Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-07-2011) 21-11-2011, n. 42943

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 29.3.2011, il tribunale di Caltanissetta ha rigettato la richiesta di riesame e ha confermato l’ ordinanza 11.2.2011, con la quale era stata applicata a D.G.S. la misura della custodia in carcere in ordine al reato di tentato omicidio, avvenuto il (OMISSIS), in danno di M.N.R., ingegnere del comune di (OMISSIS), aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7, per aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni ex art. 416 bis c.p. e per favorire l’organizzazione Cosa Nostra.

D.G.S., assistente tecnico del medesimo comune, è accusato di aver svolto il ruolo di mandante; D.G.G. di aver esploso i colpi con una cal. 22 inceppata; D.G. G. di aver guidato il ciclomotore con cui ha trasportato D. G.G..

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

vizio di motivazione in relazione alla violazione dell’art. 273 e 292 c.p.p.: l’assenza di motivazione riguarda; a) il mancato controllo della sussistenza di riscontri delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia D.G.G., D.G. R., I.G., T.D., O. e M.;

b), manca giustificazione sulla notevole differenza tra le prime dichiarazioni della persona offesa, rese nel corso delle indagini preliminari, e le seconde sue dichiarazioni e sulla progressione accusatoria di queste ultime che divengono così inattendibili;

c) l’assenza di movente, riferibile all’indagato, per il tentativo di omicidio: il tribunale ha omesso di considerare che la telefonata intimidatoria (diretta a imporre all’ing. M. di abbandonare il settore dei lavori pubblici e manutenzione presso il comune di (OMISSIS)) è avvenuta mentre la persona offesa ricopriva la carica di capo settore dell’urbanistica e di capo settore dei lavori pubblici;

pertanto, in assenza di riscontri sulla fonte della minaccia, deve ritenersi che questa riguardava l’incarico nel settore dell’urbanistica, dove era in grado di dare fastidio a soggetti portatori di contrapposti interessi; d) la mancata valutazione delle molteplici minacce – riferite da articoli di giornale – dirette ad amministratori e funzionali e riconducigli al fenomeno dell’abusivismo edilizio nel quartiere (OMISSIS), in cui in quei giorni il comune stava procedendo all’abbattimento di manufatti abusivi; c) la circostanza che D.G. comunque, è rimasto sempre al suo posto di assistente tecnico all’interno del settore lavori pubblici e manutenzione, con un incarico che non gli consentiva di condizionare l’assegnazione a imprese per l’espletamento di lavori rientranti nelle procedure di "somme urgenze"; f) la inconsistenza delle dichiarazioni del T. G., che contengono una mera congettura e voci di corridoio, violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p., art. 195 c.p.p., comma 7; vizio di motivazione in riferimento all’art. 273 c.p.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7. La carenza di indizi emerge dall’assenza di valutazione sulla circostanza che il collaboratore di giustizia D.G.G. nutriva astio nei confronti di D. G.S., in quanto questi – che lavorava nel comune di (OMISSIS) – non si era adoperato affinchè il figlio del collaboratore fosse ammesso in un asilo nido comunale. Le sue dichiarazioni sono comunque poco attendibili, sia perchè non controllate in dibattimento, a causa della sua morte, sia perchè possono aver trovato la loro fonte nelle notizie dei giornali, che diedero ampio risalto al tentato omicidio.

Il tribunale ha omesso di considerare che la credibilità dei collaboratori è stata smentita dalla corte di appello di Caltanissetta, che ha assolto D.G.G. dall’accusa di far parte della stidda di (OMISSIS). Il tribunale, trascurato questo dato, ha riconosciuto valore di conferma delle dichiarazioni dei pentiti al risultato della perizia balistica, che è invece del tutto irrilevante.

Le dichiarazioni di D.G.R., fratello di G., nipote di S. e cugino di Gi., sono imprecise, in quanto rimane insuperato l’evidente errore sull’identificazione del veicolo guidato al M., indicato come FIAT Tipo, mentre era una Renault 5; inoltre nella deposizione del 3.2.04 dichiarò che la pistola fu fornita al fratello G. dallo zio S., nella deposizione resa nel 2011, in sede di rogatoria, ha affermato di non sapere se l’arma fosse stata fornita dal D.G. S. o meno.

