Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-05-2012, n. 8723 Regolamento di competenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 6 marzo 2002 la s.n.c. Azienda Agricola Seandre (d’ora in avanti, l’Azienda) ha convenuto davanti al Tribunale di Rovereto S. P.C., chiedendone la condanna alla restituzione di immobili concessi in comodato ed al risarcimento dei danni da indebita occupazione, a decorrere dal 1 gennaio 2002 alla data della restituzione.

La convenuta ha resistito alle domande, eccependo preliminarmente l’incompetenza per materia del giudice adito, dovendosi la causa devolvere alla sezione specializzata agraria del medesimo Tribunale;

nel merito ha eccepito che il rapporto in corso con l’attrice non era un comodato e men che mai gratuito; che essa aveva sostenuto ingenti spese per la manutenzione straordinaria ed il miglioramento del fondo, ed ha chiesto in via riconvenzionale il pagamento di cospicui indennizzi in denaro.

Il 13 giugno 2002 il giudice ha fissato l’udienza del 18 settembre 2002 per la discussione della questione di competenza.

Nelle more, cioè con ricorso depositato il 15 giugno 2002, l’Azienda agraria ha chiesto che venisse disposta con provvedimento d’urgenza la restituzione del fondo ed in questa sede il giudice – assunte sommarie informazioni – con ordinanza 11 luglio 2002 ha dichiarato la propria incompetenza, competente dovendosi ritenere la Sezione specializzata agraria; ha assegnato termine di trenta giorni per la riassunzione della causa davanti al giudice competente ed ha posto a carico della ricorrente le spese processuali.

L’ordinanza è stata notificata all’Azienda il 2 agosto 2002 e questa ha proposto reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies, reclamo che è stato respinto con ordinanza 28 agosto 2002.

Il 26 settembre 2002 l’Azienda ha depositato in cancelleria ricorso in riassunzione del giudizio davanti alla Sezione specializzata agraria.

Il giudizio, nel quale la S. è rimasta contumace, si è concluso con sentenza del Tribunale di Rovereto che ha accolto le domande attrici, sentenza che è stata confermata dalla Corte di appello di Trento.

La Corte di cassazione ha annullato entrambe le sentenze di merito a causa del mancato rispetto dei termini a comparire ed ha rinviato la causa al Tribunale di Rovereto.

Il Tribunale, su eccezione della S., ha dichiarato l’estinzione del giudizio a causa della tardività dell’atto di riassunzione della causa dopo la dichiarazione di incompetenza ed ha ritenuto assorbite le altre domande, compensando interamente le spese del giudizio.

La Corte di appello di Trento, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la sentenza di primo grado. Ha rigettato l’appello principale dell’Azienda, proposto contro la dichiarazione di estinzione del giudizio, sul rilievo che l’ordinanza dichiarativa dell’incompetenza aveva la natura sostanziale di sentenza; che il termine da cui far decorrere i trenta giorni per la riassunzione doveva essere individuato nel 2 agosto 2002, data della notificazione dell’ordinanza medesima, e non nella data in cui è stato respinto il reclamo ex art. 669 terdecies cod. proc. civ.; che alle cause in materia agraria non si applica la sospensione feriale dei termini processuali poichè – pur essendo stata la causa iniziata come un giudizio ordinario – una volta accertata la natura agraria della controversia, debbono applicarsi le norme che valgono per questa materia, ove è esclusa la sospensione feriale dei termini processuali.

La Corte di appello ha poi dichiarato inammissibile perchè tardivo l’appello incidentale proposto dalla S. per ottenere la restituzione del fondo e delle somme pagate in esecuzione delle sentenze annulliate.

Ha ritenuto infatti che l’atto di appello incidentale, pur se depositato tempestivamente e pur se ne è stata richiesta la notificazione oltre dieci giorni prima dell’udienza fissata per la comparizione delle parti, è pervenuto all’appellante principale solo otto giorni prima di tale udienza; che in ogni caso la dichiarazione di estinzione del giudizio ha travolto anche le domande proposte con l’appello incidentale, che pertanto non potrebbero essere accolte neppure se fossero ammissibili.

