Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-05-2012, n. 8726 Uso non abitativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Roma ha accolto limitatamente ad Euro 11.641,10 la domanda proposta da R.M. T. e da Sa.Ni. contro S.G., avente ad oggetto la restituzione di somma pagata in eccesso rispetto al dovuto, a titolo di canoni di locazione di due locali ad uso negozio in Roma.

La domanda era stata proposta per oltre Euro 70.000,00, ed il convenuto aveva resistito assumendo che – in forza degli accordi intercorsi fra le parti – le somme a lui dovute a titolo di canoni e di rivalutazione monetaria erano di gran lunga superiori a quelle corrisposte dalle conduttrici.

Ha dedotto che il contratto era stato stipulato il 1.9.2000 con scadenza 31.8.2004, prevedendo fin dall’origine che l’importo del canone, fissato in L. 72.000.000 all’anno, sarebbe stato aumentato di L. 6.000.000 a decorrere dal settembre 2001; sarebbe stato rivalutato del 5% all’anno, e del 15% nel caso di rinnovo della locazione alla scadenza; sarebbe stato registrato limitatamente a L. 48.000.000 e, qualora l’inadempimento delle conduttrici avesse imposto al locatore di registrare il contratto anche per la parte "in nero", tutte le relative spese, oneri e sanzioni sarebbero state a carico delle conduttrici ed il canone sarebbe stato ulteriormente aumentato di L. 12.000.000, per compensare l’aggravio fiscale a carico del locatore.

Essendosi le conduttrici rese inadempienti alle altre integrazioni del canone, egli aveva ha chiesto che venisse disposta la risoluzione di diritto del contratto, in forza della clausola risolutiva espressa, della quale si è avvalso.

Ha invece riconosciuto non essere dovuti gli importi pattuiti a titolo di rivalutazione monetaria, dichiarando di ridurre la sua domanda entro i limiti di legge.

La Corte di appello ha dichiarato nulla la clausola contrattuale relativa all’aumento di L. 6.000.000, ritenendo che la somma sia stata in realtà pattuita a titolo di rivalutazione monetaria; ha dichiarato inefficace la clausola relativa all’aumento di L. 12 milioni in caso di registrazione della scrittura privata, sul rilievo che la registrazione non è imputabile a responsabilità delle conduttrici; ha respinto la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto, ritenendo che rispetto ai modesti ritardi nei pagamenti dei canoni il locatore avesse manifestato la sua tolleranza.

Lo S. propone quattro motivi di ricorso per cassazione.

Le intimate non hanno depositato controricorso, ma solo atto di conferimento di procura alle liti all’avv. Andrea Varano, il quale ha partecipato alla discussione in udienza.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, denunciando violazione L. n. 392 del 1978, artt. 27, 32 e 79, art. 112 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente assume che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto nulla la clausola relativa all’incremento del canone di L. 6 milioni, considerandola attinente alla rivalutazione monetaria. Si trattava al contrario di uno sconto che egli aveva concesso alle conduttrici per favorire l’inizio della loro attività e che è da ritenere lecito, in forza della giurisprudenza di questa Corte secondo cui nelle locazioni non abitative – ove è libera la determinazione del canone – è consentito alle parti pattuire un canone diverso e crescente nel corso del rapporto, sempre che ciò avvenga all’atto della conclusione del contratto e non successivamente, e sempre che non si tratti di espediente per eludere le norme imperative di legge sull’importo della rivalutazione monetaria.

Assume che la Corte di merito non ha considerato che anche con il primo contratto del 1998 esso locatore aveva concesso uno sconto alla conduttrice, rinunciando al canone dei primi due mesi per uguale importo complessivo di L. 6.000.000, quale incoraggiamento alla conduttrice per l’avvio della sua attività.

Erroneamente poi la sentenza di appello ha affermato che l’incremento sarebbe stato pattuito nel corso del rapporto e non al suo inizio, poichè la locazione era in corso fin dal 1.1.1999. Il giudice di primo grado ha infatti accertato la natura novativa del contratto 1.9.2000 e la sentenza non è stata impugnata sul punto.

Afferma che il contratto del 1998 era stato stipulato con la sola R. ed aveva ad oggetto un solo locale ad uso negozio; che egli aveva acquistato il locale adiacente appositamente allo scopo di concederlo in locazione, assecondando l’esigenza prospettatagli dalla locatrice di espandere la sua attività; che conseguentemente il rapporto locatizio era stato interamente rinnovato ed esteso anche alla Sa., includendo i due negozi.

2.- Il motivo non è fondato.

