Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-05-2012, n. 8724 Vendita con riserva di proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società di fatto fra i due soci T.C. e P. M., sciolta a seguito della morte del P. e cancellata dal registro delle imprese il 13.3.1997, è stata dichiarata fallita il (OMISSIS).

Con atto di citazione del 31.5.2000 il curatore del Fallimento ha convenuto davanti al Tribunale di Monza la s.p.a. Barfin Leasing, chiedendo la restituzione dei canoni versati dalla società fallita in pagamento di un leasing immobiliare avente ad oggetto un capannone industriale, essendo stato dichiarato risolto il contratto di leasing per inadempimento della società attrice.

La convenuta ha resistito alla domanda.

Sospeso il giudizio in attesa dell’esito di quello promosso per la risoluzione del contratto, esso è stato riassunto da Barfin. La sdf si è costituita all’udienza del 18.3.2004, dichiarando che il fallimento era stato chiuso il 10.2.2004. Con sentenza 2 maggio 2005 n. 1419 il Tribunale di Monza, facendo applicazione dei principi di cui all’art. 1526 cod. civ., ha condannato Barfin a restituire le somme riscosse a titolo di canoni di leasing e ha condannato la società di fatto a versare un indennizzo per l’utilizzazione del bene fino alla data della risoluzione del contratto, con rivalutazione monetaria della somma liquidata.

La T. e P. ha proposto appello, chiedendo che la rivalutazione fosse calcolata a decorrere dalla domanda giudiziale, o dalla data della restituzione dell’immobile, e che le fossero riconosciuti gli interessi anatocistici sulla somma dovutale in restituzione dei canoni, oltre che il rimborso delle spese del giudizio di primo grado.

Ha resistito Barfin, proponendo appello incidentale per essere assolta dall’obbligo di restituire i canoni, deducendo l’inapplicabilità dell’art. 1526 cod. civ..

Con sentenza n. 2875/2009, depositata il 13 novembre 2009, la Corte di appello di Milano ha confermato l’applicabilità dell’art. 1526 cod. civ., ed ha condannato Barfin a restituire la differenza fra la somma percepita in pagamento delle rate di leasing (Euro 225.496,87) e la somma spettantele quale equo compenso per l’uso dell’immobile, quantificata in Euro 152.680,53. L’ha altresì condannata a pagare – su tale differenza – gli interessi legali a decorrere dalla riconsegna dell’immobile (26 ottobre 2001), ed ha posto a suo carico un terzo delle spese dell’intero giudizio, compensando i rimanenti due terzi.

Barfin propone sei motivi di ricorso per cassazione illustrati da memoria.

Resiste l’intimata con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del controricorso, sollevata dalla ricorrente nella memoria illustrativa in base al rilievo che l’atto è stato notificato il 7 giugno 2010, mentre il termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ. veniva a scadere il 5 giugno 2010.

La suddetta scadenza del 5 giugno 2010 è caduta in giorno di sabato ed è da ritenere prorogata al lunedì successivo, ai sensi del 5 comma dell’art. 155 cod. proc. civ., introdotto dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater, conv. in L. 23 febbraio 2006, n. 51, cioè alla data in cui è stata richiesta la notificazione del controricorso: atto che indubbiamente rientra fra quelli da compiersi fuori udienza, di cui alla citata norma.

2.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità di entrambe le sentenze di merito a causa della carenza di legittimazione ad agire della T. e P., richiamando il principio enunciato da Cass. S.U. 22 febbraio 2010 n. 4062 per cui, a decorrere dal 1 gennaio 2004, cioè dall’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 2495 cod. civ., è da ritenere che anche per le società di persone la cancellazione dal registro delle imprese abbia efficacia estintiva immediata; con la conseguenza che l’atto di riassunzione del giudizio di primo grado e l’atto di appello avrebbero dovuto essere proposti non dalla società di fatto, ormai estinta, ma dal socio personalmente.