La S. propone cinque motivi di ricorso per cassazione. Resiste l’Azienda agricola con controricorso, proponendo a sua volta due motivi di ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1.- E’ logicamente pregiudiziale l’esame del ricorso incidentale, che investe la pronuncia di estinzione del giudizio.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 50, 447 bis, 91 e 96 cod. proc. civ.; L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, e con il secondo motivo insufficiente o contraddittoria motivazione, nella parte in cui la Corte di appello ha confermato la dichiarazione di estinzione del giudizio.

Le censure investono essenzialmente due profili: a) la parte in cui la Corte di appello ha qualificato come sentenza l’ordinanza 11 luglio 2002, con cui il Tribunale ha dichiarato la propria incompetenza, anche agli effetti della disciplina dei mezzi di impugnazione; b) la parte in cui ha escluso l’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali in relazione all’atto di riassunzione.

Quanto al primo aspetto, la ricorrente assume che la forma dell’atto era quella dell’ordinanza e che da tale forma non si può prescindere nel valutare la natura dei mezzi di impugnazione esperibili; che l’ordinanza medesima – emessa in sede di ricorso per provvedimento di urgenza – non ha in realtà definito il giudizio, poichè tale definizione è ascrivibile solo al provvedimento con cui l’incompetenza è stata dichiarata nel giudizio di merito, cioè all’ordinanza 18 settembre 2002, rispetto alla quale la riassunzione è stata tempestiva.

Quanto al secondo aspetto, assume che la sentenza impugnata ha disatteso (consapevolmente, ma senza giustificazione) il principio enunciato dalla Corte di cassazione con sentenza 2 ottobre 2008 n. 24412, secondo cui "il processo erroneamente introdotto con il rito ordinario è regolato dal rito speciale non dal momento in cui ne venga statuita la natura, bensì dal momento in cui il giudizio ha inizio in applicazione del relativo rito, in quanto in precedenza rileva il rito adottato dal giudice che, a prescindere dalla sua esattezza, costituisce per la parte il criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini previsti per le attività processuali. Ne consegue che si applica la sospensione feriale al termine di sei mesi previsto per la riassunzione, innanzi al giudice del lavoro indicato quale competente, del giudizio proposto innanzi al giudice civile dichiaratosi incompetente". Assume che il termine per la riassunzione (così come la disciplina dei mezzi di impugnazione), va individuato con riferimento al rito ritenuto applicabile al giudizio a quo, che nella specie (come nel caso deciso dalla sentenza n. 24412/2008) è quello soggetto al rito ordinario;

non con riferimento al rito applicabile al giudizio ad quem, da iniziare a seguito della dichiarazione di incompetenza, che nella specie è il rito speciale del lavoro, applicabile alle controversie in materia agraria.

L’opposta giurisprudenza a cui si è uniformata la sentenza impugnata (Cass. civ. 3 ottobre 1977 n. 4209) sarebbe superata dalla giurisprudenza più recente sopra citata.

2.- Le censure non sono fondate.

2.1.- Quanto al rilievo sub a), è effettivamente singolare che il Tribunale abbia voluto risolvere con carattere di definitività la questione di competenza in sede cautelare, anzichè in sede di merito; ma è altrettanto indubbio che ciò abbia fatto, ove si consideri che proprio con l’ordinanza 11 luglio 2002 esso non solo ha affrontato e risolto la questione di competenza, ma ha assegnato il termine per la riassunzione della causa davanti alla Sezione specializzata e ha disposto in ordine alle spese del processo, pur trattandosi di ricorso proposto in corso di causa, quindi non soggetto alla disposizione dell’art. 366 septies cod. proc. civ., comma 2, circa la liquidazione delle spese.

