Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-07-2011) 21-11-2011, n. 42923

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 16.4.2010, la corte di appello di Torino, in riforma della sentenza 11.4.05 del Gup del tribunale di Alessandria, ha condannato, N.O. previa concessione delle attenuanti generiche, ritenuta la diminuente del rito, alla pena di 1 anno e 10 mesi di reclusione e alle conseguenti pene accessorie, perchè ritenuto colpevole del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, perchè, in qualità di socio di fatto dell’impresa "L’Idea Più", avente ad oggetto il commercio al dettaglio di articoli casalinghi, cristallerie, mobili e arredamenti, dichiarata fallita il 23.8.01, aveva distratto, tra il settembre 2000 e i primi mesi del 2001, beni del patrimonio sociale dell’impresa del valore di Euro 767.000, facendo incetta di beni di vario genere, omettendo di pagarli e cedendone parte a prezzo vile a Nuova Cam. Sas e parte a soggetti non identificati. Il N. ha presentato ricorso e memoria difensiva per i seguenti motivi:

1. vizio di motivazione: il giudice di appello ha affermato la responsabilità solo perchè il ricorrente si trovava al posto sbagliato,nel momento sbagliato e quindi è stato dichiarato colpevole quale autore del dissesto finanziario della società fallita, il ricorrente sostiene la superfluità della sua opera nell’azione di distrazione, in quanto i titolari dell’impresa (Marino Vito, condannato,nello stesso procedimento, alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione e alle connesse pene accessorie e la moglie C.G., giudicata separatamente) erano da anni alle prese con il dissesto ed erano in grado da soli di architettare ed eseguire il progetto truffaldino ai danni dei creditori. Inoltre egli era solo un esperto in arredamento e non poteva accorgersi delle manovre poco chiare dei titolari. Unico suo compito era quello di aiutarli nell’acquisto e nella vendita di mobili e mantenne il suo impegno anche dopo che la merce era stata danneggiata dalle infiltrazioni d’acqua nel capannone di proprietà di M. C.. Il ricorrente poi esamina in maniera critica le dichiarazioni dei testi, dalle quali i giudici di appello hanno tratto il convincimento sulla sua responsabilità. Particolare attenzione dedica alla testimonianza del locatario del capannone in cui erano i mobili (sottolineando il contrasto di interessi con il Ma., che, dopo il danneggiamento dei mobili causato dalle infiltrazioni d’acqua, aveva esercitato azione di risarcimento per l’importo di Euro 83.000) e alla testimonianza di un fornitore, B.F. (che dopo aver dichiarato, di aver sempre trattato con il marito della C., per puro disguido, ha riconosciuto nel ricorrente,attraverso una foto mostratagli, il titolare dell’impresa con cui aveva negoziato la vendita). Queste carenti prove di accusa perdono ogni consistenza a causa delle convincenti prove in favore della difesa. Innanzitutto, l’esito negativo della perquisizione effettuata nell’abitazione e nell’auto del ricorrente. Inoltre la contabilità esaminata dalla polizia tributaria non contiene alcun titolo o ordine di pagamento emesso dal N. e/o collegabile a lui. Infine, sono da valutare le dichiarazioni liberatorie del Ma., che ha escluso ogni complicità del ricorrente, addossando a se stesso e alla moglie ogni responsabilità.

Le doglianze del N. sono manifestamente infondate.

Le argomentazioni critiche del ricorrente propongono una valutazione delle risultanze processuali ingiustificatamente alternativa rispetto a quella assolutamente razionale, e quindi insindacabile, effettuata dalla corte di merito.

In base alla relazione del curatore, alle indagini della polizia tributaria e alle dichiarazioni testimoniali, è risultato che la C., in data 26.1.00 ha ceduto l’azienda al marito Ma.

V., che, a sua volta, il 7.7.2000, la ha rivenduta, allo stesso prezzo di 1 milione di lire, alla C.. Nell’autunno di quell’anno i coniugi decisero di ampliare il numero degli articolo trattati, al fine di procurarsi gli utili che l’attività originaria della vendita di prodotti per la casa non poteva assicurare. Nella nuova attività si è associato il N., in un momento in cui L’Idea Più versava in una situazione di crisi profonda, per la contrazione inarrestabile di vendite e per il conseguente forte indebitamento verso gli istituti di credito. In questo contesto temporale e finanziario, con il contributo di N., fu disposto l’acquisto di merci di vario genere, in previsione di mancato pagamento dei fornitori, merce che, in base al successivo evolversi dei fatti, è risultata senza alcuna prospettiva di ordinaria vendita, ma con quella della vendita a prezzo vile ad altre imprese, tra cui la "Nuova Cam", da cui dipendeva il N..

Questi, in base alle dichiarazioni della C. e dei commercianti che ebbero rapporti con la "Idea più", ha avuto un’autonomia gestionale, incompatibile con un ruolo di semplice collaboratore dipendente o di consulente esterno.

Pertanto è pienamente fedele a queste risultanze probatorie e alla loro logica interpretazione la conclusione della corte di merito, secondo cui il ricorrente ha svolto attività gestoria,all’interno dell’impresa fallita, avente connotati di sistematicità e continuità, nel corso dello svolgimento di attività imprenditoriale illecita svolta dai coniugi Ma./ C. (incetta di merce da non pagare e da vendere sottoprezzo), con particolare riguardo alla consumazione delle condotte distrattive. La sentenza impugnata ha dato il giustificato rilievo accusatorio alle dichiarazioni dello stesso N., che ha ammesso di aver collaborato nel tempo della consumazione della distrazione dei beni, avendo continuativamente presenziato nel magazzino/deposito ove i beni acquistati transitavano, accettando che C. e Ma. lo presentassero ai fornitori come architetto, sebbene fosse solo diplomato in ragioneria.

Le osservazioni critiche sulla credibilità del teste M. sono del tutto infondate, in quanto la causa della asserita faziosità della sua versione dei fatti è individuata in una conflittualità sul piano civilistico con il Ma., rispetto alla quale il ricorrente è estraneo. Ancor meno fondata, per la sua illogicità, è la tesi secondo cui alla base di false dichiarazioni testimoniali vi sia la spinta emotiva, diretta allo "screditamento generale di tutti i protagonisti della vicenda".

Quanto al teste B., agente di imprese vinicole, l’esattezza del riconoscimento fotografico non è smentita dall’affermazione di aver sempre operato con il titolare dell’impresa, essendo questa attribuzione di qualità logicamente compatibile sia con la suindicata attività gestoria dell’impresa commerciale, di fatto imputabile al N..

Le altre critiche alla motivazione della sentenza, laddove il giudice di appello valuta le dichiarazioni dei testi, sono del tutto inammissibili, in quanto tale valutazione, come già detto, è stata compiuta con una piena fedeltà al loro contenuto e a una loro coerente valutazione logica.

Con i rilievi critici il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione.

La linearità storica e logica della ricostruzione e della valutazione dei fatti, compiute dalla corte di merito giustifica l’esclusione di rilevanza per favorevoli risultanze processuali (quali le dichiarazioni del Ma. e l’assenza di titoli o ordini di pagamento emessi dal N.), in quanto riconosciute inidonee ad avere pari o prevalente spessore di capacità persuasiva rispetto a quelle documentali e dichiarative, su cui è fondata l’affermazione di responsabilità.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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