumatori di Bari, ha ritenuto pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, 21 comma 1, lett. b) e 22 del codice di consumo i messaggi pubblicitari, diffusi dalla società concernenti la crema cosmetica di cui sopra, ne ha vietato l’ulteriore diffusione, ha irrogato alla ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 80.000,00 ed ha assegnato alla società un termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento per il "necessario adeguamento della confezione di vendita del prodotto".

Queste le censure dalla società dedotte avverso la delibera impugnata.

1) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione.

La doglianza è diretta avverso l’ordine di modificare la confezione del prodotto, che la ricorrente ritiene immotivato ed illogico, poiché il procedimento ha riguardato esclusivamente la campagna pubblicitaria, e, in tale ambito, ha stigmatizzato segnatamente il claim principale "La tua pelle appare 15 anni più giovane", che non compare nella confezione.

Né, secondo la società, tale ordine può ritenersi giustificato tenuto conto delle correlate percentuali di efficienza esposte sulla confezione, in quanto: tali percentuali sono usualmente utilizzate nei messaggi pubblicitari relativi ai prodotti cosmetici; l’Autorità le ha considerate solo in vista del rapporto potenzialmente decettivo che detti riferimenti numerici sull’efficacia del prodotto possono assumere rispetto al messaggio principale; i riferiti valori numerici, in se, per come riportati nella confezione del prodotto, non hanno nulla di ingannevole.

La società espone, ancora, che l’ordine non può neanche legittimarsi tenuto conto del negativo giudizio espresso dall’Autorità in relazione ad altre frasi contenute nei messaggi pubblicitari ("incontestabili prove scientifiche", "un risultato eccezionale scientificamente provato"): anche dette affermazioni, infatti, non sono presenti nella confezione del prodotto.

Infine, la società lamenta che l’ordine in argomento è inevitabilmente destinato a produrre effetti extraterritoriali, poiché la confezione di cui trattasi è unica ed uguale in tutto il mondo, in sei diverse lingue, né è possibile, in alternativa, per ragioni produttive, di logistica, economiche e di politica commerciale, per giunta nei ristretti termini previsti dalla delibera, la modifica della sola confezione del prodotto italiano.

2) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione.

La censura è diretta alla quantificazione della sanzione ed è finalizzata anche, in via subordinata, alla riforma dell’entità della sanzione.

La società lamenta la violazione dei criteri di determinazione della sanzione, l’errata valutazione della durata della violazione e della quantificazione della sanzione, l’errata considerazione del periodo di pubblicazione dei messaggi sulla stampa, l’errata e contraddittoria considerazione dei fatti e delle risultanze documentali agli atti del procedimento.

Segnatamente l’Autorità:

– non avrebbe speso neanche una parola in relazione all’opera svolta dalla società per attenuare o eliminare l’infrazione, consistente nel nuovo testo pubblicitario realizzato successivamente all’avvio della contestazione, testo che è completamente difforme dal precedente, e che recepisce le indicazioni dell’ente di controllo ed è stato sottoposto al vaglio preventivo dello IAP;

– avrebbe considerato un periodo di diffusione dei messaggi sanzionati (8 febbraio 2009/novembre 2009, ovvero dieci mesi) di gran lunga superiore a quello reale (tre mesi, al massimo sei ove si consideri la nuova pubblicità diffusa in corso di procedimento), poiché dalla fine del mese di aprile 2009 all’inizio del mese di novembre 2009 non vi è stata alcuna inserzione pubblicitaria.

3) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione.

La censura contesta il difetto di motivazione della decisione, l’errata o mancata considerazione delle risultanze acquisite nel corso del procedimento, la violazione del contraddittorio tecnico sulle informazioni fornite dall’IFO, il contrasto con la normativa comunitaria.

In particolare la ricorrente espone che la delibera impugnata, terminata diffusamente e correttamente la ricostruzione dei fatti e delle produzioni documentali, affida poi la motivazione della decisione assunta a scarne considerazioni, sostanzialmente riproduttive del parere espresso dall’IFO, la cui relazione, anch’essa scarna, costituisce l’unico nucleo e fondamento della determinazione dell’Autorità.

La ricorrente, spostando indi l’attenzione sulla relazione dell’IFO, rileva che la stessa, confermati due elementi che caratterizzano positivamente il prodotto di cui trattasi, ovvero l’efficacia antirughe ed antietà del retinolo sulla pelle, nonchè l’efficacia dell’impiego dei liposomi per assicurare il maggior assorbimento dei cosmetici, contiene rilievi critici in ordine alla metodologia scientifica utilizzata per valutare l’efficacia del prodotto e la documentazione prodotta dalla Società per attestare la dimostrazione scientifica della trasfezione del retinolo con il nuovo sistema brevettato dalla BASF con il nome "CYTOVECTOR CM", registrato in esclusiva da Lancaster in campo cosmetico come "Intra Cellular System TM".

Ma tali valutazioni critiche risulterebbero, secondo la società, frutto di un non ponderato apprezzamento della documentazione prodotta nel corso del procedimento.

Inoltre, secondo la società, neppure è possibile richiedere, come fa la relazione, che gli studi in ambito cosmetico siano controllati verso placebo o verso altra preparazione similare, atteso che ciò non è richiesto né dalla normativa vigente in materia né dalla prassi generale dell’industria cosmetica.

L’affermazione è corroborata da richiami a: "COLIPA Guidelines for the evaluation of the efficacy of cosmetic products", ed. maggio 2008, linee guida di riferimento per l’industria cosmetica in merito ai testi di valutazione sull’efficacia dei prodotti, che, nel pieno rispetto della vigente normativa europea, lasciano ampia discrezionalità alle imprese circa i diversi approcci metodologici da adottare in ordine alla valutazione dell’efficacia di un prodotto cosmetico; "Raccomandazioni relative alle ricerche biomedicali inerenti prodotti cosmetici entranti nel campo di applicazione della legge sulla politica di salute pubblica del 9.8.2004", della AFSSAPS (Agence Francaise de Sècurité des Produits de Santè), pubblicate il 7 settembre 2006, che affermano che non esistono a livello comunitario ed internazionale testi relativi alle Buone Pratiche per le ricerche biomedicali concernenti i prodotti cosmetici; "ICH E6 Guidelines for Good Clinical Practice", pubblicate dall’European Medicines Agency (EMEA) nel 1996, che, nel prevedere protocolli standard in ambito farmaceutico, non individuano neppure in detto ambito la necessità di verifica mediante placebo od altro prodotto similare.

