Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6864 Commissione giudicatrice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’avvocato V. A. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti della procedura concorsuale indetta in data 10 luglio 2006 dal Ministero della Giustizia per l’assegnazione di 230 posti di notaio, nella parte relativa alla sua mancata ammissione alle prove orali, determinata dai giudizi di inidoneità riportati alle tre prove scritte.

A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:

– l’erroneità della sentenza in epigrafe, nella parte in cui non sono state colte le macroscopiche incongruenze che hanno connotato i giudizi della Commissione esaminatrice delle prove scritte (argomentando l’assunto in modo specifico con approfondimento dei rilievi mossi allo sviluppo di tutte e tre le tracce);

– la mancata considerazione della portata viziante rivestita dalla documentata estromissione di uno dei commissari dai lavori della Commissione per un lungo periodo di tempo (comprendente anche la correzione degli elaborati dell’odierno istante).

Si è costituito, per resistere all’appello, il Ministero della Giustizia il quale ha articolatamente replicato alle doglianze di parte istante, concludendo per la reiezione del gravame e per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 29 novembre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. L’odierno appellante, avvocato V. A., ha partecipato al concorso a 230 posti di notaio indetto dal Ministero della Giustizia con bando del 10 luglio 2006, risultando non ammesso alle prove orali a causa del giudizio di inidoneità espresso dalla Commissione esaminatrice in ordine a tutte e tre le prove scritte da lui svolte.

Col proprio ricorso, che il T.A.R. del Lazio ha respinto con la sentenza oggetto dell’appello qui esaminato, egli ha censurato il richiamato esito della procedura concorsuale.

2. Ciò premesso, l’appello si appalesa infondato e meritevole di reiezione.

3. Preliminarmente, giova precisare che il concorso per cui è causa è stato il primo a svolgersi in applicazione dell’innovativa disciplina introdotta dal decreto legislativo 24 aprile 2006, nr. 166, il quale – tra l’altro – all’art. 7 prevede due distinte modalità con le quali ciascuna delle sottocommissioni incaricate della correzione degli scritti può pervenire a un giudizio di non idoneità: in generale, ciò avviene all’esito della lettura dei tre elaborati relativi alle prove scritte (comma 2), ma il predetto giudizio negativo può essere espresso anche all’esito della lettura del primo o del secondo elaborato (e, quindi, omettendo di completare la lettura delle tre prove), qualora da tale lettura emergano "nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione" (comma 7).

Nel caso di specie, è stata fatta applicazione del comma 2 della disposizione testé citata, essendo stato espresso il giudizio di inidoneità all’esito della lettura e della correzione di tutti e tre gli elaborati prodotti dall’odierno istante.

4. Con un primo articolato motivo di impugnazione, l’appellante riproduce le censure – disattese dal primo giudice – in ordine alle varie e specifiche carenze e insufficienze riscontrate dalla Commissione esaminatrice in relazione a ciascuna delle tre prove d’esame, riproponendo gli analitici rilievi critici svolti su di esse nel ricorso introduttivo, anche con l’ausilio di pareri pro veritate redatti da esperti della materia, al fine di corroborare l’assunto secondo cui non si tratterebbe di errori, ma di soluzioni giuridiche del tutto ragionevoli, motivate e ammissibili.

Al riguardo, occorre in primo luogo richiamare il tradizionale indirizzo giurisprudenziale circa i limiti al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni delle commissioni esaminatrici nelle prove concorsuali, che il primo giudice risulta aver correttamente seguito.

Da tale consolidato orientamento la Sezione non ravvisa ragione per discostarsi, non risultando decisivo in tal senso neanche il richiamo a quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza nr. 14893 del 21 giugno 2010: tale pronuncia, infatti, non contraddice affatto i generali principi testé richiamati in ordine alla riserva all’amministrazione procedente delle valutazioni squisitamente tecnicodiscrezionali ricomprese nelle procedure concorsuali, ed ai conseguenti limiti al relativo sindacato giurisdizionale.

Dette valutazioni, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio), e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez.. IV, 3 dicembre 2010, nr. 8504; id., 29 febbraio 2008, nr. 774; id., 22 gennaio 2007, nr. 179).