Deve essere effettivamente corretta la motivazione della Corte di appello, nella parte in cui ha negato efficacia novativa al contratto in oggetto, trattandosi di soluzione che non è stata messa in dubbio da alcuna delle parti e che peraltro risulta da quanto la sentenza impugnata e le parti dichiarano circa l’oggettivo contenuto degli accordi del 2000, che hanno riguardato spazi più ampi (due negozi separati anzichè uno, con l’impegno delle conduttrici a creare a loro spese il collegamento fra l’uno e l’altro); due conduttrici anzichè una; canone diverso e diversa regolamentazione del rapporto.

Vero è che le parti hanno assegnato al secondo contratto una durata inferiore a quella di sei anni, stabilita dalla legge; ma ciò non è sufficiente ad escludere la novazione, comportando come solo effetto il diritto delle conduttrici ad usufruire comunque della durata legale.

Ciò premesso, la decisione della Corte di appello non può che essere confermata, poichè attiene all’interpretazione del contratto di locazione, cioè a questione rimessa alla discrezionale valutazione del giudice di merito, nei confronti della quale non è stata prospettata la violazione di alcuna delle norme di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., nè risultano dedotti o dimostrati vizi di motivazione. La motivazione della Corte di merito, pur se succinta, trova oggettivo riscontro nel fatto che l’incremento di L. 6 milioni è stato pattuito nella medesima clausola che concerne la rivalutazione monetaria annuale del canone.

Nè il ricorrente ha prospettato alcun dato testuale dal quale si possa desumere che l’incremento fu concesso quale sconto per il primo anno rispetto al canone contrattuale e non invece quale abnorme rivalutazione monetaria.

Il motivo si articola, pertanto, esclusivamente intorno al dissenso dal merito della decisione, dissenso che non è di per sè sufficiente ad integrare gli estremi per il riesame in sede di legittimità (cfr. sul tema, fra le tante, Cass. civ. 26 maggio 2005 n. 11197; 11 luglio 2007 n. 15489; 2 luglio 2008 n. 18119).

3.- Con il secondo ed il terzo motivo – che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi – il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sul rilievo che la Corte di appello ha preso in esame solo una delle sue domande riconvenzionali, cioè quella avente ad oggetto la risoluzione di diritto del contratto; ha invece omesso di pronunciare sulla domanda diretta ad ottenere il rimborso delle spese di registrazione della scrittura privata integrativa, con relativi interessi e sanzioni, per la parte del canone inizialmente non dichiarata (secondo motivo).

Qualora poi la domanda si debba ritenere esaminata e respinta, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ. e L. n. 392 del 1978, art. 8, quanto meno nella parte in cui si riferisce alla metà delle spese di registrazione del contratto annuale in corso, che indubbiamente grava sulle conduttrici, in virtù dei principi di legge in materia (terzo motivo).

4.- Il secondo motivo non è fondato, poichè la Corte di appello ha espressamente pronunciato sulla domanda di rimborso delle spese (supplementari) di registrazione della scrittura integrativa, affermando che non vi è stato inadempimento delle conduttrici, poichè queste si sono legittimamente opposte alla richiesta del locatore di un incremento del canone nella misura del 15%, a titolo di rivalutazione monetaria (incremento indubbiamente illegittimo, come lo stesso locatore ha poi riconosciuto nel corso del giudizio), e che a seguito di tale opposizione il locatore ha proceduto alla registrazione (cfr. p. 6 della sentenza, punto 3).

4.1.- Il terzo motivo è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza.

La Corte di appello ha dichiarato che le conduttrici hanno sempre rimborsato la metà delle spese di registrazione del contratto, riferendosi al normale svolgimento del rapporto, cosi come accertato in corso di causa, tenuto conto delle somme effettivamente dovute a titolo di canoni, in vece e luogo di quelle maggiori ed in parte ritenute illegittime, richieste dal locatore.

Nel formulare la sua domanda di rimborso del 50% delle spese "relative all’anno in corso", il ricorrente non specifica se si tratti delle spese correlate all’effettivo importo del canone dovuto a quella data, così come accertato dal Tribunale, o delle spese relative al canone illegittimamente richiesto alla vigilia della registrazione integrativa, il cui importo era superiore al dovuto quanto meno nella misura del 15% corrispondente alla rivalutazione monetaria, come hanno presumibilmente ritenuto il Tribunale prima e la Corte di appello poi, nel disattendere la domanda di restituzione, condannando altresì il locatore alla restituzione di somme in favore delle conduttrici.

Il motivo di ricorso risulta quindi insufficientemente illustrato e motivato, e non vale a giustificare la riforma della sentenza impugnata.

5.- Il quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1456 cod. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha respinto la sua domanda di risoluzione del contratto, è inammissibile, poichè le valutazioni attinenti al comportamento delle parti, all’importanza degli inadempimenti ed alla tolleranza manifestata nei confronti degli stessi, attengono al merito della vertenza e non sono suscettibili di riesame in sede di legittimità. 6.- Il ricorso deve essere rigettato.

7.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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