Indi la società, che espone di aver condotto studi clinici/scientifici nel 2008, effettuati da primari istituti riconosciuti dalle autorità sanitarie francesi, utilizzando protocolli standard e seguendo rigorosamente le linee COLIPA e le norme di riferimento in ambito cosmetico, che confermano esattamente quanto reclamizzato, come dimostrato dagli atti prodotti nel corso del procedimento, ritiene che nulla possa esserle imputato quanto alla mancata verifica dei claims con le modalità richiamate dall’IFO, prive di qualsiasi base normativa.

E ciò anche con particolare riferimento all’affermazione dell’IFO che "nessuno degli allegati riporta una dimostrazione scientifica di trasfezione del retinolo con il nuovo sistema "CYTOVECTOR CM", che, secondo la ricorrente, è in palese contrasto con le risultanze dei documenti prodotti dalla società (pubblicazione scientifica della BASF ("Cytovector") del 22 gennaio 2008; studio mediante test in vitro realizzato dal Coty International R&D Center; studi dell’International Research & Development Center Coty di Monaco del 2008; Affidavit), che l’IFO ha contestato con rilievi totalmente privi di fondamento.

La società afferma poi di aver prodotto pubblicazioni scientifiche che attestano anche l’indicato legame con la terapia genica, che l’IFO ritiene non essere stato provato, in particolare dimostrando come nella terapia genica, al fine di prevenire o curare malattie, siano stati utilizzati negli ultimi anni, per migliorare la trasfezione di materiale genetico all’interno delle cellule della pelle, anziché i vettori virali, liposomi del tutto simili a quelli utilizzati da Lancaster, grazie alla tecnologia Cytovector, quali vettori del retinolo.

Gli studi scientifici depositati nel corso del procedimento confermerebbero indi, secondo la società, la superficialità e la carenza di fondamento di tutti i rilievi sollevati dall’IFO, cui l’Autorità si è erroneamente e passivamente attenuta, senza considerare le controdeduzioni svolte dalla società e senza aprire un contraddittorio tecnico ovvero effettuare un supplemento di istruttoria.

Infine, la società espone, in riferimento alla censura di non correttezza dell’utilizzo nei messaggi di affermazioni volte ad accreditare la tecnologia utilizzata per il prodotto come innovativa o pioneristica, che il sistema è stato inventato e brevettato dalla BASF con il nome di "CYTOVECTOR CM", nonché registrato da Lancaster come "Intra Cellular System TM", ed utilizzato per la prima volta in campo cosmetico grazie ad un accordo commerciale tra le due società che ne garantisce l’uso esclusivo nel settore: di talchè in campo cosmetico l’impiego di detto sistema è certamente innovativo ed appartiene a Lancaster, e non sussiste alcuna scorrettezza nell’averne sottolineato il carattere di novità.

4) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e della motivazione.

La censura è riferita al giudizio di ingannevolezza della pratica commerciale, avverso il quale si indirizzano le censure di difetto di motivazione ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, contrasto con le risultanze istruttorie, illogicità e contraddittorietà.

La ricorrente torna a lamentare che il convincimento dell’Autorità deriva esclusivamente dal recepimento delle valutazioni critiche espresse dall’IFO, le quali sono erronee e contraddittorie con le risultanze e le evidenze documentali depositate agli atti del procedimento.

In particolare, lamenta la società che l’ingannevolezza della pratica poteva, al più, essere rilevata solo nei confronti del claim principale "La tua pelle appare 15 anni più giovane", che, comunque, è stato poi corretto e modificato dalla società, di talchè l’atto impugnato è privo di motivazione in riferimento sia alla gravità della violazione sia alla determinazione e quantificazione delle sanzioni.

Riferisce la società che il messaggio non presenta, nella sua interezza, profili di scorrettezza o ingannevolezza, né è idoneo a falsare il comportamento medio del consumatore.

E ciò sia quanto alla portata innovativa e pioneristica di "Intra Cellular System TM" e sul rapporto con la terapia genica, sia in ordine alla veridicità del messaggio pubblicitario, alla metodologia di esecuzione dei test ed alla documentazione scientifica posta alla base dei risultati vantati.

5) violazione di legge ed eccesso di potere per difetto dei presupposti e difetto della motivazione.

La censura è riferita alla evidente sproporzione tra l’infrazione contestata e le sanzioni comminate, alla violazione della l. 241/90, nonché delle norme e principi generali per assoluta mancanza di proporzionalità tra il fatto contestato, l’infrazione individuata e la sanzione applicata.

Con l’ultimo motivo di censura la ricorrente lamenta che l’obbligo di modificare le confezioni del prodotto presenti sul mercato (quattro diversi formati e soluzioni, sei diverse lingue per il mercato mondiale) costituisce una enorme problema per la società, anche tenuto conto dei ristretti tempi previsti, nonché assume il carattere di una ulteriore e grave misura sanzionatoria, irragionevolmente spoporzionata (di gran lunga superiore alla sanzione economica), assolutamente ingiustificata, priva di motivazione, e della quale non è argomentata la necessità.

Esaurita l’illustrazione delle doglianze, parte ricorrente avanza domande istruttorie e domanda l’annullamento della impugnata delibera.

Costituitasi in resistenza, l’intimata Autorità domanda il rigetto del gravame perché infondato.

Con ordinanza 29 aprile 2010, n. 1884 la Sezione ha accolto la domanda di sospensione interinale degli effetti dell’atto impugnato limitatamente al tempo assegnato alla società per procedere all’adeguamento delle confezioni di vendita del prodotto in argomento, prorogandolo, in particolare, di 90 giorni dalla data dell’ordinanza.

Parte ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

Il ricorso è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 23 novembre 2011.

Motivi della decisione

1. Mediante l’atto gravato, l’Autorità della concorrenza e del mercato ha accertato che i messaggi pubblicitari diffusi dalla C.I. s.p.a., filiale italiana del Gruppo C.L., concernenti la crema cosmetica Lancaster "Retinology Total Age Solution", costituiscono una pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, 21 comma 1, lett. b) e 22 del codice di consumo.

L’Autorità ha, pertanto, posto a carico della società il divieto di ulteriore diffusione dei messaggi, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 80.000,00, nonché l’ordine di adeguare la confezione di vendita del prodotto entro un termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento.

2. Ai fini della compiuta disamina della controversia, giova premettere che la normativa, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle "Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno", alla quale il legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando, nell’agosto del 2007, due distinti decreti legislativi (nn. 145 e 146), rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.

Il d.lgs. 146/2007 è intervenuto direttamente sul codice del consumo, sostituendo gli artt. 1827 del d.lgs. n. 206 del 2005 ed introducendo una generale normativa sulle "pratiche commerciali scorrette".

