Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6871 Appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze del T.A.R

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 8351 del 2007, M. A. B. L. e V. B. propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione prima, n. 1481 del 28 novembre 2011 con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno a carico del Comune di Cosenza per l’occupazione usurpativa o acquisitiva della proprietà immobiliare, per la quota di 6/9 delle ricorrenti, descritta nella parte motiva del ricorso (p. 13 e ss.), e la conseguente condanna del Comune al risarcimento del danno.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, le parti ricorrenti avevano di essere proprietarie pro quota di alcuni terreni, censiti al catasto del Comune di Cosenza al foglio 6, di 10351 mq di superficie.

Esponevano nel ricorso che con precedenti delibere del 1984 e del 1987 erano stati localizzati gli interventi destinati a nuove costruzioni, con delibera n. 1289 del 27/10/93 il Commissario Straordinario del Comune di Cosenza deliberava un programma integrato di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata di S. Vito Alto; confermava le localizzazioni effettuate con le precedenti delibere; dava atto che tale individuazione comportava la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e l’indifferibilità ed urgenza dei lavori, approvava gli atti espropriativi e fissava i termini iniziali e finali dei lavori nonché della procedura espropriativa.

Con successiva delibera del 21/12/94 approvava il solo piano particellare di esproprio e rifissava nuovamente i termini per l’inizio e la conclusione dei lavori e della procedura espropriativa.

Con la delibera del 1993, contenente, secondo la difesa delle ricorrenti, la dichiarazione di pubblica utilità, il termine entro il quale sarebbe dovuto intervenire il decreto di esproprio era quello del 21/12/98, mentre il decreto sarebbe stato emesso a termini scaduti, ovvero il 28/5/1999.

Esponevano le ricorrenti che neanche i lavori sarebbero iniziati nei termini di cui alla delibera del 1993, né è intervenuta nei termini l’occupazione d’urgenza.

Le ricorrenti, a fronte della ormai l’irreversibile trasformazione dei terreni di loro proprietà, per avere il Comune costruito del palazzi, deducevano l’adozione del decreto di esproprio a termini scaduti, non più sorretto, quindi, da una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità.

Esse sostenevano essersi verificata, pertanto, l’occupazione usurpativa che darebbe loro il diritto alla restituzione del bene o al controvalore ed il risarcimento integrale del danno o, qualora, si dovesse qualificare tale occupazione come appropriativa, il solo risarcimento dei danni nella misura di legge.

Le ricorrenti facevano, altresì, presente di aver proposto azione per la medesima pretesa avanti al Tribunale ordinario di Cosenza, nell’incertezza sulla giurisdizione in materia, e di avere pendente un giudizio avanti alla Corte d’Appello di opposizione alla stima.

Costituitasi in giudizio l’intimata Amministrazione comunale, eccependo la prescrizione del diritto al risarcimento del danno e resistendo nel merito, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva inammissibile il ricorso, per essersi già espresso, con la precedente sentenza n. 1508 del 2000, sulla legittimità del decreto di esproprio in questione.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, in relazione alle ragioni di censura proposte e sostiene la fondatezza delle proprie ragioni.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Cosenza, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

Motivi della decisione

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato come IA, di carattere pregiudiziale, l’appellante deduce un’eccezione di litispendenza rispetto al giudizio proposto davanti al Tribunale di Cosenza in data anteriore e per le stesse ragioni. Ciò in quanto, a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 4109 del 2007 (e poi della pronuncia della Corte costituzionale n. 77 del 2007), con la quale si è statuito di poter fare uso dell’istituto della transatio iudicii in caso di una pronuncia negativa sulla giurisdizione, deve ritenersi che il principio contenuto nella detta sentenza abbia conseguenze anche sugli altri istituti processuali, logicamente connessi o collaterali.

2.1. – L’eccezione non ha pregio.

Le pronunce appena evocate non incidono sull’ordinaria configurazione del fenomeno della litispendenza, come fenomeno processuale operante con riferimento a procedimenti pendenti dinanzi a giudici parimenti muniti di competenza e non, anche, in ipotesi di contemporanea pendenza della medesima causa davanti a differenti autorità giurisdizionali (secondo la giurisprudenza pacificamente applicata antecedentemente, ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 30 agosto 2005, n. 4419; Cass., sez. lav., 30 agosto 2000, n. 11404).

In effetti, sia la pronuncia della Corte costituzionale, 12 marzo 2007, n. 77, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione, sia il precedente arresto della Cassazione civile, sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, che ha utilizzato l’istituto della translatio iudicii per consentire la conservazione degli effetti processuali nel caso di un processo iniziato erroneamente davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione indicata, sono entrambe sentenze che postulano la sussistenza di un sistema di autonomia dei plessi giurisdizionali (significativamente, la pronuncia delle sezioni unite parte dalla constatazione per cui, in base al diritto vivente, "la translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa) presuppone necessariamente l’unicità della giurisdizione", per giungere poi, rimeditando sugli effetti di tale affermazione, ad affermare la prevalenza delle ragioni di conservazione degli effetti processuali "nel rispetto del principio che ogni giudice è giudice della propria giurisdizione").