In secondo luogo, non appare condivisibile l’approccio "atomistico" con il quale nell’appello si isolano le varie mende e carenze ravvisate dalla Commissione, per poi assumerne l’insussistenza, in un’ottica parcellizzata che smarrisce la necessità di un’analisi globale dell’elaborato (essendo pacifico che il maggiore o minor pregio della prova discende anche dall’equilibrio argomentativo complessivo e dalla logica interna generale che sorregge l’elaborato nella sua interezza).

Inoltre, la circostanza che l’istante abbia riportato giudizi di inidoneità in tutte e tre le prove sostenute è già di per sé tale da rendere alquanto improbabile, a livello anche solo statistico, che per tutti e tre gli elaborati siano ravvisabili i macroscopici vizi di cui si è detto.

Infine, ad avviso della Sezione nel caso che qui occupa non ricorre alcuna delle ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabile ictu oculi dalla sola lettura degli atti, in presenza solo delle quali si è visto essere ammissibile il sindacato del giudice in subiecta materia.

Più specificamente, è proprio in applicazione del rigoroso orientamento sopra richiamato che non vi è spazio per una disamina approfondita delle censure con le quali l’appellante, anche corredando i propri assunti col richiamo a pareri e fonti dottrinali, tende a contestare la giustezza dei giudizi espressi dalla Commissione in relazione a singoli aspetti delle prove di esame (e cioè, alla correttezza di talune soluzioni giuridiche proposte negli elaborati di esame, che la sottocommissione incaricata della correzione ha ritenuto invece di stigmatizzare come errori o inesattezze).

Con ogni evidenza, si tratta di aspetti la cui valutazione rientra nella sfera rimessa alla piena discrezionalità della Commissione e rispetto ai quali non è in alcun modo ammissibile una "sostituzione" dell’organo giurisdizionale, come sembra quasi pretendere la parte odierna appellante.

In altri termini il fatto stesso che al giudicante si richieda, al fine di apprezzare l’asserita erroneità dei giudizi espressi dalla Commissione sui singoli punti oggetto di sfavorevole delibazione, di seguire l’appellante in un complesso percorso logicogiuridico indirizzato all’analisi delle tracce ed all’individuazione delle varie soluzioni astrattamente possibili, consente di escludere che nella specie possano sussistere quei manifesti profili di erroneità e irragionevolezza in presenza dei quali solo – come si è visto – è consentito l’intervento censorio in sede giurisdizionale.

Né le conclusioni appena richiamate mutano per il fatto che le tesi esposte dall’appellante risultano corroborate da pur autorevoli pareri pro veritate, la cui irrilevanza al fine di ottenere un non consentito riesame delle prove in sede giurisdizionale pure costituisce principio giurisprudenziale consolidato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 aprile 2009, nr. 1853; id., 11 gennaio 2008, nr. 71).

4. Del pari privo di pregio è il secondo mezzo, col quale è reiterata la doglianza circa la pretesa portata viziante rivestita dalla vicenda che ha interessato uno dei commissari del concorso per cui è causa, il quale per alcuni mesi fu estromesso dai lavori della Commissione per decisione unilaterale del Presidente a seguito di dissensi insorti in seno alla Commissione medesima.

Ed invero, dalla documentazione in atti la circostanza risulta confermata, così come si evince che il predetto commissario, che in un primo momento aveva inteso proporre ricorso giurisdizionale avverso le decisioni assunte nei suoi riguardi, successivamente desistette da tale proposito a seguito della composizione dei contrasti (cfr. verbale della Commissione del 30 giugno 2009).

Tuttavia, dall’esame della disciplina circa la composizione e il funzionamento della Commissione esaminatrice risulta solo che ciascuna sottocommissione opera validamente con la presenza di cinque componenti come indicato al comma 5 dell’art. 4 del citato d.lgs. nr. 166 del 2006, mentre non è stabilito che costoro debbano essere previamente individuati sulla base di particolari e predeterminati criteri; inoltre, risulta per tabulas che la correzione delle prove d’esame dell’istante è avvenuta nel rispetto della disposizione appena richiamata (cfr. verbale del 17 giugno 2009).

Di conseguenza, non rilevandosi alcuna norma e disposizione idonea a fondare un interesse dell’appellante a essere giudicato da una sottocommissione composta in un modo piuttosto che in un altro, la doglianza è destituita di fondamento.

5. La peculiarità della vicenda esaminata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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