In risposta, l’intimata eccepisce a sua volta la nullità della notificazione del ricorso per cassazione alla società di fatto, nel domicilio eletto per il giudizio di appello, anzichè al socio T.C. personalmente, in applicazione del principio per cui il giudizio di impugnazione deve essere instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati, adeguando il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, salvo in taluni casi l’obbligo di subordinare l’applicazione della suddetta regola alla conoscenza o conoscibilità dell’evento che ha provocato il mutamento di legittimazione (Cass. civ. Sez. Un. 28 luglio 2005 n. 15783): conoscenza che è indubbiamente ravvisabile nel caso in esame.

La resistente eccepisce altresì che l’eccezione di difetto di legittimazione non è mai stata proposta nei giudizi di merito, sicchè la legittimazione deve ritenersi definitivamente accertata a seguito della sentenza di primo grado, che non è stata impugnata sul punto, in base al principio per cui le cause di nullità si convertono in motivi di impugnazione.

2.- L’eccezione di nullità della notificazione del ricorso, il cui esame è logicamente pregiudiziale, non è fondata. La giurisprudenza citata dalla resistente si riferisce ai casi in cui il venir meno della legittimazione si verifichi a seguito di un evento idoneo a determinare l’interruzione del processo che si sia verificato nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione, e che non sia stato dichiarato o notificato dalla parte.

Nella specie la causa è stata promossa in primo grado dal curatore del Fallimento – soggetto distinto dalla società e portatore di interessi autonomi rispetto a quelli della società – e riassunta da Barfin. Si è costituito nel giudizio il T., non in proprio, ma quale rappresentante legale della società estinta, dichiarando che il fallimento era stato chiuso.

Fin da allora, pertanto, è stata resa nota nel processo la situazione in cui la T. si trovava, cioè il fatto che – dopo la cancellazione dal registro delle imprese – essa partecipava al giudizio come società e non in persona del socio superstite, e nessuno ha sollevato eccezioni, nè ha fatto valere in primo grado o in appello l’avvenuta estinzione della società ed il difetto di titolarità nell’appellante del diritto azionato.

Ne consegue che la parte processualmente legittimata a contraddire al ricorso per cassazione è rimasta la società di fatto T. e Pa., quale parte del giudizio di appello, sì che correttamente il ricorso è stato notificato alla stessa presso il difensore costituito per il suddetto giudizio.

Resta fermo, ovviamente, il problema della legittimazione sostanziale della società, cioè il problema dell’effettiva titolarità da parte della medesima del rapporto controverso. Ma tale questione attiene al merito della controversia; non alla legittimazione formale. Ed è noto che non può farsi dipendere l’accertamento della legittimazione processuale all’impugnazione dalla soluzione della questione di merito avente ad oggetto la legittimazione sostanziale.

Vale a dire, l’eccezione della resistente di inammissibilità del ricorso da per presupposto che sia risolta in un determinato senso una questione che è ancora oggetto di decisione, con palese petizione di principio (considerato per di più che nella specie la resistente smentisce essa stessa la suddetta soluzione, ribadendo in sede di replica al primo motivo di ricorso di essere legittimata anche nel merito).

Correttamente, pertanto, il ricorso è stato notificato alla s.d.f., cioè al medesimo soggetto che ha partecipato al giudizio di appello, la cui posizione nel processo non risulta essere stata fino ad oggi alterata da eventi o da provvedimenti giudiziali sopravvenuti a quel giudizio.

Deve essere poi disattesa la tesi per cui si sarebbe formato il giudicato sulla legittimazione della società, poichè la questione non ha costituito oggetto di contestazione, quindi di specifico esame e decisione da parte del giudice di primo grado, tal da consentire la formazione del giudicato sul punto.

2.2.- Nel merito, il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè generico e mancante dell’indicazione dei presupposti di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione.

La ricorrente richiama i principi enunciati dalla sentenza 22 febbraio 2010 n. 4062 della Corte di cassazione, assumendo che "il problema dovrà essere riesaminato" alla luce di tali principi, per cui "anche per le società di persone la cancellazione ha efficacia estintiva immediata", senza in alcun modo specificare in che data e in quali termini la Tosoni & Pandolfi sia stata iscritta nel registro delle imprese; se lo sia stata come società, o come impresa individuale (com’è probabile, considerato che all’atto dell’iscrizione la società di fatto deve essere normalmente regolarizzata); da quali documenti si possano trarre le suddette informazioni; se essi siano stati acquisiti al giudizio, come siano contrassegnati e come siano reperibili fra gli altri atti e documenti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda (cfr. fra le tante, Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966).