Tale autonomia non è stata incisa nemmeno successivamente dagli interventi legislativi, il più rilevante dei quali, ossia il codice del processo amministrativo, all’art. 11, ha ulteriormente salvaguardato il sistema di riparto, evidenziando come, facendo salva l’attribuzione al singolo giudice sulla valutazione della propria giurisdizione ed ampliando il ricorso al conflitto di giurisdizione, le esigenze di tutela delle parti durante la trasmigrazione del giudizio siano garantite dalla conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda.

L’eccezione va quindi respinta.

3. – Con il secondo motivo di diritto, rubricato come IB e sviluppato sotto più profili, viene dedotto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in relazione alla circostanza che si verta di una fattispecie in cui i poteri pubblicistici erano stati esercitati in totale carenza dei vincoli preordinati all’esproprio.

3.1. – La doglianza è infondata.

Va innanzi tutto precisato che l’affermazione sulla quale si fonda la ricostruzione della parte appellante, ossia l’inesistenza dei presupposti normativi per l’esercizio dei poteri espropriativi, è sfornita di elementi di sostegno, atteso che la procedura espropriativa, già precedentemente gravata dalle stesse parti, è stata ritenuto legittima dal T.A.R. della Calabria con sentenza n. 1508 del 2000. In dettaglio, la detta impugnativa mirava sia all’annullamento del decreto di occupazione d’urgenza n.180 del 12.11.1993, nonchè delle deliberazioni nn.822 del 10.5.1982, n.1075 del 30.7.1984, n. 157 del 23.3.1987, n.784 del 21.10.1988 n. 14 del 18.4.1990 e n. 1194 del 30.7.1991, tutte relative alla localizzazione ed approvazione di un programma di edilizia residenziale pubblica da realizzarsi in Cosenza al rione S.Vito Alto, come pure all’annullamento del decreto dirigenziale n.60 del 28 maggio 1999 avente ad oggetto espropriazione per pubblica utilità degli immobili necessari per la realizzazione del programma di edilizia integrata in S.Vito Alto del comune di Cosenza Prima censura.

La pronuncia reiettiva rende quindi palese l’inesistenza del presupposto giuridico da cui parte la difesa appellante e non è dato cogliere la ragione per cui il T.A.R. non avrebbe dovuto tener conto della propria precedente decisione, come lamentano le appellanti nella parte finale del motivo, decisione che riguardava proprio l’esistenza di uno degli elementi della fattispecie risarcitoria la cui pretesa fondava l’azione delle parti ricorrenti.

In merito poi all’eventuale ulteriore sussistenza di un difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, determinato dalla circostanza che la potestà pubblicistica debba essere ritenuta inesistente in quanto il decreto di esproprio era stato adottato una volta che il termine all’uopo previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità era ormai decorso, va evidenziato come si tratti di un argomento inconsistente.

In disparte la questione della fondatezza di tale assunto, che verrà esaminato nel prosieguo della decisione, deve ricordarsi che la questione proposta non ha i caratteri della novità. Come già più volte evidenziato da questa Sezione (da ultimo, in relazione ad una fattispecie in cui, proprio come quella di cui si verte, l’eccezione proveniva singolarmente da colui che in prime cure ha adito il giudice amministrativo, Consiglio di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 7754), la censura deve essere disattesa, alla luce dell’orientamento recentemente valorizzato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la nota sentenza n. 30254 del 2008. In tale pronuncia, la Suprema Corte ha chiarito che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende alle controversie contro atti e comportamenti che costituiscono esecuzione di precedenti manifestazioni del potere ablatorio della pubblica amministrazione, ivi compresa la domanda concernente un decreto di esproprio adottato dopo la scadenza del termine stabilito nella dichiarazione di pubblica utilità.

La doglianza va quindi respinta.

4. – Con il terzo motivo di diritto, rubricato come II ed articolato in più profili, si chiede a questa Sezione di pronunciarsi sulla piena ammissibilità e fondatezza della domanda di accertamento dell’illecito e di condanna al risarcimento dei danni patiti.

La questione sorge dalla circostanza che il giudice di prime cure ha ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria sulla base della mera osservazione che la pregressa sentenza n. 1508 del 2000 aveva dichiarato la legittimità della procedura.

La parte appellante evidenzia, riprendendo parte delle argomentazioni precedentemente dedotte a sostegno della tardività del decreto di esproprio, come invece la domanda proposta dovesse essere esaminata dal T.A.R., proprio in relazione alle ragioni di illegittimità della procedura nuovamente dedotte, e dovesse portare all’affermazione della fondatezza della pretesa risarcitoria.

