Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6874 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 5300 del 2010, M. A. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione settima, n. 1665 del 25 marzo 2010 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Sorrento per l’annullamento del provvedimento n. 13 del 1°.04.2008, con cui il Dirigente del V dipartimento del Comune di Sorrento ha respinto l’istanza di permesso di costruire presentata dalla ricorrente, nonché del parere della commissione edilizia comunale dell’11.12.2007.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso di essere proprietaria di un fondo sito nel Comune di Sorrento alla via S. Antonio, e di aver chiesto al predetto Comune un permesso di costruire per la realizzazione di una struttura extra alberghiera (ostello della gioventù), per una superficie di mq 468,20, di gran lunga inferiore a quella consentita dalla l. reg. n. 17/1982 e che tale fabbricato si articolava su tre livelli fuori terra per un’altezza compresa tra mt. 13,70 e mq 14.

Tuttavia, con l’atto impugnato, l’amministrazione rigettava l’istanza, dando origine al contenzioso giurisdizionale.

Costituitosi il Comune di Sorrento, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondata la ricostruzione proposta dalla parte privata, sottolineando la natura non espropriativa del vincolo apposto sull’area.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’erroneità, in fatto ed in diritto, della decisione gravata, riproponendo le ragioni sostenute davanti al T.A.R..

Nel giudizio di appello, si costituiva il Comune di Sorrento, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 20 luglio 2010, l’esame dell’istanza cautelare veniva rinviato al merito.

Alla pubblica udienza del 20 luglio 2010, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

Motivi della decisione

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di diritto, la ricorrente si duole di error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 1187 del 1968, dell’art. 9 del d.P.R. 327 del 2001 e della legge regionale n. 17 del 1982; eccesso di potere rilevabile tramite le figure sintomatiche del difetto di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, irrazionalità, erroneità nei presupposti di fatto e di diritto.

La doglianza si fonda sull’affermata decadenza dei vincoli espropriativi gravanti sull’area di proprietà dell’appellante e quindi sulla trasformazione del terreno di interesse in area non pianificata e quindi soggetta ai limiti di edificabilità valevoli per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici. Nel dettaglio, si afferma che l’intervenuta decadenza sarebbe conseguenza della destinazione precedentemente impressa all’area, ossia quella a "verde attrezzato – tempo libero e sport" per la particella n. 220 e quella ad "attrezzature di interesse comune – verde attrezzato e sport" per la particella n. 268, di carattere espropriativo e non conformativo e che pertanto avrebbe errato sia l’amministrazione che il primo giudice a non riconoscere in concreto l’esistenza di una situazione di non ulteriore sussistenza del vincolo.

Con il secondo motivo di diritto, fondato sugli stessi vizi, l’appellante lamenta come, specialmente in relazione alla particella n. 220, si verta in una situazione di inedificabilità assoluta. Non potendosi quindi realizzare alcun tipo di struttura, deve quindi riconoscersi la natura espropriativa del vincolo originariamente apposto, con sua contestuale durata limitata nel tempo e quindi decadenza allo spirare del termine quinquennale di vigenza.

Le doglianze contenute nei primi due motivi di ricorso attengono quindi entrambe alla qualificazione della destinazione impressa all’area ed alla sua natura espropriativa o conformativa e possono quindi essere esaminate contestualmente.

2.1. – Le censure non hanno pregio.

Occorre evidenziare come la ricostruzione operata dalla difesa appellante sulla necessità di un accertamento in concreto sui contenuti e quindi sugli effetti della destinazione impressa all’area appare del tutto coerente con la pacifica giurisprudenza in tema di rapporto tra previsioni conformative ed espropriative.

La sussistenza di vincoli preordinati all’espropriazione, contenuti nel piano regolatore generale ovvero in altri strumenti urbanistici, dopo i fondamentali interventi della Corte Costituzionale, che riconobbe l’illegittimità della disciplina dell’indeterminatezza temporale dei vincoli preordinati all’espropriazione contenuta nella legge urbanistica (Corte Cost., 29 maggio 1968 n. 55) e la modica normativa di cui alla legge 19 novembre 1968 n. 1187, con la previsione di una durata quinquennale del periodo di vigenza di tali previsioni, è valutata dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in senso strettamente contenutistico. Si afferma infatti, con principio non contestato, che costituiscono vincoli soggetti a decadenza solo quelli preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificazione, e che dunque svuotino il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio. (Consiglio di Stato, sez. V, 3 gennaio 2001 n. 3; id. sez. IV, 17 aprile 2003 n. 2015 e 22 giugno 2004 n. 4426).

In disparte quindi la tematica della reiterazione del vincolo, che in questa sede non viene in evidenza, la soluzione della questione sottoposta a scrutinio passa quindi attraverso la disamina del contenuto oggettivo della norma dello strumento urbanistico tramite la quale viene data la destinazione d’area.