Sulle dichiarazioni di I.G., il ricorrente ha rilevato che questi ha dichiarato di aver appreso la notizia del fatto dai giornali e che, con proprie valutazioni, lo ha attribuito ai fratelli D.G., ricevendo la conferma da G. che è poi morto e che quindi non può confermare la chiamata de relato.

Anche le dichiarazioni di T.O., M. e D. sono sottoposte alle critiche relative alla loro connotazione di indirette e imprecise.

Su queste prove, contrappone alla valutazione del giudice una propria, di cui afferma la superiorità Sulla perizia balistica, il ricorrente rileva che non sussistono riscontri sul fatto che l’arma – una pistola cal. 22 – fu fornita da D.G.S. e che, siccome guasta, dopo il tentato omicidio, fu riparata e utilizzata per l’omicidio di tal E..

Infatti, l’arma non è stata ispezionata perchè danneggia e perchè, anche ammesso che per entrambi i fatti sia stata usata una calibro 22, non risulta dimostrato che si sia trattato della stessa arma.

Sull’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7, rileva che non sussiste, in quanto, anche se risultasse che D.G.S. fosse l’unico interessato alla morte dell’ing. M., a causa degli interessi nel sistema dei lavori di somma urgenza, manca comunque la prova che sia un mafioso e che esista un clan mafioso da favorire;

violazione di legge in riferimento all’art. 275 c.p.p., comma 3:

vizio di motivazione. Non sussistono gli elementi legittimanti l’applicazione della presunzione dell’esclusiva adeguatezza della misura della custodia in carcere.

Il ricorso non merita accoglimento. L’ordinanza impugnata espone in maniera completa ed esatta i dati storici emersi dalle indagini e valuta queste risultanze in maniera del tutto razionale La base iniziale su cui è stata impostata l’impalcatura dell’accusa a carico del D.G. è stata la narrazione del nipote D.G. G., avvenuta il (OMISSIS): mandante era stato il ricorrente,che gli aveva dato incarico di uccidere il M., consegnandogli l’arma. I particolari del tentato omicidio furono così descritti : il cugino Gi. era alla guida di un motorino e il G. aveva esploso i colpi della pistola calibro 22, che si era però inceppata, rendendo impossibile la consumazione del delitto.

Il primo dato storico di conferma ,ricostruito con estrema precisione e con forza persuasiva, è costituito dal radicato contrasto tra l’indagato assistente capo della ripartizione lavori pubblici e manutenzione del comune di Gela, e l’ingegnere M., direttore della medesima ripartizione, nonchè direttore della ripartizione urbanistica. Il primo incarico era stato affidato allo specifico scopo di porre fine alla gestione illegale della ripartizione, esercitata dal D.G.. Il M. era infatti riuscito a interrompere il ricorso sistematico alle procedure di somma urgenza, nel cui ambito il ricorrente era in grado di condizionate la scelta delle imprese a cui affidare i lavori e di imporre loro onerose tangenti ;

2. nominare lui stesso i direttori dei lavori, limitando la possibilità del D.G. di ottenere la direzione per un numero esorbitante di cantieri.

Il M. ha ricostruito lo scenario di intimidazione e minacce creato dal D.G., indicando a) gli "atti gravi di avvertimento", successivi ai propri tentativi di riportare gli uffici comunali nella legalità;

b) l’effetto di questo clima di intimidazione su due ingegneri della ripartizione lavori pubblici, i quali ,a seguito della ricezione di due proiettili in busta chiusa,chiesero e ottennero il trasferimento ad altro ufficio; c) la fine di questa serie di aggressioni morali e fisiche alla sua persona, dopo il trasferimento ad altro ufficio.

