Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-07-2011) 21-11-2011, n. 42945 Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza, emessa il 16.12.2010, ex art. 309 c.p.p., il tribunale di Catanzaro ha annullato l’ordinanza 23.10.2010 del Gip del medesimo tribunale, applicativa della misura della custodia cautelare a M.S., limitatamente al reato di cui al capo 39 della provvisoria incolpazione; ha confermato nel resto l’ordinanza emessa in ordine ai reati D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 74 e 73.

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge, in riferimento all’art. 121 c.p.p., per omessa valutazione di argomenti e prove decisive, indicati dalla difesa nella memoria difensiva, supportata da documentazione documentale, volta a superare i singoli capi di imputazione e il preteso linguaggio criptico. Le doglianze riguardano i seguenti: temi genericità delle contestazioni D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, sub 26, 28, 34, 39, 41, 42, 57, per inaffidabilità, in termini di gravità indiziaria, delle captazioni e per fattibilità delle individuazioni fotografiche.

Quanto al reato sub 26, l’accusa si fonda su un incontro tra indagati che non c’è stato e le captazioni sono del tutto neutre. Gli interlocutori hanno fatto riferimento alla sabbia, che però riguarda l’attività lavorativa del M. all’epoca dei fatti, come è dimostrato dall’allegato modello CUD 2008. Le altre imputazioni sono basate su captazioni asseritamene dimostrative di cessioni di stupefacente, nonostante il carattere neutro delle dichiarazioni registrate; comunque per dare spessore dimostrative alla "droga parlata" è necessario legare il parametro valutativo a dati certi, cioè all’esame tossicologico. Manca inoltre l’indicazione della data dei fatti di spaccio. I contatti telefonici tra M. e B.G. sono giustificati dal fatto che il primo ha sposato la figlia B.S.. In ordine al reato di cui al capo 34, manca con precisione il periodo incriminato.

Quanto al capo 57, unica fonte di prova è uno strumento, l’individuazione fotografica, sulla cui fallibità si è pronunciata la ricerca scientifica. La giurisprudenza di legittimità ha superato il problema, in nome di un pragmatismo svincolato da orpelli burocratici, distinguendo tra riconoscimenti e ricognizioni, escludendo per i primi le necessarie formalità dettate per i secondi, ricorrendo così a un escamotage linguistico, che consente un ampliamento contra legem dei poteri giudiziali in materia di prova.

Sull’ipotesi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, il ricorrente osserva che la sussistenza del reato associativo è stata dimostrata attraverso i reati fine, in contrasto con la giurisprudenza che ritiene necessaria la sussistenza di elementi indiziali, da cui possa desumersi il pactum sceleris, cioè l’accordo volto alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti e, quindi, l’affectio societatis. La S.C. correttamente ritiene che l’apporto del singolo possa anche essere non permanente e limitato nel tempo, purchè implichi l’inserimento del soggetto nell’apparato strutturale criminoso, attraverso l’assunzione di un ruolo specifico, il cui assolvimento è funzionale alla realizzazione degli scopi criminosi.

Sulla carenza assolta di gravità indiziaria, il ricorrente ribadisce il contenuto neutro delle conversazioni captate, a cui aggiunge la censura sul travisamento del fatto, in relazione all’interpretazione del linguaggio utilizzato, i cui significati possono essere diversi, alla luce delle argomentazioni esposte nella memoria difensiva. Su tali argomentazioni, l’ordinanza non si è pronunciata, incorrendo nella violazione dell’art. 121 c.p.p..

2. inosservanza di norme stabilite a pena di nullità, di inutilizzabihtà, di decadenza: in specie, perdita di efficacia della misura, ex art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, per omessa trasmissione al tribunale dei CD afferenti alle riprese video.