Deve essere condivisa l’opinione della sentenza impugnata secondo cui, a fronte di tali disposizioni, l’ordinanza ha assunto l’efficacia di sentenza e le parti avrebbero dovuto uniformarsi all’ordine del giudice di riassumere il giudizio nel termine assegnato.

La tesi dell’Azienda agraria, secondo cui il provvedimento definitivo sarebbe quello assunto in sede di merito, cioè l’ordinanza 18 settembre 2002, è in primo luogo inammissibile perchè non autosufficiente, nel senso che la ricorrente non specifica quale sia il preciso tenore di tale ordinanza e quale posizione essa abbia preso rispetto alla precedente ordinanza 11 luglio 2002.

Neppure risulta se l’ordinanza 18 settembre 2002 sia stata prodotta nel presente giudizio, come sia contrassegnata e come sia reperibile fra gli altri atti e documenti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda (cfr. fra le tante, Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav. 7 febbraio 2011 n. 2966).

In ogni caso, non è stato dedotto e dimostrato che questa seconda ordinanza abbia smentito o contraddetto quanto precedentemente disposto.

2.2.- Quanto al profilo sub b), la decisione della Corte di appello è corretta e conforme non solo alla sentenza n. 4209/1977 cit., da essa menzionata, ma anche alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, rispetto alla quale la sentenza n. 24412/2008, citata dalla ricorrente incidentale, appare isolata.

Il principio applicabile alla fattispecie è nel senso che -nei casi di mutamento da giudizio ordinario a giudizio speciale e viceversa – la scelta del rito applicabile va effettuata con riguardo alla qualificazione che il giudice, a torto o a ragione, abbia esplicitamente od implicitamente assegnato alla procedura a cui si riferiscono gli atti da compiere.

Pertanto, se una causa soggetta al rito speciale del lavoro od a quello applicabile alla materia agraria sia stata iniziata nelle forme ordinarie, essa è indubbiamente regolata sotto ogni aspetto dal rito ordinario. E viceversa.

Ma ciò vale finchè non intervenga in termini espliciti una diversa qualificazione (giusta o sbagliata che sia), come avviene nel caso in cui il giudice adito si dichiari incompetente, indicando come competente altro giudice.

In tal caso il rito applicabile agli atti da compiere per la prosecuzione della controversia è quello di cui alla nuova qualificazione, senza che vi sia luogo a distinguere fra atti prodromici all’inizio del muovo processo ed atti appartenenti alla nuova fase, come propone la ricorrente incidentale, sulla base della sentenza n. 24412/2008: distinzione che da un lato contraddice ai principi per cui il rito applicabile va individuato sulla base di quanto il giudice adito affermi circa la propria competenza;

dall’altro lato si presta a creare confusione ed incertezze circa gli atti da ritenere prodromici ed introduttivi, quindi soggetti al rito del processo a quo, ed atti da ritenere invece parte della nuova fase, soggetti al rito del giudice ad quem.

Volta che il giudice si pronunci con provvedimento definitivo sulla competenza, il relativo giudizio rimane fermo e deve essere rispettato, finchè non venga riformato in sede di impugnazione.

Nel frattempo, il rito applicabile non può che essere quello che caratterizza il processo da riassumere davanti al giudice dichiarato competente, a cominciare dall’atto introduttivo del giudizio secondo il nuovo rito, cioè dall’atto di riassunzione: nel caso di specie, si tratta del rito applicabile alle controversie agrarie, per le quali non è prevista la sospensione feriale dei termini processuali.

Tali principi sono stati più volte anche esplicitamente enunciati.

