Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-07-2011) 21-11-2011, n. 42949

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto 15.10.08 la corte di appello di Lecce ha confermato il decreto 10.10.07 del tribunale della stessa sede di applicazione a N.S. della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza; con questo decreto veniva convalidato il sequestro e veniva disposta la confisca dei beni intestati alla moglie convivente D.G. e della madre del proposto P.P..

Il difensore del N. e D. ha presentato ricorso, integrato da memoria depositata l’1.7.2010, per violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla L. n. 575 del 1965, artt. 1, 2 bis e 2 ter e L. n. 1423 del 1956, art. 4.

In merito alla pericolosità sociale, si osserva che sussiste un ampio intervallo di tempo tra la data in cui è stato instaurato il procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato e la data dei fatti posti a suo fondamento. Manca quindi il requisito dell’attualità della pericolosità, richiesto dalla unanime giurisprudenza. Nessun rilievo hanno le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, poichè esse si riferiscono sempre a fatti risalenti nel tempo.

La mera elencazione dei processi a carico del proposto e la motivazione della sentenza di condanna.

Rivenuta irrevocabile il 17.4.1992, per partecipazione ad associazione mafiosa, non offrono il necessario supporto indiziario sulla persistenza della pericolosità. Ne consegue che il giudice di merito avrebbe dovuto procedere ai necessari accertamenti, che sono invece mancati.

Quanto al provvedimento di confisca, la corte ha dato rilievo alla sproporzione dei redditi del N. e della moglie rispetto al valore dei beni, senza soffermarsi sulla riconducibilità al proposto dei beni e senza tener conto del reddito da questi prodotto in precedenza. Il giudice di appello, invece di considerare le argomentazioni e la documentazione offerta per ogni singolo cespite immobiliare, ha seguito un criterio valutativo, non prevista dalla legge, avente ad oggetto le spese sostenute dalla famiglia e il reddito prodotto dal nucleo familiare.

Comunque non tenendo conto di tutto il periodo precedente l’acquisto dei beni, ha errato il calcolo effettuato nel limitato periodo 1997- 2000.

Il difensore di P.P. ha presentato ricorso (a cui è seguito il deposito di memoria al di là dei termini di cui all’art. 611 c.p.p.), per i medesimi motivi posti a sostegno del ricorso del N., in relazione al provvedimento di confisca. Specificamente ha rilevato che l’immobile in questione venne acquistato il 9.8.1988, al prezzo di L. 26.500.000, dopo aver acquisito un reddito – negli anni 1981/1988 – di circa L. 45.000.000, a cui vanno aggiunti l’indennità di disoccupazione, la somma di tre milioni di lire, per la vendita della quota di un immobile in comunione con gli altri fratelli, e il reddito da lavoro del marito N.A. e del figlio N.S.. Pertanto è inesatta l’affermazione della corte di appello, secondo cui vi è sproporzione tra valore dell’immobile e il reddito dei N..

L’immobile, solo sette anni dopo, nel (OMISSIS) è stato concesso dai genitori in uso al figlio S., alla moglie e ai figli.

I motivi dei ricorsi sono manifestamente infondati, in quanto formalmente prospettano vizi di legge, ma concretamente contengono critiche alla impalcatura logica della motivazione, del tutto inammissibili.

La limitata verifica, propria del giudizio di legittimità sul provvedimento impugnato, ha un indiscutibile esito positivo.

La corte ha rievocato, seguendo e rafforzando il percorso argomentativo del decreto del tribunale, che N.S. è stato condannato con sentenza, irrevocabile il 17.4.1992, a seguito di accertamento dell’inserimento nel contesto mafioso, denominato "Sacra Corona Unita".

Le indagini e svolte e la documentazione acquisita dimostrano, secondo una razionale valutazione dei giudici di merito, che il N. ha acquisito all’interno dell’associazione le risorse poi investite nell’acquisto del suo patrimonio. Ulteriore documentazione ha confermato questa dimensione criminale del proposto, cadenzata dalla consumazione di gravi delitti contro la persona e con uso di armi da fuoco. Le dichiarazioni di collaboratori – di controllata affidabilità – hanno proiettato a tempi recenti questo metodo di vita del proposto radicato nell’illegalità nello specifico campo patrimoniale (furti, rapine, usura) Questo solido legame tra passato e presente, senza soluzione di continuità, ha conferito alla pericolosità del N. una pervicace ed evidente attualità. La sussistenza di questo connotato è rafforzata dal mancato accertamento di qualsiasi cesura del suo legame con il potente sodalizio mafioso. Questa militanza nel mondo del crimine si è naturalmente concretizzata nel conseguimento di beni mobili e immobili, altrimenti irraggiungibili per qualsiasi disoccupato o sottoccupato del nostro paese.

A così "generosa" e produttiva fonte di ricchezza, corrisponde un vuoto totale di altre fonti di reddito sufficiente per l’acquisto dei beni in sequestro: il N. e anche la moglie e la madre – formali proprietarie dei suoi beni – sono assolutamente estranei ad attività lavorative idonee a conseguire altro che una sofferta sopravvivenza.

Tali conclusioni sono state raggiunte dalla corte con minuziosi calcoli che conferiscono loro assoluta affidabilità.

La motivazione del decreto ha quindi lo spessore che la rende assolutamente immune da censure in sede di giudizio di legittimità, dovendosi escludere che ricorra l’ipotesi di violazione di legge, sub specie di motivazione apparente.

Va a questo punto ulteriormente rilevato che in questa sede il controllo del provvedimento è limitato alla verifica della rispondenza degli elementi esaminati ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole misure di prevenzione.

Considerato il suindicato esito positivo di tale verifica in relazione al provvedimento impugnato, i motivi dei presenti ricorsi sono da considerare manifestamente infondati. Come già rilevato, formalmente sono presentati come diretti a censurare violazioni di legge, ma sostanzialmente si sono rivelati come critiche, del tutto inefficaci, della logicità della motivazione.

I ricorsi vanno quindi dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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