Il codice del consumo, per come modificato alla stregua dell’indicata sopravvenienza normativa, ha abbandonato il precedente specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per approdare ad una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, "ivi compresa la pubblicità", posta in essere da un professionista "prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto" (artt. 18 e 19 del codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimanendo, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

Come più volte affermato dalla Sezione, il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza, limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.

Proprio in vista di tale finalità, del resto, il d.lgs. 146/2007 ha, contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

Tanto osservato in via generale, l’art. 18 del d.lgs. n. 206 del 2005 (come modificato dall’appena citato d.lgs. 146/2007), per le finalità considerate dal Titolo III ("Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali"), dispone che si intende per:

– "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

– "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

– "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori": qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

– "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Il successivo art. 19 puntualizza che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che "una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori"; mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23.

In particolare:

– ai sensi dell’art. 21, comma 1, è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo a gli elementi ivi elencati, e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tra gli elementi elencati si rinvengono, sub b), le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza postvendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto.

– ai sensi dell’art. 22 è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. E’ altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonchè quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

L’art. 23 descrive, infine, le pratiche che sono considerate in ogni caso ingannevoli.

3. Individuato il paradigma normativo di riferimento, è utile illustrare immediatamente i messaggi di cui occupa.

I messaggi a mezzo stampa, pubblicati su due supplementi settimanali a quotidiani, consistono nella descrizione del prodotto come una crema particolarmente innovativa, perché basata su una nuova tecnologia, derivata dalla terapia genica ("Ispirato alla terapia genica – Inventato da Lancaster"), che conferirebbe una specifica e comprovata efficacia antirughe, tale da permettere alla pelle di apparire "fino a 15 anni più giovane". Un asterisco rimanda alla nota a piè di pagina, che precisa che il risultato è determinato "calcolando le misurazioni cliniche (superficie delle rughe)".

Il messaggio prosegue "Innovazione Lancaster in campo cosmetico: per la prima volta, il RetinoloAttivo penetra in forma "intatta" nella cellula per una efficacia al 100%, grazie all’IntraCellular System" ed espone "incontestabili prove scientifiche dopo 8 settimane: 42% riduzione delle rughe; 46% miglioramento della densità del derma; il comfort di una crema ad elevata tollerabilità".

In corrispondenza delle percentuali, un asterisco rimanda alla nota a piè di pagina "in media, basata su misurazioni in test clinici".

In alcuni messaggi, è specificato che la riduzione della superficie delle rughe si è registrata sul "100% di un campione di 26 donne, misurata tramite test clinici".

I claim di innovazione ed efficacia del prodotto sono rafforzati dalla presenza di due immagini che riproducono la pelle pre e post trattamento dopo 8 settimane.

I messaggi si presentano in tre diversi format:

– pagina singola corrispondente al messaggio;

– pagina singola caratterizzata dall’immagine del prodotto o, in alternativa, dal profilo della testimonial accompagnata dalla denominazione del prodotto e dal claim "Ispirato alla terapia genica – Inventato da Lancaster";

– pagina doppia caratterizzata dai ridetti claim, nonché dalla descrizione dell’efficacia della crema ricondotta al particolare sistema di vettoriamento del retinolo utilizzato e derivato dalla terapia genica, dalla descrizione dei risultati del test di autovalutazione condotto su alcune consumatrici (miglioramento dopo due applicazioni dell’idratazione e confort dell’84% e miglioramento della compattezza e vitalità della pelle del 71%, dopo 20 giorni di applicazione).

Il messaggio a mezzo internet presenta il prodotto come "soluzione antietà globale di Lancaster", che fa ottenere "risultati eccezionali sul 100% delle volontarie". Altri vanti prestazionali consistono nell’esposizione dell’esito di un test condotto su 31 donne, ed espressi in percentuale di donne d’accordo con le affermazioni: idratazione e confort aumentano 84% (dopo due applicazioni); la pelle è più uniforme e rivitalizzata 71% (dopo venti giorni); la luminosità è aumentata 70% (dopo 8 settimane).

Alcuni claim risultano riportati sulla confezione del prodotto.

Segnatamente, la confezione, oltre alla denominazione della crema, riporta, in varie lingue, tra cui l’italiano, affermazioni analoghe a quelle presenti nei messaggi a mezzo stampa circa l’efficacia e i risultati conseguibili a seguito della sua applicazione, e in particolare, "Risultati sorprendenti nel 100% delle donne* (*test clinici: riduzione del principale segno dell’età sul 100% del campione). Ispirandosi alle recenti scoperte mediche nel campo della terapia genica, il Centro ricerca di Lancaster crea UNA SECONDA VITA PER LA TUA PELLE. Per la prima volta il RetinoloAttivo, inventato da Lancaster*(*Lancaster è stata la prima azienda a introdurre il Retinolo in cosmesi nel 1978), penetra in forma "’intatta’" nel cuore delle cellule. L’efficacia al 100%* (*Test consumatrici -% di donne soddisfatte) è garantita da IntraCellular System TM, una tecnologia assolutamente innovativa. Dopo 2 applicazioni la pelle è più idratata e piacevolmente morbida: 84%* (*Test consumatrici% donne soddisfatte). Dopo 20 giorni la pelle è più uniforme e rivitalizzata: 71%* (*Test consumatrici% donne soddisfatte). Dopo 8 settimane le rughe appaiono ridotte del 42%* (*Test clinici), la densità del derma aumenta del 46%* (*Test clinici) e la pelle è più radiosa: 70%* (*Test consumatrici% donne soddisfatte).".

4. Ora qualche cenno sul procedimento culminato con l’atto impugnato.

L’Autorità avviava il procedimento di cui trattasi in data 9 giugno 2009.

La contestazione ha riguardato le indicazioni presenti nei messaggi pubblicitari diffusi a mezzo stampa e via internet, e, segnatamente, le indicazioni riguardanti le caratteristiche del prodotto, proposto come soluzione innovativa contro i principali segni dell’età, e, dall’altro, i risultati ottenibili attraverso il suo impiego, supportati da evidenze di natura scientifica, suscettibili di integrare una pratica commerciale scorretta e la violazione degli artt. 20, 21 comma 1, lett. b) e 22 del codice del consumo.