Con riferimento ad un caso uguale ed opposto a quello in esame, si è specificato che "Il principio di ultrattività del rito postula che il giudice abbia trattato la causa secondo il rito erroneamente adottato e, non avendo formulato alcun rilievo al riguardo, abbia implicitamente ritenuto che il rito in concreto seguito sia quello prescritto, con la conseguenza che il giudizio deve proseguire nelle stesse forme. Tale principio non opera, invece, nella diversa ipotesi in cui il giudice, dichiarandosi incompetente, abbia escluso che la controversia rientri tra quelle per le quali è previsto il rito adottato, il quale, pertanto, non può essere seguito, dovendosi, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto, applicare il rito previsto in relazione alla qualificazione data dal giudice alla controversia (Cass. civ. Sez. 2, 21 maggio 2010 n. 12524, la quale ha affermato che, avendo il giudice del lavoro dichiarato – con la declaratoria della propria incompetenza – che la causa non rientrava tra quelle previste dall’art. 409 cod. proc. civ., alla stessa doveva applicarsi la sospensione feriale dei termini per la riassunzione).

Ed ancora "ove una controversia in materia di lavoro sia erroneamente trattata fino alla conclusione con il rito ordinario, trova applicazione il principio dell’apparenza o dell’affidamento, per il quale la scelta fra i mezzi, i termini ed il regime di impugnazione astrattamente esperibili va compiuta in base al tipo di procedimento effettivamente svoltosi, a prescindere dalla congruenza delle relative forme rispetto alla materia controversa" (Cass. civ. Sez. Lav. 23 aprile 2010 n. 9694 che, in relazione ad una controversia in materia di lavoro erroneamente trattata con il rito ordinario anche in grado di appello, ha ritenuto applicabile la sospensione feriale al termine per l’impugnazione della sentenza di primo grado).

Analogo principio si desume da Cass. civ. Sez. Lav. 9 febbraio 2009 n. 3192; Cass. civ. Sez. 3, 7 ottobre 2010 n. 20811 ed altre.

Ed infine, nel senso che il regime dell’impugnazione del provvedimento che ha deciso la controversia deve essere individuato con riferimento alla, "……… forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta…", Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2011 n. 390, che ha ritenuto soggetta ad appello e non a ricorso immediato per cassazione, perchè emanata all’esito di un procedimento svoltosi completamente nelle forme di un ordinario procedimento civile contenzioso, la sentenza emessa dal giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo per somme relative a prestazioni giudiziali civili (sentenza in linea di principio inappellabile, ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 30).

La dichiarazione della propria incompetenza, competente dovendosi ritenere una sezione specializzata, costituisce per l’appunto una consapevole scelta del giudice circa il rito applicabile alla controversia.

Nè può essere condivisa la tesi da ultimo prospettata dalla ricorrente, secondo cui la causa è stata iniziata con domanda di restituzione di immobile in comodato, cioè in materia ordinaria, soggetta alla sospensione feriale dei termini, e solo dopo la riassunzione si sarebbe instaurato il procedimento agrario.

La natura della controversia è stata accertata, si ripete, dal Tribunale di Rovereto con il provvedimento che ha dichiarato la propria incompetenza, ravvisando nella complessiva materia oggetto di lite una questione agraria. Da questo momento in poi debbono ritenersi applicabili le norme che regolano il rito speciale, ivi inclusa quella che esclude la sospensione feriale dei termini processuali, salvo modifica del provvedimento in sede di impugnazione, che nella specie non vi è stata.

2.3.- Il ricorso incidentale deve essere quindi rigettato.

3.- Passando al ricorso principale, debbono essere preliminarmente respinte le eccezioni di nullità, inammissibilità, improcedibilità delle censure, sollevate dalla resistente per l’asserita mancanza di specificità della procura alle liti, per la mancata produzione del decreto di ammissione al gratuito patrocinio e per l’omessa formulazione dei quesiti.