Anche in questo caso, appare fondamentale la posizione assunta dalla Corte costituzionale che, dichiarando l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e dell’art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ha chiarito alcuni aspetti essenziali della questione. In dettaglio, la Corte, dopo aver precisato in senso positivo che sono vincoli ad effetto espropriativo quelli che possono "comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati", ha sottolineato, in senso negativo, che "devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili". Accanto a questi, sono considerato ancora come imposizioni di carattere non espropriativo "i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblicoprivata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato".

La griglia argomentativa predisposta dalle decisioni della Corte costituzionale, come applicata nelle decisioni del giudice amministrativo, consente di dare risposta ai quesiti posti nella questione in esame. Questa Sezione, proprio esaminando il tema della destinazione a zona verde, ha potuto affermare (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 febbraio 2005 n. 693), con riferimento ad una destinazione a "verde sportivo", che "il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell’attività edilizia realizzabile sul terreno. E’ sufficiente, quindi, rilevare che, nel caso di specie, la destinazione a verde sportivo comportava espressamente la realizzazione, anche da parte di privati in regime di economia di mercato, di attrezzature destinate all’uso pubblico, per escludere che l’imposizione del relativo vincolo necessitasse della contestuale previsione dell’indennizzo".

Nel caso in specie, le aree, ricadenti entrambe nella zona omogenea I del PRG del Comune di Sorrento, sono sottoposte ad una disciplina che prevede, sulla base dell’art. 21 del citato strumento urbanistico, la possibilità di realizzare "attrezzatura di interesse comune, per l’utenza stagionale in aggiunta a quelle riservate ai residenti", stabilendo che le "aree a verde per lo sport sono destinate oltre che a parchi urbani, a campi ed attrezzature per il gioco e per lo sport, comprese le palestre, le piscine e i campi coperti, purché con coperture smontabili o pneumatiche nelle dimensioni regolamentari".

I contenuti del PRG, come sopra indicati, escludono quindi l’esistenza delle condizioni normative per ritenere esistente un vincolo di carattere espropriativo, atteso che sono consentite espresse funzionalizzazioni dell’area in ragione del suo sfruttamento economico, compatibilmente con la tutela del territorio. Si verte quindi in questioni di carattere conformativo della zona, e non di carattere espropriativo.

La detta natura delle previsioni esclude di poter dare accoglimento alla censura, dovendosi confermare l’operato dell’amministrazione e del giudice di prime cure che, ritenendo il vincolo apposto di carattere conformativo, lo hanno ritenuto non soggetto alla decadenza quinquennale prevista e per legge e quindi ancora valido ed efficace, circostanza vagliata dall’amministrazione in modo esaustivo anche in sede motivazionale.

3. – Con il terzo motivo di diritto, viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990, della legge regionale 35 del 1987, dell’art. 4 della legge 17 del 1982 e dell’art. 2 della legge 1187 del 1968; difetto di motivazione e di istruttoria; illogicità; irrazionalità; errore di fatto e di diritto; violazione dell’art. 97 della Costituzione. Nel concreto, si evidenzia come l’amministrazione non abbia operato un concreto esame della situazione di fatto, limitandosi ad una motivazione generica che non teneva conto dell’intervenuta decadenza e quindi della consequenziale nuova disciplina urbanistica applicabile. In ogni caso, l’amministrazione avrebbe dovuto "valutare concretamente la sussistenza del vincolo ponendolo in comparazione con quello del privato e con gli altri interessi pubblici quali quello dello sviluppo industriale dell’area di competenza".

3.1. – La doglianza non è fondata.

La carenza di motivazione evidenziata si snoda su due diversi profili.

Il primo attiene alla valutazione dell’esistenza e della natura del vincolo gravante sull’area, ed è stata già esaminato in relazione ai motivi di doglianza precedentemente scrutinati.

Il secondo attiene al mancato adempimento all’onere per la pubblica amministrazione di procedere ad una comparazione degli interessi pubblici e privati in relazione all’istanza proposta, e va ora esaminato.

La seconda questione non ha fondamento, mirando a confondere e sovrapporre fasi e strumenti procedimentali di diversa natura e funzione.

Va, infatti, rimarcato come la valutazione contrapposta tra i diversi interessi gravanti sul territorio è vicenda che appartiene alla pianificazione urbanistica, mentre invece nella vicenda in esame si tratta di valutare il mancato rilascio di un permesso di costruire, ossia una vicenda procedimentale in cui la pianificazione, e quindi la valutazione contrapposta degli interessi, è dato presupposto e non contestabile. Il titolo abilitativo edilizio è atto consistente in un provvedimento vincolato al riscontro della conformità del progetto del proposto intervento costruttivo alla normativa urbanistica ed edilizia in atto vigente, senza che residui in capo all’amministrazione comunale alcun margine di discrezionalità amministrativa (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2008, n. 4756) e quindi il procedimento per il suo rilascio impedisce all’amministrazione qualsiasi ulteriore valutazione di carattere comparativo, che andrebbe ad incidere sulla natura stessa del rilascio.

4. – L’appello va quindi respinto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 5300 del 2010;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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