Questa descrizione della condotta dell’impiegato comunale, dei condizionamenti prodotti sulla psiche e sulla condotta dei dirigenti degli uffici ha razionalmente meritato la credibilità del giudice del riesame, che non ha individuato alcun elemento di discredito nell’andamento ascendente, sul piano accusatorio, della narrazione della persona offesa : il M. non è passato dal silenzio alla loquacità sulla resistenza alla legalità e sui comportamenti intimidatori, vissuti e percepiti, all’interno degli uffici del settore "governato" dal D.G.; da subito li ha descritti e la maggiore precisione sullo loro fonte non è logicamente interpretabile, in assenza di dati concreti, come indice di falsità delle accuse. Pertanto correttamente è stata riconosciuta piena credibilità alle dichiarazioni accusatone della persona offesa, in perfetta coerenza con il consolidato orientamento interpretativo, secondo cui questa fonte conoscitiva non presenta una affidabilità ridotta, bisognevole di conferme dei cosiddetti riscontri. La testimonianza della persona offesa, al pari di tutte le testimonianze, deve essere sottoposta al generale controllo sulle capacità percettive e mnemoniche del dichiarante, nonchè sulla corrispondenza al vero della sua rievocazione dei fatti, desunta dalla linearità logica della sua esposizione e dall’assenza di risultanze processuali incompatibili,caratterizzate da pari o prevalente spessore di credibilità. Questo esame è stato compiuto con estrema accuratezza dai giudici di merito che hanno inoltre integrato la già sufficiente base indiziaria a carico del D. G., con una serie di elementi di garantita affidabilità.

Le dichiarazioni della persona offesa hanno avuto, infatti, una compatta conferma dalle dichiarazioni dell’assessore ai lavori pubblici, T.G. (altra vittima di un attentato riconducibile al medesimo movente di conservare la operatività delle prassi illegali, imposte nel comune) e dalle dichiarazioni del sindaco C.R. (uno dei primi atti della giunta fu l’allontanamento dell’indagato, finalizzato a smantellare il sistema di vessazione ed abusi a lui riferibile).

Questo quadro storico delineato da persone, direttamente coinvolte, a vario titolo, nello scenario intimidatorio e violento creato dall’infedele impiegato comunale, è arricchito in maniera decisiva dalle dichiarazioni di un protagonista dell’omicidio tentato, D. G.G. (poi ucciso il (OMISSIS)), che non solo ha rievocato la propria condotta di killer maldestro, munito di una pistola calibro 22 inidonea a portare a compimento l’incarico omicidiario ricevuto dalla zio, ma, a conferma della propria credibilità, ha dato indicazioni sulle sorti dell’arma (riparazione e utilizzazione per l’omicidio di E.V.), la cui validità è stata ribadita dai risultati di entrambe le indagini, concordi nell’indi care il medesimo calibro dell’arma utilizzata nei due crimini.

Sulle origini e sulla dinamica dell’evento delittuoso, l’ordinanza ha trovato altra conferma nelle dichiarazioni del fratello di D. G.G.: D.G.R. ha riferito che il fratello ebbe l’incarico di uccidere il M. dallo zio D.G. S. (che gli consegnò l’arma), per contrasti sorti nell’ambito di appalti pubblici. Il teste ha anche precisato il compenso per i materiali esecutori (quaranta milioni di lire) e ha affermato di aver custodito la pistola calibro 22. Questa narrazione è stata logicamente valutata credibile dal tribunale, pur in presenza di un’inesattezza (sul tipo di auto usata dal M. al momento dell’attentato) e di una discrasia (la circostanza sull’arma, ricordata con certezza nel primo interrogatorio, non è stata rammentata in quello del 13.1.2011). Il tribunale ha fatto logico riferimento giustificativo, quanto alla prima, alla corrente amnesia di qualsiasi narratore su aspetti marginali; quanto alla seconda all’intervallo di tempo(poco meno di sette anni tra i due esami).

L’ordinanza ha infine elencato le dichiarazioni de relato di collaboratori di giustizia, che hanno riferito un particolare estremamente dimostrativo della circostanza di politica e di cultura mafiosa in cui ha agito il ricorrente : la doglianza dei vertici mafiosi della zona, per l’omicidio programmato dal D.G. S., senza l’autorizzazione dell’autorità locale .Al di là di questo aspetto di contorno e comunque di massimo rilievo, i collaboratori hanno confermato come all’origine del tentato omicidio, ci sia stata la pretesa del ricorrente di comandare nel settore della manutenzione e dei lavori pubblici, in contrasto con le direttive del dirigente e con le norme di legge. Le valutazioni del tribunale sulla coerenza intrinseca di queste dichiarazioni accusatorie, sul rango mafioso delle fonti e sulla reciprocità delle conferme non hanno ricevuto dal ricorrente alcuna specifica ed efficace smentita.