La procura è redatta in calce all’atto, quindi è da ritenere ad esso contestuale, quanto alla data, ed è per sua natura speciale, sicchè non richiede, per la sua validità, alcuno specifico riferimento al giudizio in corso, restando irrilevante il fatto che la formula adottata faccia riferimento a poteri e facoltà normalmente rapportabili ai giudizi di merito (Cass. civ. Sez. 1, 16 marzo 2007 n. 6301; Cass. civ. 9 maggio 2007 n. 10539; Cass. civ. Sez. 3, 17 dicembre 2009 n. 26504, fra le tante).

11 mancato deposito del decreto di ammissione al gratuito patrocinio non è causa di inammissibilità del ricorso, considerato che nei gradi di merito ne è stata accertata l’esistenza e che l’efficacia del decreto di ammissione si estende a tutti i gradi del giudizio.

In ogni caso, agli effetti dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, essenziale è che sia stata validamente conferita la delega al difensore (cfr. fra le tante, Cass. civ. Sez. 1, 12 dicembre 2005 n. 27385). L’eventuale mancata produzione del decreto di ammissione al gratuito patrocinio non preclude la procedibilità del ricorso, ove la delega sia stata validamente conferita al difensore, ma potrebbe rilevare solo agli effetti della pronuncia sulle spese in favore della parte ammessa al gratuito patrocinio:

pronuncia che fra l’altro – nel caso in cui sussista effettivamente il decreto di ammissione – neppure spetta alla Corte di cassazione, ma deve essere emessa dal giudice di rinvio, o da quello che ha emesso la sentenza impugnata e passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso per cassazione (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, comma 2. Cfr anche Cass. civ. Sez. 1, 16 febbraio 2005 n. 3122; Idem, 12 giugno 2007 n. 13760, fra le tante).

Irrilevante è infine la mancate formulazione dei quesiti, considerato che la disposizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., è stata soppressa dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, applicabile ai ricorsi contro le sentenze depositate successivamente alla data dell’entrata in vigore della legge stessa (4 luglio 2009), ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58 cit.

4.- Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 383 cod. proc. civ., poichè, a seguito dell’annullamento delle sentenze di primo e di secondo grado ad opera della Corte di cassazione, la causa è stata rinviata alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Rovereto, che aveva emesso la sentenza annullata, anzichè all’analoga Sezione di altro Tribunale, così disattendendo il principio dell’alterità del giudice di rinvio, considerato che la sezione agraria del Tribunale di Rovereto è composta da un numero limitato di magistrati, tanto che a volte neppure è possibile formare un collegio diverso da quello che ebbe a pronunciarsi in precedenza.

La ricorrente assume che il giudice di rinvio avrebbe dovuto dichiararsi incompetente, ed eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 383 cod. proc. civ., se diversamente interpretato, per contrasto con l’art. 111 Cost. e con le norme ivi contenute in tema di giusto processo.

4.- il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il principio dell’alterità del giudice di rinvio, sancito dall’art. 383 cod. proc. civ., deve ritenersi rispettato non solo quando la causa venga rinviata, dopo la cassazione, ad altro ufficio giudiziario, ma anche quando il rinvio avvenga allo stesso ufficio in diversa composizione, ovvero ad altro giudice monocratico dello stesso ufficio, purchè non vi sia identità personale tra il giudice del rinvio e quello che pronunziò la sentenza cassata (Cass. civ. S.U. 15 ottobre 1999 n. 731). La medesima sentenza ha soggiunto che deve ritenersi inammissibile per difetto di rilevanza l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 383 cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che la decisione della controversia in sede di rinvio avvenga ad opera della stessa sezione specializzata, autrice della sentenza cassata, qualora risulti che i componenti della sezione in sede di rinvio non furono gli stessi che pronunciarono la decisione cassata (Cass. civ. S.U. n. 731/1999, cit., con riferimento alla sentenza di una Sezione disciplinare in un procedimento a carico di un magistrato).

Nella specie la ricorrente non ha affermato – e men che mai dimostrato – che la Sezione specializzata agraria presso il Tribunale di Rovereto ebbe a pronunciare, in sede di rinvio, in persona degli stessi magistrati che avevano deliberato la sentenza annullata.