L’ordinanza ha ritenuto che la disciplina sulle intercettazioni telefoniche e sul diritto della difesa di ottenere i supporti magnetici relativi alle conversazioni oggetto di intercettazioni non si applica alle duplicazioni delle riprese video, che non rientrano nel genus delle intercettazioni delle comunicazioni. Il tribunale ha quindi inquadrato le videoregistrazioni tra le prove documentali disciplinate dalla legge e ha ritenuto utilizzabili i relativi risultati indipendentemente dal formale deposito del supporto magnetico contenente le registrazioni delle immagini e dalla sua messa a disposizione delle parti.

La difesa contesta questa interpretazione e cita la giurisprudenza in materia di registrazioni telefoniche e ambientali, in base alla quale il tribunale del riesame avrebbe dovuto dichiarare la perdita di efficacia della misura, per omessa trasmissione dei supporti magnetici.

3. violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, in riferimento all’art. 292 c.p.p., comma 2. Il titolo custodiale non reca alcuna motivazione sui gravi indizi di colpevolezza che dovrebbero essere posti a fondamento della misura cautelare. Nel caso in esame, il Gip non solo non ha motivato in punto di gravità indiziaria, ma non ha neanche dato conto del perchè avrebbe ritenuto intrise di gravità indiziaria le individuazioni fotografiche, unico elemento di pseudo prova che lambisce la posizione del M..

Quanto alle esigenze cautelari, il Gip ha fatto ricorso a clausole di stile e ha recepito le richieste del p.m., omettendo di calarsi, nella motivazione, in ogni singola posizione.

4. vizio di motivazione; la critica sulle valutazioni del linguaggio utilizzato dagli interlocutori è in riferimento al contenuto delle pagine 11, 12, 13 dell’ordinanza, che non si riporta per evitare di appesantire il ricorso. Viene poi ribadita la critiche alle individuazioni fotografiche 5. vizio di motivazione sul reato associativo e sui reati satellite.

Il ricorrente ribadisce che la sussistenza del reato associativo, nell’ordinanza impugnata è dimostrata solo dai reati fine, mentre non è indicato il ruolo specifico del M., essendo la motivazione ridotta al richiamo a una pletora di elementi di prova inafferenti, come le intercettazioni che non riguardano la sua specifica posizione. Le varie intercettazioni telefoniche e le immagini registrate provano alcuni contatti del ricorrente con B.D. e con i suoi gregari, mentre non c’è prova di contatti con altri coindagati. Va poi tenuto presente che il reato associativo è "permanente" e come tale si fonda su assidue frequentazioni. In generale, su tutti i reati, il ricorrente esprime una critica sulla presenza di gravi indizi di colpevolezza, richiesti come necessari per l’emissione di un’ordinanza custodiale.

Il ricorso non merita accoglimento. L’ordinanza del giudice del riesame ha risposto in maniera adeguata a tutte le doglianze decisive, espresse dal ricorrente in tutti gli atti da questi presentati Le doglianze di carattere procedurale non riescono a dare convincente e decisiva smentita alla razionale interpretazione compiuta dai giudici di merito, in ordine alla disciplina delle videoregistrazioni e delle ricognizioni fotografiche, la cui legittimità si basa sul principio della non tassatività dei mezzi di prova. Quanto alla prima, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che le riprese video filmate (le videoregistrazioni degli atti di compravendita di sostanza stupefacente) vanno considerate prove documentali non disciplinate dalla legge, previste dall’art. 189 c.p.p. e non vanno ritenute appartenenti al "genus" delle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni, con la conseguenza che ad esse non si applica la disciplina di cui all’art. 266 codice di rito, ma soltanto il limite della libertà morale della persona, sancito in via generale dall’art. 14 Cost., limite che nel caso di specie non è stato assolutamente violato (sez. 1, n. 31389 del 10.7.07, rv 237502; sez. 4, n. 44484 del 18.6.03, rv 226407).