Acquisita una memoria difensiva da parte della società il 22 luglio 2009, corredata da allegazioni documentali, l’Autorità richiedeva in data 30 settembre 2009 agli Istituti Fisioterapici Ospedalieri – IFO informazioni circa l’esistenza di un condiviso consenso scientifico in ordine all’efficacia antirughe del retinolo, all’attendibilità della documentazione scientifica prodotta dalla società per dimostrare la specifica efficacia del prodotto, alla tecnica di vettoriamento utilizzata e alla sua effettiva derivazione dalla terapia genica.

Comunicata alla società la proroga del termine per la chiusura del procedimento, l’Autorità acquisiva in data 23 novembre 2009 messaggi ancora in diffusione aventi sostanzialmente lo stesso contenuto di quelli oggetto di procedimento.

In data 1° dicembre 2009 perveniva la risposta dell’IFO.

Comunicata alla società la chiusura dell’istruttoria, l’Autorità deliberava successivamente un nuovo provvedimento di proroga del termine di chiusura del procedimento, che veniva fissato al 4 febbraio 2010.

La società depositava memoria conclusiva il 17 dicembre 2009, corredata di ulteriore documentazione tecnicoscientifica.

In data 29 gennaio 2010 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, corrispondendo alla richiesta dell’Autorità procedente del 18 dicembre 2009, ai sensi dell’articolo 27, comma 6, del codice del consumo, esprimeva l’avviso che i messaggi pubblicitari in parola risultassero scorretti, ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1, lett. b) e 22 del codice del consumo.

L’Autorità procedette adottava indi l’impugnata delibera.

5. Può, ora, passarsi all’esame della controversia.

E’ bene anticipare, al riguardo, che il Collegio non rinviene a carico dell’atto gravato e della relativa procedura i vizi lamentati dalla parte ricorrente.

6. Seguendo l’ordine delle censure che caratterizza l’impianto ricorsuale, si rileva che con il primo motivo di ricorso la ricorrente avversa l’ordine contenuto nel provvedimento sanzionatorio di modificare la confezione del prodotto, che ritiene immotivato ed illogico, particolarmente gravoso, anche tenendo conto dei ristretti termini imposti dalla delibera, nonché inevitabilmente destinato a produrre effetti extraterritoriali, poiché la confezione di cui trattasi è unica ed uguale in tutto il mondo, in sei diverse lingue.

Nessuna di tali doglianze può essere condivisa dal Collegio.

6.1. Occorre al riguardo premettere che ai sensi dell’art. 27, comma 10 del codice del consumo, nei casi riguardanti "comunicazioni commerciali inserite sulle confezioni di prodotti", l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati nei commi 3 e 8 (rispettivamente, sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, laddove sussista particolare urgenza; divieto di diffusione o di continuazione della pratica commerciale scorretta), assegna per la loro esecuzione un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento.

Indi la modifica delle confezioni del prodotto che veicolano ai consumatori il messaggio pubblicitario ingannevole altro non è che la normale inibitoria della continuazione della pratica commerciale scorretta.

Alla luce della chiara disposizione, va, indi, in primo luogo, sconfessata la fondatezza dell’asse portante della censura oggetto di disamina, imperniata sulla visualizzazione dell’ordine di cui trattasi quale autonoma ed ulteriore sanzione.

6.2. Si afferma ancora sul punto, da parte della società, che il procedimento ha riguardato segnatamente la campagna pubblicitaria, e, in tale ambito, esclusivamente il claim "La tua pelle appare 15 anni più giovane", che non compare nella confezione: l’ordine di modifica della confezione risulterebbe, pertanto, privo di presupposto.

Tale impostazione è manifestamente contrastante con le conclusioni cui perviene l’atto gravato.

Infatti, com’è agevole rilevare dalla lettura della complessa trama del provvedimento, nonché dalla richiesta di informazioni dall’Autorità inoltrata all’IFO, l’impugnata determinazione ha preso in considerazione la complessiva prospettazione decettiva delle caratteristiche del prodotto, che comprende, oltre alla promessa di apparire "15 anni più giovane", altri significativi vanti di efficacia, espressi in termini percentuali e contenenti il rinvio a risultati, test clinici ed incontestabili prove scientifiche.

In particolare, oltre alla scorrettezza del claim principale inerente la promessa di quindici anni più giovane, esaminato partitamente ai paragrafi 68/71, l’Autorità ha tenuto conto:

– nei paragrafi 50/54 "Omissioni rilevanti – metodologia di studio e parametri utilizzati", dell’accreditamento del claim principale a mezzo di percentuali precisamente quantificate con riguardo sia alla riduzione delle rughe (42%) sia alla maggior densità del derma conseguibile a seguito dell’applicazione della crema per otto settimane (46%), che rimandano a risultati clinici e a prove scientifiche, offerti al consumatore senza gli strumenti per comprenderne la portata e la rilevanza, e ciò neanche nel sito internet dedicato al prodotto;

– nei paragrafi 55/60 "Spendibilità delle misurazioni percentuali rilevate dagli studi", della grande enfasi dei risultati percentuali esposti, quali informazioni di particolare attrattiva per i consumatori, stante la quantificazione dell’esito promesso, per lo più in chiave scientifica e come risultato di test clinici, i quali, però, come meglio in seguito, non hanno trovato un attendibile riscontro nella documentazione di supporto allegata dal professionista;

– nei paragrafi 61/64 "Spendibilità delle affermazioni circa le caratteristiche prestazionali e di innovazione del sistema di vettoriamento del retinolo denominato Intra Cellular System TM nonché dell’attribuzione della sua invenzione al professionista", della perentorietà dell’affermazione del professionista in ordine alla correlazione tra efficacia (100%) del prodotto e vettoriamento del retinolo a mezzo del sistema Intra Cellular System TM, dell’esposizione della innovatività del sistema e dell’enfasi posta sulla sua derivazione dalla terapia genica, che non hanno parimenti trovato riscontro nella documentazione prodotta nel corso del procedimento;

– nei paragrafi 65/67 "Spendibilità dei dati relativi a test di autovalutazione per accreditare i risultati conseguibili con l’applicazione del prodotto", delle fuorvianti indicazioni percentuali circa il grado di soddisfacimento espresso da un campione di donne in merito al confort e al benessere della pelle, poiché posti in seguito ai risultati clinici, che, solo dalla nota a piè di pagina, in caratteri ridotti, si rivelano quali test di autovalutazione, condotti, peraltro, su un numero esiguo di donne (31).