Deve essere poi richiamato il principio enunciato da questa Corte, secondo cui "In tema di controversie agrarie deve essere sempre designata, come giudice di rinvio, la stessa sezione specializzata agraria che ha reso la sentenza cassata, stante l’assoluta inderogabilità delle sezioni agrarie non solo "ratione materiae", ma anche "ratione loci", la quale si giustifica con l’esigenza di assicurare alle parti un organo meglio adatto, per la sua composizione, a valutare la situazione agricola del luogo, in rapporto alla natura dei terreni e delle colture e alle consuetudini della zona" (Cass. civ. Sez. 3, 12 novembre 2010 n. 22944).

5.- Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 139, 148, 291, 421, 350, 435 e 436 cod. proc. civ., con riferimento al capo della sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale per il fatto che è stato notificato alla controparte in data 20 aprile 2009, meno di dieci giorni prima dell’udienza di discussione, fissata per il 28 aprile 2009, donde il mancato rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 436 cod. proc. civ., comma 3.

La ricorrente richiama il principio enunciato dalla Corte costituzionale con sentenze n. 477/2002 e n. 28/2004, per cui la notificazione si perfeziona, nei confronti del notificante, al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario; non alla data della ricezione dell’atto da parte del destinatario; che nella specie l’atto di appello incidentale è stato depositato in cancelleria e tempestivamente presentato all’ufficiale giudiziario per la notificazione il 17 aprile 2009, oltre dieci giorni prima dell’udienza di discussione; che la giurisprudenza ritiene improcedibile l’appello solo nei casi in cui il ricorso, pur se regolarmente depositato in Cancelleria, non venga affatto notificato (Cass. n. 20604/2008); non quando la notifica sia avvenuta, ma l’atto pervenga tardivamente al destinatario; questi ha solo diritto, in tal caso, al rinnovo della notificazione.

6.- Il motivo è fondato, quanto alla dichiarata inammissibilità dell’appello, ma non consente la modifica della sentenza impugnata.

La Corte di appello ha erroneamente applicato al caso in esame il principio enunciato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, con sentenza 30 luglio 2003 n. 20604, principio che si riferisce ad un caso diverso, cioè a quello in cui la notificazione dell’atto non sia. semplicemente tardiva in relazione alla data fissata per l’udienza di discussione, ma sia stata del tutto omessa.

La Corte ha cioè esaminato e deciso il problema di stabilire se sia sufficiente a salvare il termine per l’impugnazione il mero deposito in cancelleria del ricorso in appello, qualora ad esso non segua la richiesta di notifica dell’atto, e ha dato al quesito risposta negativa con la motivazione che i principi in tema di sollecita definizione del processo, di cui all’art. 111 Cost., vietano di giustificare comportamenti inutilmente dilatori, tramite la concessione di termini per il rinnovo di atti che ben avrebbero potuto essere compiuti tempestivamente.

Nel caso in esame, per contro, la notificazione della comparsa di risposta contenente l’appello incidentale non solo è stata richiesta dalla parte interessata, ma lo è stata validamente e tempestivamente, dovendosi la tempestività valutare con riferimento alla data della presentazione dell’atto all’ufficiale giudiziario, in base ai principi enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze sopra citate.

La sanzione dell’inammissibilità dell’appello non appare quindi giustificata, nei confronti dell’appellante, per il solo fatto che l’atto è tardivamente pervenuto alla destinataria.

Vero è che deve essere salvaguardato anche il diritto di quest’ultima a poter usufruire dell’intero termine a difesa garantito dalla legge; ma la composizione dei contrapposti interessi – quello del notificante alla validità dell’atto tempestivamente presentato all’ufficiale giudiziario, e quello del destinatario a ricevere la notificazione almeno dieci giorni prima dell’udienza di discussione – deve avvenire non sacrificando del tutto la posizione dell’una o dell’altra parte, bensì tramite gli strumenti appositamente previsti dalla legge in proposito, cioè tramite l’assegnazione da parte del giudice di un termine per rinnovare la notificazione o per sanare comunque la situazione tramite il rinvio della discussione.

