Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6875 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– 1.Par.. Con il presente gravame l’appellante chiede, sotto due profili, la riforma della sentenza con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso diretto all’esecuzione della decisione del medesimo Tar Bari n. 5535 del 22.12.2005, con cui era stata annullata la dichiarazione di decadenza dal permesso di costruire n. 2005157 del 30.6.1995.

Con il presente ricorso in ottemperanza si chiede il rilascio, ex novo, di una concessione con l’assegnazione di nuovi ed ulteriori termini per l’esecuzione dei lavori, che tenga conto all’attualità del periodo di sospensione dovuto al giudizio.

Si è costituito in giudizio il Comune che, con memoria ha contestato le tesi di controparte e con l’annesso appello incidentale, ha a sua volta gravato la decisione sul punto in cui ha disposto la compensazione delle spese.

Chiamata alla Camera di Consiglio, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è infondato.

1. In primo luogo deve essere respinto il primo motivo con cui la società ricorrente lamenta che, a norma dell’art. 156 c.p.c., l’invito ad ottemperare abbia ottenuto il suo scopo, dato che il Comune di Polignano ha comunicato la sua intenzione di non ottemperare. Per questo non sarebbe stata necessaria alcuna diffida. Di qui l’erroneità dell’inammissibilità, affermata dal TAR, per la mancata preventiva notifica all’Amministrazione di un formale atto di messa in mora, con assegnazione di un termine ad adempiere, ai sensi dell’art. 90 comma 2 r.d. 17 agosto 1907 n. 642.

Al contrario, nel regime precedente l’art. 90, comma 2 r.d. 642/1907 disponeva che l’azione di ottemperanza non poteva essere proposta prima di trenta giorni dopo la notifica di atto di diffida e messa in mora (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 20).

Il motivo va dunque disatteso.

2. Con il secondo motivo si contesta l’affermazione del Tar per cui la sentenza avrebbe natura c.d. autoesecutiva, e quindi sarebbe stata di per sé inidonea a ripristinare le posizioni lese col suo semplice effetto demolitorio, non residuando in capo all’amministrazione alcun obbligo né di compiere ulteriori attività giuridiche o materiali né di far luogo a provvedimenti aggiuntivi da parte del giudice dell’ottemperanza.

Al contrario, per l’appellante, la sentenza non era "autoesecutiva" in considerazione del fatto che, in elusione del giudicato, il Comune aveva redatto un verbale che dava atto del mancato inizio dei lavori e, di conseguenza, avrebbe reso impossibile l’ulteriore edificazione. La sentenza di merito aveva invece sottolineato come, una volta comunicato l’inizio dei lavori il 1 luglio 2005, non aveva rilievo l’assenza di ogni traccia di cantiere.

Anche tale mezzo va disatteso.

Esattamente il TAR ha affermato che, nella specie, si trattava di una sentenza autoesecutiva per cui giustamente il ricorso proposto per l’ottemperanza e stato dichiarato inammissibile.

Nelle sentenze autoesecutive, l’effetto giuridico si realizza, esclusivamente mediante l’emanazione da parte del giudice della statuizione di annullamento, senza che dal giudicato derivi per l’amministrazione alcun obbligo di compiere ulteriori attività materiali o giuridiche (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 30 settembre 2008, n. 4723).

Per questo le tesi difensive del Comune meritano di essere sostanzialmente condivise.

Sotto il profilo procedimentale si osserva che, in conseguenza della comunicazione in via amministrativa della sentenza in data 27 dicembre 2005 e dalla relativa data, il titolo edilizio aveva infatti automaticamente ripreso la sua ordinaria efficacia.

Se l’annullamento della decadenza della concessione esauriva la sua forza precettiva nell’eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento impugnato a decorrere dal 27 dicembre 2005, rimane del tutto indifferente il comportamento che l’amministrazione ha tenuto successivamente al riguardo.

Né la ricorrente indica con esattezza quando — successivamente alla pubblicazione della sentenza di merito ma prima della scadenza del termine triennale per il completamento dei lavori — sarebbe stato fatto questo ulteriore verbale di inibitoria all’edificazione. In ogni caso tale profilo è allo stato irrilevante.

La mancata realizzazione dell’edificazione è derivata solo dall’inerzia dell’appellante che, una volta annullata la decadenza della concessione:

– né ha ripreso e completato i lavori nel periodo di tempo che gli residuava successivamente alla data di pubblicazione della sentenza;

– neppure ha tempestivamente richiesto all’amministrazione una proroga.

Al riguardo il provvedimento di decadenza di per sé:

– non aveva determinato automaticamente l’interruzione del termine di realizzazione, ma come tutti i fatti sopravvenuti, poteva solo legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell’art. 15, comma 2 d.P.R. n. 380 del 2001;

– non aveva comunque rilievo automatico, ma poteva solo costituire oggetto di un’istanza da valutarsi in sede amministrativa qualora l’interessato abbia proposto un’apposita domanda di proroga per evitare la decadenza del titolo edilizio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4423).

In caso di annullamento della decadenza di una concessione per la sopravvenienza di previsioni contrastanti, il termine triennale di completamento dei lavori di cui all’art. 15, 4° co. de d.p.r. n.380/2001 — interrotto dal provvedimento di decadenza poi annullato — comunque riprende a decorrere per la parte che ancora residuava.

Sotto il profilo sostanziale si deve in definitiva rilevare che:

– il termine iniziale della concessione doveva essere individuato dalla comunicazione di inizio lavori del 1.7.2005;

– era stato interrotto il 6.10.2005 dalla decadenza della concessione;

– era ricominciato a decorrere il 22 dicembre 2005 data della pubblicazione della sentenza;

– era quindi comunque irrimediabilmente decorso nel settembre del 2008.

Nel caso in esame la mancata soddisfazione del bene della vita era derivata dal meccanismo di cui all’art. 15, comma 2 del d.P.R. n. 380 cit..

Il motivo è dunque infondato e deve essere confermata la declaratoria dell’inammissibilità del gravame di primo grado.

– 3. Deve altresì essere respinto l’appello incidentale in quanto la natura obiettivamente controversa delle questioni ben giustificava la compensazione delle spese in primo grado.

– 4. In definitiva la declaratoria di inammissibilità del gravame deve essere confermata, sia pure con le integrazione motivazionali di cui in motivazione.

L’appello principale va quindi in ogni caso respinto.

L’appello incidentale, per il medesimo ordine di considerazioni di cui al punto 3, va ugualmente respinto.

Le spese possono in conseguenza essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta):

– 1. Respinge gli appelli principale ed incidentale di cui in epigrafe.

– 2. Spese Compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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