Acclarato, quindi, che nessun elemento del provvedimento consente di affermare che il giudizio di scorrettezza della campagna pubblicitaria di cui si discute è stato determinato esclusivamente dal claim principale (ed anzi, al riguardo, può ancora rilevarsi, al fine di dissipare qualsiasi dubbio, che il provvedimento, laddove esamina specificamente il claim principale, nei paragrafi 68/71, esordisce con "anche il claim principale…appare scorretto, in quanto privo di fondamento scientifico"), va decisamente esclusa la sussistenza dei denunziati profili di illegittimità a carico dell’ordine di modifica della confezione del prodotto, nella quale, se è vero che non compariva il claim principale, comparivano, però, altri vanti prestazionali, autonomamente considerati nell’atto sanzionatorio rispetto a questo e parimenti autonomamente valutati quali pratica commerciale scorretta.

Essi sono chiaramente indicati nella parte finale del provvedimento, in vista di orientare l’ordine di modifica della confezione: rimozione delle quantificazioni in percentuale dei risultati ottenuti ("nel 100% delle donne"), della riduzione delle rughe, della densità, radiosità, idratazione, piacevolezza e morbidezza della pelle; eliminazione dei generici riferimenti ai test clinici, ovvero, in alternativa, inserimento di una completa informativa al riguardo; rimozione della dicitura "efficacia 100%" e delle indicazioni volte ad attribuire a Lancaster l’invenzione del retinolo e del relativo sistema di vettoriamento.

6.3. Con la censura in trattazione la società lamenta, ancora, la ristrettezza dei termini imposti dalla delibera per provvedere alla modifica delle confezioni, e sostiene che l’ordine di modifica è inevitabilmente destinato a produrre effetti extraterritoriali, poiché la confezione di cui trattasi è unica ed uguale in tutto il mondo, in sei diverse lingue.

Neanche tali argomentazioni risultano conducenti, poiché in parte superate ed in parte non persuasive.

Per l’adeguamento della confezione del prodotto l’Autorità ha assegnato alla società il termine di 90 giorni.

Tale termine è stato prorogato dalla Sezione in sede cautelare, con ordinanza 29 aprile 2010, n. 1884, che ha assegnato alla società ulteriori 90 giorni, decorrenti dalla data dell’ordinanza.

Gli atti di giudizio non manifestano che la società non abbia potuto usufruire di tale proroga; nulla è stato dedotto dalla società in ordine alla non congruità anche del termine siccome prorogato.

Quanto, poi, alla asserita oggettiva impossibilità di modifica della sola confezione del prodotto italiano, essa si configura quale mera affermazione di parte, basata esclusivamente sul richiamo ad indeterminate ragioni produttive, logistiche, economiche e di politica commerciale.

Ed esse, per un verso, si connotano per estrema genericità, essendo prive di qualsiasi sostegno motivazionale specifico, collegato alla puntuale organizzazione produttiva e commerciale della società, che non è stata fatta oggetto di alcuna illustrazione; per altro verso, provano troppo, involvendo nell’implicita affermazione che il disposto dell’art. 26, comma 10 del codice del consumo non può trovare applicazione nei confronti di tutti i prodotti posti in vendita in Italia ed in altri paesi mediante una identica confezione.

E non occorre spendere molte parole per evidenziare, oltre alla sua palese valenza contra legem, l’irrazionalità di una siffatta argomentazione, che condurrebbe al risultato per cui, intervenuto l’accertamento di ingannevolezza di messaggi pubblicitari, alcuni di essi, sol perché concernenti prodotti similarmente commercializzati in più paesi, potrebbero essere riproposti negli stessi termini sulle confezioni dei prodotti, così vanificando completamente o, quanto meno, attenuando notevolmente la ratio di tutela del consumatore assunta dal codice del consumo.

6.4. Il primo motivo di ricorso deve essere, per quanto sopra, respinto.

7. Per gli stessi motivi sin qui illustrati, deve essere respinto anche il quinto motivo di ricorso, con il quale, con argomentazioni pressoché identiche a quelle sin qui trattate, la ricorrente torna a lamentare la illegittimità e la gravosità dell’obbligo di modificare le confezioni del prodotto presenti sul mercato nazionale.

8. Con il secondo motivo di ricorso, con cui si avversa la quantificazione della sanzione, e con cui si tende, in via subordinata, alla riforma della sua entità, la società lamenta che l’Autorità:

– non avrebbe speso neanche una parola in relazione all’opera svolta dalla società per attenuare o eliminare l’infrazione, consistente nel nuovo testo pubblicitario realizzato successivamente all’avvio della contestazione, testo che è completamente difforme dal precedente, e che recepisce le indicazioni dell’ente di controllo ed è stato sottoposto al vaglio preventivo dello IAP;

– avrebbe considerato un periodo di diffusione dei messaggi sanzionati (8 febbraio 2009/novembre 2009, ovvero dieci mesi) di gran lunga superiore a quello reale (tre mesi, al massimo sei ove si consideri la nuova pubblicità diffusa in corso di procedimento), poiché dalla fine del mese di aprile 2009 all’inizio del mese di novembre 2009 non vi è stata alcuna inserzione pubblicitaria.

8.1. Anche tale doglianza deve essere respinta in tutti i suoi profili.

8.2. La prima parte della censura fa riferimento alla circostanza che, nel corso del procedimento, la società ha introdotto alcune modifiche ai messaggi pubblicitari oggetto del procedimento, previa approvazione dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP).

Al riguardo, deve innanzitutto osservarsi che l’Autorità, contrariamente a quanto denunziato dalla ricorrente, non ha mancato di apprezzare tale sopravvenienza, seppur non giungendo alla conclusione, auspicata dalla società, che la stessa potesse determinare l’interruzione o l’attenuazione della pretesa punitiva assunta nel procedimento sanzionatorio.

L’Autorità, infatti, ha espressamente preso in considerazione il nuovo testo pubblicitario ed il parere preventivo reso sullo stesso dallo IAP:

– al paragrafo 30, ove è riportata la nuova pubblicità, caratterizzata dalla modifica del precedente claim principale nel claim "E se la tua pelle potesse apparire fino a 15 anni più giovane?";

– al paragrafo 69, dedicato al claim inerente la promessa di "quindici anni più giovane", per escludere ogni rilevanza della modifica, posto che il parere IAP ha riguardato un messaggio diverso da quello oggetto del procedimento, come affermato dallo stesso professionista nella memoria procedimentale conclusiva del 1° dicembre 2009 (in atti).

Ciò posto, nel sottolineare la congruenza logica e la condivisibilità delle conclusioni cui sul punto è pervenuta l’Autorità, deve ancora aggiungersi che, per consolidata giurisprudenza amministrativa, la valutazione di un organismo di autodisciplina non può precludere la valutazione di segno diverso da parte dell’Autorità, attesa la differenza di competenze e natura dell’ intervento e l’assenza di qualunque pregiudizialità nei rispettivi interventi.