Ugualmente è priva di spessore persuasivo la tesi diretta a screditare la credibilità di D.G.G., sostenuta, senza riscontri storici, dall’indagato e dalla sua convivente: costituisce un insormontabile ostacolo alla sua forza di convincimento sul piano logico la sproporzione tra azione (il mancato intervento per soddisfare richiesta di iscrizione nell’asilo nido comunale del figlio del defunto collaboratore) e l’asserita reazione, gravemente calunniosa di quest’ultimo. L’ordinanza ha inoltre dato esauriente giustificazione logica all’inserimento del D.G.G. nell’esecuzione dell’ omicidio, programmato dal ricorrente, pur in assenza di rapporti diretti tra le due persone: l’iniziativa di coinvolgere il cugino nel delitto può essere stata presa dal principale protagonista dell’impresa. La presenza del D.G. G. nella città di (OMISSIS), nel giorno del delitto, è stata esclusa dal tribunale con adeguata motivazione, facente riferimento alla mancanza di credibili conferme alla narrazione della madre.

L’assoluzione del D.G.G. dall’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa non può certamente essere interpretata come patente e garanzia di suo assoluto rispetto della legalità e come smentita della verità di qualsiasi accusa di comportamento illecito.

Quanto alle esigenze cautelari, i giudici di merito hanno posto in evidenza come il fatto in esame ,per la sua matrice ambientale e per le sue gravi caratteristiche, impone di ritenere la sussistenza del pericolo di reiterazione di reati, caratterizzati dal ricorso alla sopraffazione, con violenza morale e fisica, di qualunque persona che costituisca ostacolo all’opera dell’agente. Nessuna convincente prova è stata fornita dalla difesa sulla insussistenza dell’esigenza di prevenzione speciale L’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7 è ampiamente connaturata, come già anticipato, al metodo mafioso, utilizzato dal D.G.: questi, posto dinanzi all’alternativa rispetto della razionale legge dello Stato, rispetto della legge sanguinaria della mafia, ha aderito alla seconda, cercando di estenderne la cogenza al M. e all’altro personale tecnico del comune. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (sez. 1, n. 16883 del 13.4.2010, rv 246753), l’aggravante è integrata dalla condotta delittuosa "idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica (..) con i caratteri propri dell’intimidazione impressa da un’organizzazione criminale di tipo mafioso, nel senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per sè tale da evocare (..) l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso", a prescindere dalla loro concreta ed effettiva esistenza (Sez. 1, 18 marzo 1994, n. 1327, rv n. 197430), mediante la ostentazione "in maniera evidente e provocatoria" di atteggiamenti di "particolare coartazione e (..) conseguente intimidazione (..) proprie delle organizzazioni della specie considerata" (Sez. 6, 19 febbraio 1998, n. 582, rv n. 210405 e Sez. 1, 9 marzo 2004, n. 16486, rv n. 227932); sicchè la aggravante consiste nel solo fatto che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, quelle cioè ben più penetranti, energiche ed efficaci che deriva dalla prospettazione della loro provenienza da un tipo di sodalizio criminoso" (Sez. 2, 31 marzo 1998, n. 2204, Parreca, massima n. 211178).

Il quadro indiziario, ex art. 273 c.p.p. e art. 274 c.p.p., lett. c) rende operativa la presunzione ex art. 275 c.p.p., comma 3, rendendo, a sua volta, ineludibile l’applicazione della misura della custodia in carcere. L’art. 275 c.p.p., comma 3 canonizza la regola d’esperienza, secondo cui chi è raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine a questo tipo di reato a sfondo associativo presenta una pericolosità, in ordine alla quale la valutazione giudiziale,in tema di coercizione personale, è limitata dall’automatismo cautelare che si risolve nell’attribuire carattere assoluto alla presunzione di inidoneità delle misure cautelari diverse da quella carceraria.

La prova contraria dell’insussistenza delle esigenze cautelari non può essere desunta da quegli stessi elementi cui, ove non operi tale presunzione di pericolosità, la norma fa riferimento ai primi commi dell’art. 275 c.p.p., ai fini dell’adeguatezza e proporzionalità della misura, essendo stata tale valutazione già effettuata dal legislatore con esito negativo.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di rito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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