Questi atti di indagine sono utilizzati dalla polizia giudiziaria non al fine di rappresentare i comportamenti comunicativi degli indagati, ma al fine di individuare i frequentatori abituali delle zone notoriamente adibite allo spaccio di stupefacenti, onde poter assumere gli stessi a sommarie informazioni in merito alle persone dalle quali avevano ricevuto le sostanze. Va poi rilevato che nessuna violazione del diritto di difesa sia attribuibile al p.m.: a seguito di tempestiva autorizzazione del p.m. procedente alla duplicazione delle riprese video e a seguito della richiesta della segreteria di quell’ufficio al difensore di precisare le video-riprese riguardanti il suo assistito, il difensore non ha effettuato, rendendo impossibile il rilascio della richiesta duplicazione. Il tribunale ha inoltre rilevato che comunque le registrazioni non risultavano allegate alla richiesta di misura cautelare e il generico riferimento di cui alla pagina 82 dell’ordinanza del Gip non determinava alcun ostacolo per la loro utilizzazione nella procedura incidentale. Va precisato, a conferma di questa osservazione, che le video registrazioni non hanno costituito prova su cui fondare la decisione, ma mezzo di ricerca della prova: le immagini registrate sono utilizzate solo per individuare, come già detto, i frequentatori abituali delle zone notoriamente adibite allo spaccio di stupefacenti nel comune di Catanzaro e per interrogarli sui fatti da essi vissuti.

Le conseguenti dichiarazioni di queste persone e le connesse individuazioni fotografiche hanno dato quindi base probatoria, in ordine ai fatti di compravendita di stupefacenti, contestati al M., D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 73 e 74. Sulla utilizzazione di questa prova – anche essa rientrante nella tipologia di prova informale ex art. 189 c.p.p. – nessun ostacolo può derivare dal mancato rispetto delle formalità della ricognizione personale e dalla mancata previsione di questo mezzo di prova dal codice di rito.

Va ricordato che, a differenza della formale ricognizione di persona, che costituisce un mezzo di prova dettagliatamente disciplinato dalla legge processuale, il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di p.g. non è regolato dal codice di rito e costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in base ai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice; in proposito la giurisprudenza ha precisato che la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (sez. 5, n. 22612 del 10.2.09, rv 244197). A carico dell’indagato sono stati correttamente utilizzati i riconoscimenti fotografici da parte di acquirenti, sulla cui generale rilevanza indiziaria si è pronunciata la sentenza S.U. n. 21832 del 22.2.07. Venendo al merito della motivazione dell’ordinanza impugnata, va rilevato che la valutazione di queste dichiarazioni dei vari acquirenti delle sostanze stupefacenti sono state effettuate razionalmente previo preciso esame del loro contenuto e delle circostanze di tempo e di luogo dei collegamenti verbali e personali con l’indagato. La base indiziaria su cui si è fondata la misura coercitiva si articola inoltre in un intreccio di conversazioni telefoniche, descrittive di numerosi incontri con varie persone, il cui contenuto ha ad oggetto una serie di oggetti e termini (quel coso, quel lavoro, regalo, piumone trenta bottiglie, vino, quattro arancini e una birra, quella cosa, panini due vitellini, tua nipote, quelle cose, chiave, carriola, sabbia). Razionalmente l’ordinanza impugnata rileva che in tali conversazioni si faceva riferimento a generi merceologici e a nomi assolutamente estranei alle attività svolte dagli interessati e a loro relazioni sociali. Sullo specifico tema della sabbia, l’ordinanza espone le razionali argomentazioni sulla inconsistenza della tesi difensiva. Il contenuto criminoso delle conversazioni telefoniche concernenti l’attività delittuosa nel campo delle sostanze stupefacenti, ha trovato quindi conferma nel linguaggio utilizzato dagli interlocutori. Di qui la logica conclusione che le cose innominate, che costituivano l’oggetto reale delle comunicazioni, sono costituite dalle droghe, effettiva materia dell’attività commerciale della ricorrente.