Infatti, è considerata irrilevante l’intervenuta approvazione della pratica da parte dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, posto che la conformità di una pratica commerciale alle prescrizioni dettate da altri organi e l’assolvimento degli oneri di informazione e di trasparenza che informano uno specifico settore, non escludono la possibilità di configurare una pratica come scorretta, non essendovi coincidenza tra l’ambito e le finalità di tutela apprestati da discipline di settore e quelli sottesi al codice del consumo, il quale introduce un nuovo quadro di tutela che si aggiunge ai normali strumenti di tutela, nonché a quelli derivanti dall’esistenza di diverse e specifiche discipline di settore.

Discende dal suesposto principio che la conformità della condotta sanzionata ai parametri dello IAP non è idonea ad attestare l’assolvimento degli oneri di diligenza imposti dal codice del consumo, da valutarsi alla luce delle diverse finalità di tutela allo stesso sottese, non potendo le valutazioni di un organismo di autodisciplina elidere le diverse competenze e natura dell’intervento dell’Autorità (da ultimo, Tar Lazio, I, 13 dicembre 2010, n. 36119).

Di talchè la vicenda inerente la modifica in parola e il parere IAP non assume alcun rilievo ai fini di attestare nella presente sede, secondo quanto voluto dalla doglianza in trattazione, che la società ha adottato, nelle more del procedimento, una condotta idonea ad eliminare od attenuare le conseguenze della violazione, di cui l’Autorità avrebbe dovuto tener conto nella determinazione della sanzione alla luce dell’art. 11 della l. 24 novembre 1981, n. 689, richiamato dall’art. 27, comma 13, del codice del consumo.

E ciò anche perché, e non da ultimo, la doglianza in parola si impernia sulla stessa linea argomentativa della prima censura, che considera oggetto di sanzione da parte dell’Autorità il solo claim "la tua pelle appare 15 anni più giovane" (il quale, peraltro, nella nuova versione si differenzia dal primo solo per il termine interrogativo), di cui si è già sopra accertata l’inconsistenza, atteso che dal provvedimento impugnato emerge con ogni chiarezza, secondo quanto sopra esposto, che la pratica commerciale ingannevole accertata e sanzionata dall’Autorità non riguarda esclusivamente tale claim, ma diversi profili che nel provvedimento sono puntualmente individuati e descritti.

8.3. Quanto alla durata della violazione, la società ricorrente sostiene che, non essendovi stata alcuna inserzione pubblicitaria dalla fine del mese di aprile 2009 all’inizio del mese di novembre 2009, vi sarebbe stato da parte dell’Autorità un errato calcolo della durata della violazione, stimata, in eccesso, per un periodo di dieci mesi.

Neanche tale censura può condurre agli effetti sperati in gravame, rilevato che essa si limita a considerare la sola campagna stampa, mentre è palese dall’atto impugnato che l’Autorità ha preso in considerazione anche la diffusione del messaggio pubblicitario ingannevole mediante il sito internet monotematico (paragrafi 48 e 76).

Il paragrafo 77 del provvedimento specifica che il sito internet dedicato interamente al prodotto in esame, nella versione in lingua italiana, è risultato raggiungibile a partire almeno dall’8 giugno 2009 (data della rilevazione d’ufficio) sino almeno al dicembre 2009 (come dichiarato dal professionista).

Pertanto, considerata l’accessibilità del sito in parola nel periodo temporale sopra citato (7 mesi) nonché il periodo temporale di diffusione della campagna pubblicitaria indicata dalla stessa società a pag. 13 del ricorso (febbraio/aprile 2009: tre mesi), deve concludersi che non vi è stato alcun errore da parte dell’Autorità nell’individuazione della durata della violazione.

9. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso entrano nel vivo dell’accertamento compiuto dall’Autorità e possono essere congiuntamente trattati.

9.1. Lamenta la ricorrente che la decisione assunta dall’Autorità costituisce un immotivato ed acritico recepimento delle conclusioni espresse nel parere dell’IFO.

A carico di tale parere, la ricorrente rileva innanzitutto che lo stesso conferma, più che sconfessare, i due elementi che caratterizzano positivamente il prodotto di cui trattasi, ovvero l’efficacia antirughe ed antietà del retinolo sulla pelle, nonchè l’efficacia dell’impiego dei liposomi per assicurare il maggior assorbimento dei cosmetici.

Quanto, invece, ai rilievi critici espressi dall’IFO in ordine alla metodologia scientifica utilizzata dalla società per valutare l’efficacia del prodotto e la documentazione prodotta dalla Società per attestare la dimostrazione scientifica della trasfezione del retinolo con il nuovo sistema brevettato dalla BASF con il nome "CYTOVECTOR CM", registrato in esclusiva da Lancaster in campo cosmetico come "Intra Cellular System TM", essi sarebbero frutto di un non ponderato apprezzamento della documentazione prodotta nel corso del procedimento.

L’IFO, inoltre, non avrebbe potuto pretendere a paradigma, come ha fatto, il controllo degli studi in ambito cosmetico verso placebo o verso altra preparazione similare, metodologie che non sono richieste né dalla normativa vigente in materia né dalla prassi generale dell’industria cosmetica.

L’affermazione è corroborata da richiami a varie linee guida internazionali di riferimento per l’industria cosmetica.

Indi la società, che espone di aver condotto studi clinici/scientifici nel 2008, effettuati da primari istituti riconosciuti dalle autorità sanitarie francesi, utilizzando protocolli standard e seguendo rigorosamente tali linee e le norme di riferimento in ambito cosmetico, che confermano esattamente quanto reclamizzato, ritiene che nulla possa esserle imputato quanto alla mancata verifica dei claims con le modalità richiamate dall’IFO, prive di qualsiasi base normativa.

La società, invocando la serietà e la congruenza della documentazione prodotta nel corso del procedimento, contesta anche che l’IFO abbia ritenuto non scientificamente dimostrato da parte della società sia la vantata trasfezione del retinolo con il nuovo sistema "CYTOVECTOR CM", sia l’indicato legame con la terapia genica.

Ritiene poi la società che detti studi scientifici siano stati dall’IFO vagliati superficialmente, e che, alla luce delle puntuali controdeduzioni svolte dalla società, l’Autorità avrebbe dovuto, quanto meno, aprire un contraddittorio tecnico ovvero effettuare un supplemento di istruttoria.