4.1. – La questione sottoposta, che è infondata nel merito, come si vedrà in seguito, pone peraltro delicati problemi di carattere processuale in merito alla sua ammissibilità.

Va, infatti, evidenziato come la domanda risarcitoria fondi il presupposto dell’illegittimità degli atti amministrativi, elemento necessario per la sua accoglibilità, su un vizio non dedotto nell’originaria impugnazione degli atti della procedura espropriativa, ossia sulla censura di tardività del decreto di esproprio. Pertanto, la sentenza del T.A.R. della Calabria n. 1508 del 2000, che ha pronunciato sulla legittimità della procedura stessa, si è espressa su altre ragioni di doglianza degli atti amministrativi e non sulla questione del momento in cui era stato emesso l’atto conclusivo.

Stante l’oramai assodata autonomia dell’azione di annullamento e di quella di condanna, come sancito dalla riforma del processo amministrativo, la vicenda pone quindi il quesito dell’ammissibilità della domanda risarcitoria una volta che sulla legittimità del provvedimento a monte sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale, che abbia assodato la correttezza dell’azione pubblica ma in relazione a vizi diversi. Si pone pertanto il tema della riproponibilità, in via incidentale ed all’interno dell’azione risarcitoria e dopo aver già percorso inutilmente la strada dell’azione di annullamento, della domanda di accertamento dell’illegittimità dell’atto amministrativo, per altri vizi, ai soli fini della decisione sul danno subito.

La questione è poi complicata dalla circostanza che, vertendosi in una fattispecie di illecito permanente, come quello dell’utilizzo di un bene non di sua proprietà da parte della pubblica amministrazione, non possano valere, se non parzialmente, i termini decadenziali per la proposizione dell’azione, di cui al comma 3 dell’art. 30 del codice del processo amministrativo, né quelli di cui al comma 5 dello stesso articolo, non applicabile ratione temporis.

Tuttavia, la questione, in questa sede, non appare rilevante ai fini della decisione finale, atteso che, come si vedrà subito di seguito, la censura è infondata nel merito. La detta irrilevanza esclude altresì che la Sezione possa sottoporre al vaglio dell’Adunanza plenaria la vicenda, al fine di permettere a questa di completare il quadro dei rapporti tra l’azione di annullamento e quella risarcitoria già tracciato con la sentenza n. 3 del 2011.

Sulla scorta di tali premesse, la Sezione ritiene di considerare comunque ammissibile la domanda risarcitoria proposta, sulla scorta della considerazione che la pronuncia reiettiva in sede di giurisdizione di legittimità attiene alla sussistenza dei vizi dedotti, non potendo portare all’implicita declaratoria dell’inesistenza di altre fattispecie lesive non espressamente dedotte. Infatti, nel giudizio amministrativo di impugnazione favorevolmente conclusosi per il ricorrente, come il giudicato si forma con esclusivo riferimento ai vizi dell’atto ritenuti dal giudice sussistenti alla stregua dei motivi dedotti nel ricorso, essendo in definitiva inapplicabile in toto alla giurisdizione degli interessi il principio secondo il quale la pronuncia definitiva del giudice copre il dedotto ed il deducibile in via di azione o eccezione (ex plurimis Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2005, n. 3027; id., sez. IV, 30 maggio 2002, n. 3023), del pari deve ritenersi che altri vizi siano parimenti azionabili, ove non sia intervenuta una diversa preclusione processuale o sostanziale.

4.2. – Nel merito, come già prima preannunciato, la censura non ha pregio.

L’affermazione su cui si fonda il ragionamento della parte appellante, ossia che il decreto di esproprio sia stato emesso tardivamente, non è fondata.

Il piano di zona, da cui si diparte la vicenda ora in esame, è stato adottato con delibera n. 822 del 10 maggio 1982. Si trattava di uno strumento di pianificazione per la realizzazione di opere per l’edilizia popolare. Il termine di efficacia del piano di zona, originariamente indicato in dieci anni, ex art. 9, comma 1, della legge n. 167 del 1962, si è, in virtù di successive leggi, progressivamente ampliato. Dapprima l’efficacia del piano è stata elevata prima a 15 anni, giusta l’art. 1 del DL n. 115 del 1974 convertito in legge n. 247 del 1874, per giungere poi a 18 anni, a norma dell’art. 51 della legge n. 457 del 1978 (da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 27 luglio 1987, n. 454).

Il decreto di esproprio gravato è il provvedimento n. 60 del 28 maggio 1999, che è quindi del tutto tempestivo.

La censura va quindi respinta, escludendo che nella fattispecie de qua sussistano elementi per la sussistenza di un danno risarcibile.

5. – L’appello va quindi respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 8351 del 2007;

2. Condanna M. A. B. L. e V. B., in solido tra loro, a rifondere al Comune di Cosenza le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro. 2.000,00 (euro duemila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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