Quanto al reato associativo, il tribunale, con la sua ordinanza, ha compiutamente aderito alla ricostruzione, compita dagli inquirenti, dell’esistenza e della funzionalità di basi operative e logistiche di deposito, custodia, manipolazione, occultamento e spaccio di una struttura delinquenziale, presente in alcune aree del comune di Catanzaro. In questa associazione – finalizzata alla commercializzazione di marijuana, hashish e, in primo luogo, di cocaina ed eroina – è stata individuato il ruolo di protagonista del M., il quale è risultato più volte fornitore di sostanze, razionalmente ritenute finalizzate alla realizzazione del programma associativo. La partecipazione stabile e continuata a questo sodalizio si è manifestata, nei numerosi reati fine, nel suo impegno nel dare ad un vertice, quale B.G. il proprio apporto attivo e determinante per la perpetrazione degli illeciti, esecutivi del programma delinquenziale dell’associazione. Questo ruolo di fornitore ha mostrato sicure caratteristiche, grazie ai suindicati risultati delle indagini, tale da poter configurare la sua appartenenza alla struttura delinquenziale creata e resa operativa dai nomadi installati nell’area Sud di Catanzaro. Gli episodi di compravendita consentono di individuare nell’attività del M. costanza, continuità, immediatezza della canalizzazione della sostanza nel sistema distributivo del gruppo B., tali da far ritenere che il fornitore abbia agito con la volontà e la consapevolezza di operare quale aderente alla organizzazione criminale. Risulta essere stato creato tra venditore, da un lato, e acquirente di vertice e singoli acquirenti nell’area territoriale dell’associazione, un rapporto di condizionante prevalenza o di decisiva unicità, tale da far ritenere che il primo, oltre che al proprio arricchimento, abbia gestito il canale di cocaina e di altre sostanze, per il rafforzamento dell’associazione di narcotraffico.

Quanto alle esigenze cautelari, la motivazione dell’ordinanza impugnata ha richiamato, quali dati indicativi dell’esigenza di prevenzione speciale:

a) l’inserimento del M. nell’associazione criminosa e il suo coinvolgimento nel perseguimento di un comune scopo delittuoso;

b) il perdurare di questo inserimento, che, per il suo carattere stabile e duraturo, può essere reciso solo con la restrizione in carcere;

c) la gravità e la ripetitività dei reati fine commessi per lungo tempo, senza soluzione di continuità;

d) le ingenti risorse finanziarie investite e l’alto livello di profitto che ne può derivare assurgono a circostanze indicative della ricorrenza, attuale e concreta, del pericolo della reiterazione di analoghe condotte dell’illecito commercio.

Appare quindi pienamente giustificata la prognosi negativa, effettuata dal tribunale sui futuri comportamenti dell’indagato, nonchè appare fondato il giudizio di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere. A seguito della modifica introdotta con il D.L. n. 11 del 2009 l’associazione in esame rientra tra i delitti, in cui la valutazione giudiziale, in tema di coercizione personale, è limitata dall’automatismo cautelare che si risolve nell’attribuire carattere assoluto alla presunzione di inidoneità delle misure cautelari diverse da quella carceraria. L’art. 275 c.p.p., comma 3 canonizza la regola d’esperienza, secondo cui chi è raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine a questo reato associativo, è inserito in un reticolo di comportamenti delittuosi, radicati nel settore della grande distribuzione di sostanze stupefacenti e sviluppati, grazie alla reciproca assistenza tra gli adepti dell’associazione. Questo inserimento in un contesto commerciale, foriero di alti profitti, rende gli adepti protesi alla commissione di fatti criminosi di questo tipo. La prova contraria dell’insussistenza delle esigenze cautelari non può essere desunta da quegli stessi elementi cui, ove non operi tale presunzione di pericolosità, la norma fa riferimento ai primi commi dell’art. 275 c.p.p., ai fini dell’adeguatezza e proporzionalità della misura, essendo stata tale valutazione già effettuata dal legislatore con esito negativo.

Comunque nel caso di specie, nessuna prova contraria è stata proposta dall’attenzione all’attenzione del giurie del riesame.

Il quadro indiziario, ex art. 273 c.p.p. e art. 274 c.p.p., lett. c) rende operativa la presunzione ex art. 275 c.p.p., comma 3, rendendo, a sua volta, ineludibile l’applicazione della misura della custodia in carcere. Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria provvederà agli adempimenti di rito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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