La società non comprende neanche perché sia stato considerato scorretto il messaggio volto ad accreditare come innovativa o pioneristica ed appartenente a Lancaster la tecnologia utilizzata per il prodotto, atteso che tale sistema è stato inventato e brevettato dalla BASF con il nome di "CYTOVECTOR CM", registrato da Lancaster come "Intra Cellular System TM", ed utilizzato per la prima volta in campo cosmetico grazie ad un accordo commerciale tra le due società che ne garantisce l’uso esclusivo nel settore.

Infine, lamenta la società che l’ingannevolezza della pratica poteva, al più, essere rilevata solo nei confronti del claim principale "La tua pelle appare 15 anni più giovane", che, comunque, è stato poi corretto e modificato dalla società.

9.2. Tenuto conto della caratura delle descritte censure, il Collegio non ritiene superfluo sottolineare che costituisce principio consolidato in giurisprudenza amministrativa che il convincimento dell’ Autorità, in caso di corretta e completa acquisizione degli elementi di fatto rilevanti, non è sindacabile se non sul piano della ragionevolezza e della congruità della valutazione, con l’esclusione di interventi di carattere sostitutivo incompatibili con l "opinabilità dei giudizi e con la non oggettività ed esattezza delle discipline di riferimento.

Da tale principio discende che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo concerne la valutazione tecnicodiscrezionale riservata all’Autorità nei limiti della verifica della congruenza logica dell’avviso espresso.

9.3. Tale congruenza è ravvisabile nella fattispecie, anche alla luce della specifica giurisprudenza della Sezione, in ordine all’ingannevolezza di claim pubblicitari che lascino intendere ai consumatori miracolosi risultati estetici, sulla base di studi tecnici e scientifici lacunosi ed insufficienti, ma presentati come inconfutabili (16 dicembre 2009, n. 13023; 26 maggio 2009, n. 5243; 6 aprile 2007, n. 3050).

E’, infatti, principio più volte affermato dall’Autorità e confermato dalla giurisprudenza amministrativa, anche della Sezione (n. 13023 del 2009, cit.), che, laddove il professionista intenda confermare l’efficacia dei propri prodotti prospettando la stessa come comprovata da studi scientifici, è tenuto a illustrare in modo esaustivo l’approccio metodologico utilizzato, i parametri presi in considerazione, le misurazioni svolte e i risultati conseguiti, in modo da consentire al fruitore del messaggio la piena comprensione dei valori enunciati.

Diversamente individuandosi la decettività del messaggio nella omissione informativa che impedisce al pubblico di percepire correttamente la reale portata dei benefici prospettati dal professionista.

Nella fattispecie, come correttamente affermato dalla difesa erariale, l’Autorità ha accertato che, a fronte di claim pubblicitari diretti a conferire al prodotto specifici risultati (percentualmente quantificati) in ordine alla riduzione della superficie delle rughe ed alla maggiore densità del derma ed al riferimento a "risultati clinici" e a "’prove scientifiche", la società non forniva ai consumatori gli strumenti per comprendere correttamente la portata e la rilevanza di tali affermazioni.

In tale contesto, l’Autorità ha tenuto conto delle informazioni rese dall’IFO, il quale ha espresso una valutazione estremamente critica in ordine alla metodologia adottata ed alla affidabilità degli studi sottesi alla campagna pubblicitaria in oggetto.

Allo stesso modo, con riferimento al claim "efficacia 100%" presente nei messaggi stampa e sulla confezione del prodotto, l’IFO ha evidenziato come la documentazione relativa alla pretesa efficacia dei sistemi di vettoriamento del retinolo, presentata come assolutamente innovativa e "ispirata alla terapia genica", fosse assolutamente insoddisfacente al fine di accreditare l’efficacia del prodotto nei termini vantati nei messaggi.

Anche i test di autovalutazione presentati nei messaggi come "risultati clinici", e condotti peraltro su un campione esiguo di donne, hanno mostrato aspetti peculiarmente critici, consistenti nella delineazione di un quadro del tutto fuorviante sulla scientificità degli elementi a supporto dell’ efficacia del prodotto.

Sulla base di tali valutazioni, quindi, l’Autorità ha correttamente ritenuto che anche il claim principale della campagna pubblicitaria "la tua pelle quindici anni più giovane" appariva scorretto, in quanto, lasciando ingannevolmente intendere che gli effetti vantati dal prodotto fossero scientificamente provati, ha "approfittato in modo sleale dell’interesse del pubblico femminile che, in quanto affetto dalle problematiche estetiche connesse all’età, è portato a prestare particolare attenzione e credito alle proposte che possano rappresentare innovative e agevoli soluzioni a tali disagi" (paragrafo 71 del provvedimento).

Entrando nel merito del parere dell’Ifo, va osservato che, come rilevato dalla ricorrente, è vero che in esso si è confermata l’efficacia antietà ed antirughe del retinolo e si è riferito che l’impiego dei liposomi può in generale garantire un maggior assorbimento di farmaci e cosmetici.

Ma tali premesse non elidono i rilievi critici nel prosieguo espressi dall’IFO, di cui l’Autorità ha tenuto conto al fini del giudizio complessivo di ingannevolezza espresso sulla campagna pubblicitaria in esame.

L’IFO ha, infatti, segnalato che gli studi allegati dalla società presentano numerose criticità sotto il profilo della loro attendibilità scientifica, in quanto:

– non è stato effettuato alcun confronto verso placebo o verso altra preparazione similare in commercio, ma solo controlli pre e post terapia valutati nello stesso soggetto con lo stesso preparato;

– non vi è stata alcuna dimostrazione scientifica in ordine alla "trasfezione del retinolo con il nuovo sistema Cytovector";

– non vi sono state spiegazioni in ordine ad alcuni dei claim contenuti nella campagna pubblicitaria, quali "ispirato alla terapia genica", "retinolo attivo per una efficacia al 100%".

Tutti questi elementi non potevano non indurre l’Autorità a non considerare attendibili gli studi allegati dal professionista con riferimento ai vanti prestazionali pubblicizzati.

Né è sostenibile che la società non abbia avuto modo di controdedurre in ordine al parere espresso dall’Ifo, giacchè è la stessa società a far riferimento più volte alle difese procedimentali formulate successivamente ed in ordine a tale parere, ancorché, evidentemente, tali difese non abbiano trovato accoglimento da parte dell’Autorità.

Anzi, alle controdeduzioni della società sulla risposta dell’IFO il provvedimento dedica vari paragrafi (3642).