Sotto questo profilo le censure della ricorrente risultano fondate.

Resta il fatto che, nei casi simili a quello in esame, è onere del notificante premurarsi di sanare la situazione, chiedendo l’assegnazione di un termine per rinnovare la notificazione, qualora la controparte eccepisca la tardività.

La ricorrente non ha dedotto nè dimostrato di avere chiesto al giudice la concessione del termine, sicchè la tardività della prima notificazione rimane ad essa imputabile ed essa non può dolersi in questa sede della pronuncia di inammissibilità, che appare addebitabile alla sua stessa inerzia.

La sentenza impugnata deve essere quindi confermata sul punto, restando assorbite le censure rivolte alla motivazione subordinata, circa l’infondatezza dell’appello incidentale a fronte della pronuncia di estinzione del giudizio.

1.- Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 36, 112, 307, 336 e di numerose altre norme del codice di procedura civile, nonchè omesso esame delle domande di ripristino dello stato dei luoghi e di reintegrazione nel possesso, la ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia preso in esame le suddette domande, da essa proposte in via pregiudiziale e cautelare, al fine di garantire il ripristino della situazione preesistente alla sentenza cassata.

Assume che tali domande dovevano essere esaminate e decise a prescindere dall’ammissibilità dell’appello incidentale, dovendo il giudice di rinvio provvedere comunque al ripristino della situazione preesistente alla sentenza cassata. Richiama in proposito Cass. civ. S.U. n. 12190/2004; Cass. 8221/2004; 16170/2001, ed altre.

7.1.- Il motivo è inammissibile, prima ancora che manifestamente infondato, poichè non è congruente con le ragioni della decisione.

La Corte di appello non ha omesso l’esame delle domande di cui sopra, ma ha motivato sul punto, rilevando che il compito di provvedere sulle domande restitutorie grava sul giudice di rinvio e che nella specie giudice di rinvio era il Tribunale di Rovereto, non essa Corte di appello, a cui la vertenza è pervenuta solo in sede di impugnazione della sentenza del giudice di rinvio, sicchè le censure proposte risultavano suscettibili di riesame solo subordinatamente all’ammissibilità dell’appello incidentale, che nella specie è stata esclusa.

Nè la ricorrente risulta avere prospettato al giudice di appello la sussistenza dei presupposti per l’ammissibilità delle domande restitutorie, pur se proposte per la prima volta nel corso del giudizio di appello, deducendo e dimostrando che l’esecuzione dei provvedimenti a cui si riferiscono le domande restitutorie è avvenuta dopo la notificazione dell’atto di appello e che tale domanda essa ha proposto nel corso del giudizio (Cass. civ. Sez. 3, 30 aprile 2009 n. 10124), e prima del deposito delle note conclusionali, in ossequio ai principi applicabili in materia (cfr.

Cass. civ. Sez. 3, 8 luglio 2010 n. 16152).

8.- Il quarto motivo – che lamenta violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione alla compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio – è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello motivato la sua decisione in considerazione della reciproca soccombenza delle parti, derivante dal rigetto di entrambi gli appelli.

9.- Il quinto motivo – che denuncia violazione dell’art. 70 c.p.c., e segg., art. 221 cod. proc. civ., e segg., per omesso esame della denuncia di falso del contratto di comodato – è anch’esso inammissibile, oltre che manifestamente infondato, perchè non congruente con la motivazione della sentenza impugnata, che non ha omesso l’esame della domanda, ma l’ha (correttamente) ritenuta assorbita dalla pronuncia di estinzione del giudizio.

10.- I ricorsi riuniti debbono essere rigettati.

11.- Considerata la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio si compensano per intero.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi riuniti e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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