Se è pur vero che la questione della legittimazione può essere rilevata ed esaminata anche di ufficio, è però indispensabile che siano stati dedotti in giudizio e dimostrati i presupposti di fatto su cui l’eccezione si fonda. Il che nella specie non è avvenuto.

3.- Con il secondo ed il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 1322 e 1372 cod. civ., artt. 1526 e 2041 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la ricorrente assume che la sentenza impugnata ha illegittimamente disatteso la volontà delle parti, quale risulta dalle clausole del contratto di leasing ed in particolare dall’art. 21, secondo cui, nel caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la società concedente ha il diritto sia di ottenere la restituzione del bene, sia di incamerare le rate riscosse.

Assume che la sentenza impugnata ha trascurato di considerare che il leasing non è una mera compravendita, ma è un contratto di finanziamento, e che le relative clausole stabiliscono il compenso spettante al finanziatore.

Applicando l’art. 1526 cod. civ., la Corte di appello avrebbe disatteso la volontà delle parti, senza adeguatamente motivare per quali ragioni andrebbero in questo caso imposti limiti all’autonomia privata, mandando assolto da ogni conseguenza pregiudizievole l’utilizzatore inadempiente.

4.- I due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono inammissibili, sia perchè non autosufficienti, in quanto si richiamano alle clausole pattizie senza riportarne il contenuto e senza specificare se il contratto sia stato prodotto nel presente giudizio, unitamente al fascicolo di parte, e come sia reperibile fra gli atti e documenti di causa (art. 366 cod. proc. civ., n. 6 e giurisprudenza cit.); sia ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, essendosi la sentenza impugnata uniformata alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui – ove si tratti di leasing traslativo – gli effetti della risoluzione del contratto debbono essere regolati nel rispetto dei principi inderogabili di cui all’art. 1526 cod. civ., in tema di vendita con riserva della proprietà.

Il bene oggetto del leasing traslativo normalmente conserva, alla scadenza contrattuale, un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione di acquisto e le somme corrisposte a titolo di canoni includono altrettante quote del prezzo di acquisto (cfr. fra le tante Cass. civ. Sez. 3^, 14 novembre 2006 n. 24214; Idem, 2 marzo 2007 n. 4969; Cass., civ,. Sez. 1^, 23 maggio 2008 n. 13418).

La pattuizione, quindi, per cui nel caso di inadempimento dell’utilizzatore il concedente ha il diritto di conseguire la restituzione del bene ed in più di trattenere tutte le somme riscosse come canoni, viene a configurare un vantaggio per il concedente che, nell’analoga situazione della vendita con riserva della proprietà, la legge ritiene ingiustificato, tanto che impone al venditore l’obbligo di restituire le rate riscosse – salvo un equo compenso per l’uso della cosa – ed, anche quando il contratto disponga che le rate possano essere trattenute dal venditore, attribuisce al giudice il potere di disporne la riduzione (Cass. civ. Sez. 3, 28 agosto 2007 n. 18195): norme espressamente dichiarate applicabili anche ai contratti di locazione che prevedano il diritto di acquisto del bene da parte del conduttore (art. 1526, u.c.).

Le argomentazioni svolte dalla ricorrente non valgono a giustificare il mutamento dell’indicato indirizzo giurisprudenziale.

La circostanza che il leasing abbia funzione di finanziamento non autorizza il finanziatore ad acquisire vantaggi particolari e particolarmente elevati.

La legge manifesta, se mai, la tendenza opposta ad una particolare vigilanza sull’adeguatezza delle remunerazioni convenute per le operazioni di finanziamento, come dimostrano i rigorosi limiti imposti alla remunerazione del denaro dalle disposizioni in tema di usura (cfr. L. 7 marzo 1996, n. 108; art. 1815 cod. civ., comma 2).

Ciò rafforza la citata interpretazione giurisprudenziale, la quale tende ad evitare che le suddette finalità vengano eluse, nei casi in cui l’operazione di finanziamento sia realizzata tramite il ricorso a figure contrattuali diverse dal mutuo.