Risulta quindi totalmente indenne da mende che l’Autorità, acclarata l’assenza di studi scientificamente validi a comprova dell’efficacia del prodotto vantata dal messaggio, e ricordato che il professionista ha un particolare onere di porre in essere tutti gli accorgimenti necessari per evitare di alimentare equivoci nella percezione da parte dei consumatori delle effettive caratteristiche, possibilità d’impiego e risultati ottenibili attraverso l’uso del prodotto, abbia concluso che, nella fattispecie, la società, lasciando intendere che gli effetti vantati siano scientificamente dimostrati, abbia approfittato in modo sleale dell’interesse del pubblico femminile che, in quanto affetto dalle problematiche estetiche connesse all’età, è portato a prestare particolare attenzione e credito alle proposte che possano rappresentare innovative e agevoli soluzioni a tali disagi.

Né, a fronte delle considerazioni critiche elaborate dall’IFO, che costituisce un interlocutore terzo, dotato di alta professionalità in materia, in merito alla mancanza del test con confronto con placebo o altra metodologia, l’Autorità avrebbe dovuto, come sostanzialmente preteso dalla ricorrente, riconoscere valore dirimente agli studi in senso contrario allegati dalla parte.

Infatti, l’assenza del confronto con placebo o con altra metodologia rappresenta solo uno dei molteplici elementi alla luce dei quali la documentazione prodotta nel corso dell’istruttoria non è stata ritenuta idonea a provare l’efficacia attribuita al prodotto nei diversi messaggi pubblicitari.

Ciò in quanto, ferma la libertà del professionista di scegliere il metodo di sperimentazione che preferisce, ai fini della applicazione delle norme del codice del consumo assume rilievo che l’evocazione da parte del professionista di test clinici, al fine di attribuire maggiore credibilità all’ efficacia dei prodotti che pubblicizza, dia adeguata contezza dell’attendibilità dei test eseguiti.

La Sezione ha, sul punto, precisato che, quando si usano claims del tipo "clinicamente testati", proprio perché rivolti ad attirare l’attenzione del consumatore sulla serietà e attendibilità delle sperimentazioni del prodotto, è necessario il supporto di una validazione d’efficacia particolare, ossia affidata a metodiche quanto più rigorose, scientifiche e attendibili anche in termini statistici (16 settembre 2008, n. 8339.

Va, infine, evidenziato che l’ ingannevolezza dei messaggi pubblicitari in oggetto, oltre che sulla base della non attendibilità degli studi scientifici svolti dalla ricorrente, come rilevata dall’IFO, è stata valutata avendo a riferimento anche le modalità di rappresentazione di tali risultati, elemento che assume grande valore nel giudizio di decettività dei messaggi pubblicitari. (Tar Lazio, Roma, I, 13 dicembre 2010, n. 36119.

Viene, pertanto, in considerazione specifica il fatto che i vanti relativi alle percentuali precisamente quantificate di riduzione della superficie delle rughe ("riduzione del 42%) e della maggiore densità del derma ("aumentata del 46%), rafforzate da affermazioni quali "risultati clinici", "incontestabili prove scientifiche", "un risultato eccezionale, scientificamente provato" o "confermato da test clinici dopo otto settimane", siano risultati non assistiti da strumenti che consentano ai consumatori di comprenderne esattamente portata e rilevanza.

In merito deve ricordarsi che il generico riferimento alla conduzione di specifici test clinici e sperimentazioni non può prescindere dall’indicazione – anche attraverso rinvio ad altra fonte agevolmente accessibile se il mezzo di comunicazione imponga restrizioni in termini di spazio e tempo – dei riferimenti bibliografici e del contenuto degli studi, quantomeno in forma di abstract, al fine di consentire ai consumatori di operare gli opportuni approfondimenti e verificare quanto dichiarato. A prescindere, infatti, dalla veridicità dell’ informazione, ovvero dall’attendibilità degli studi svolti, non appare corretto vantare risultati scientifici senza indicare esattamente la fonte e la più o meno ampia documentazione a supporto, in modo da permettere al consumatori di comprendere adeguatamente l’attendibilità e la portata dei risultati promessi (Tar Lazio, I, 28 febbraio 2011, n. 1811).

Quanto, ancora, alle censure rivolte alla parte del provvedimento dedicata al sistema che la società riferisce essere stato inventato e brevettato dalla BASF con il nome di "CYTOVECTOR CM", e registrato da Lancaster come "Intra Cellular System TM", e fatto oggetto di un accordo commerciale tra le due società che ne garantisce per la prima volta l’uso esclusivo nel settore, va osservato che il provvedimento non sconfessa alcuna di tali circostanze, che anzi pedissequamente riporta (paragrafo 64), bensì rileva:

– la non correttezza dell’accreditamento di tale sistema come "innovazione pionieristica", e, in generale, fortemente innovativa, atteso che la stessa è diretta a rafforzare un’efficacia del prodotto che le allegazioni del professionista non risultano potergli attribuire nei vantati termini (paragrafo 63);

– la non rispondenza al vero della immagine di scientificità che la campagna pubblicitaria accredita all’impresa titolare del marchio Lancaster, al fine di rafforzare la credibilità del prodotto reclamizzato, caratterizzandolo e distinguendolo dai concorrenti (paragrafo 64).

Costituisce, infine, una mera opinione della società che l’ingannevolezza della pratica doveva essere limitata al claim principale "La tua pelle appare 15 anni più giovane", e sanzionata, poi, con minor rigore, in ragione della intervenuta modifica di questo, di cui si è dato sopra conto.

10. Nulla muta tenendo conto delle ulteriori difese formulate dalla società nella memoria depositata in corso di giudizio.

Per un verso, infatti, dette difese non aggiungono elementi di rilievo alle questioni come sin qui trattate.

Per altro verso, con la predetta memoria, non notificata, la società, tenuto conto dei principi espressi dalla Sezione con la recente sentenza n. 30349 del 2010, espone che il segmento procedimentale nel quale è intervenuto l’avviso espresso dall’IFO ha costituito in realtà una perizia tecnica e non una risposta a richiesta di informazioni, con la conseguente necessità di una diversa modulazione, più incisiva, della partecipazione dell’interessata al segmento stesso, la cui carenza si pone quale autonomo vizio dell’atto impugnato: ma, accertato, come sopra, che in ordine alla richiesta di informazioni inoltrata all’IFO la società ha avuto modo di sviluppare le proprie controdeduzioni, la questione ora illustrata, costituendo palesemente una nuova censura, pacificamente rilevabile dalla documentazione in possesso della ricorrente all’atto della conoscenza della impugnata delibera, avrebbe dovuto essere introdotta ritualmente, nel termine decadenziale di impugnazione.

Della stessa, pertanto, il Collegio non può tener conto.

11. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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