5.- Con il quarto motivo la ricorrente lamenta omessa od errata motivazione quanto ai criteri di determinazione dell’equo indennizzo per l’uso dell’immobile da parte dell’utilizzatore, poichè la Corte di merito ha ritenuto che l’indennizzo non possa superare il corrispettivo del temporaneo godimento del bene, senza tenere conto dell’utile dell’operazione, che essa concedente avrebbe avuto il diritto di conseguire, ed affidandosi ai valori indicati dal CTU in termini irrisori. Assume che la Corte di appello ha omesso di prendere in esame la consulenza di parte e le produzioni documentali, fra cui un contratto di locazione di altro capannone industriale, stipulato per un corrispettivo largamente superiore.

5.1.- Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, per la mancata produzione dei documenti su cui si fonda (supra, 2.2.), nonchè ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, poichè censura esclusivamente le valutazioni di merito in base alle quali la sentenza impugnata è pervenuta alla sua decisione, confermando l’analogo giudizio della sentenza di primo grado, anch’essa in alcun modo richiamata e prodotta nel presente giudizio.

6.- Con il quinto motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1591 e 1526 cod. civ., ed insufficiente motivazione, lamenta che la Corte di appello le abbia negato il diritto al risarcimento dei danni per la ritardata restituzione del bene, addebitandole erroneamente di non avere assunto alcuna iniziativa per recuperare il possesso dell’immobile e trascurando il fatto che dal 15 maggio 1996 al 26 ottobre 2001 l’utilizzatrice ha trattenuto il capannone senza pagare i canoni.

La sentenza impugnata avrebbe altresì confuso il diritto all’equo compenso per l’uso del bene con quello di conseguire il mancato guadagno sull’operazione, a causa dell’inadempimento dell’utilizzatrice.

6.1.- Il motivo non è fondato.

La Corte di appello si è uniformata al principio enunciato da questa Corte, secondo cui "recuperato, da parte del concedente, il capitale monetario impegnato nell’operazione in vista del corrispondente guadagno mediante il detto compenso e il residuo valore del bene, il risarcimento del danno non si presta ad essere commisurato all’intera differenza necessaria per raggiungere il guadagno atteso, poichè, con l’anticipato recupero del bene e del suo valore, il concedente è di norma in grado di procurarsi, attraverso il reimpiego di quel valore, un proporzionale utile, che deve conseguentemente essere calcolato" (Cass. civ. 13 gennaio 2005 n. 574).

7.- Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1282 cod. civ., ed errata e insufficiente motivazione nella parte in cui la Corte di appello le ha negato la rivalutazione monetaria della somma liquidata a titolo di equo compenso, con la motivazione che essa aveva incamerato e tratteneva importi superiori. Ribadisce che dal 15.5.1996 al 26 ottobre 2001 l’utilizzatrice ha trattenuto l’immobile senza titolo e senza versare i canoni di leasing; che la rivalutazione calcolata dal CTU riguarda il corrispettivo per l’uso del bene, mentre il Tribunale aveva determinato la somma dovuta in modo da compensare il maggior danno subito dalla concedente per la mancata disponibilità dell’immobile.

7.1.- Il motivo non è fondato.

L’argomentazione per cui la ricorrente ha percepito, con i canoni di leasing, somme superiori all’equo compenso per l’uso del bene appare incontestabile e non può che essere condivisa. L’affermazione che l’immobile sarebbe stato trattenuto senza versare i canoni attiene all’accertamento dei fatti e non è in alcun modo documentata.

La ricorrente non specifica tramite quali atti essa avrebbe sottoposto alla Corte di appello la relativa eccezione e da quali atti o documenti la circostanza risulterebbe confermata. Essa in realtà rimette in questione i presupposti di fatto su cui la Corte di appello ha fondato la sua decisione, che risulta più che congruamente motivata, con l’indicazione delle somme dovute dall’una e dall’altra parte e del titolo a cui sono dovute.

Le doglianze di cui al motivo di ricorso risultano per contro generiche, apodittiche e prive di ogni specifico riferimento agli atti ed ai documenti di causa, quanto ai presupposti di fatto su cui si fondano.

8.- Il ricorso deve essere rigettato.

9.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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