Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-07-2011) 21-11-2011, n. 42916

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Roma, giudice di rinvio dopo sentenza di annullamento da parte della prima sezione di questa Corte, ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado, dichiarando ndp nei confronti di F.P., per tutti i reati a lui ascritti, perchè l’azione penale non avrebbe potuto essere esercitata, per mancanza del provvedimento di riapertura indagini, dopo il decreto di archiviazione emesso nei suoi confronti;

ha dichiarato ndp nei confronti di F.B. con riferimento al delitto di tentata truffa nei confronti di compagnia assicurativa, per essere il reato estinto per prescrizione; ha confermato l’affermazione di responsabililà del predetto, rideterminando in melius la pena, con riferimento al delitto di incendio doloso ( art. 61 c.p., n. 2 e art. 423 c.p.); ha confermato nel resto (ivi incluse le statuizioni civili) e ha condannato il F.B. al ristoro delle spese sostenute dalle PPCC. In relazione alla residua imputazione (artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2, L. n. 516 del 1982, art. 4, comma 1, e succ. mod.), relativa all’utilizzo di fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti, il primo giudice di appello aveva assolto gli imputati, non essendo più il fatto previsto dalla legge come reato.

La vicenda processuale attiene all’incendio, sviluppatosi in (OMISSIS), nella notte tra il (OMISSIS), in un capannone, condotto in locazione dalla sas LINCOF, facente capo ai due F.. L’immobile, di proprietà di M.P., C., Fa. e L., andò distrutto.

Assumendo che nel sinistro era stata distrutta anche la merce stoccata nel locale (capi di abbigliamento e in particolare pellicce, per un dichiarato valore di L. 1.200.000.000), i F. si rivolsero per il risarcimento alla compagnia UNIPOL, con la quale avevano stipulato polizza assicurativa il 9 aprile 2003.

La Corte di rinvio ha ritenuto (anzi, ribadito) la natura dolosa dell’incendio, desumendola, come del resto i primi due giudici del merito, dai tempi e dalle modalità della sua propagazione, dal fatto che l’allarme non era entrato in funzione, dalla circostanza che le porte del magazzino risultavano chiuse.

Sulla base poi del criterio del cui prodest, F.B. (in origine anche P.) veniva individuato come soggetto responsabile del fatto reato.

Ricorrono per Cassazione i difensori del predetto e deducono vizio di motivazione, travisamento del fatto, disapplicazione degli artt. 125, 192, 546, 578 e 603 c.p.p.. Sostengono che il giudice di rinvio ha attribuito valenza dimostrativa solo ad alcuni elementi emersi in corso di istruttoria, scartando gli altri, in base a criteri che non ha chiarito. Quanto alla truffa, si è limitato a dichiarane la prescrizione, pur in presenza di un preciso interesse dell’imputato a una pronunzia nel merito, contravvenendo così a un preciso dictum delle SS.UU della Corte di legittimità.

Ciò che più rileva, l’affermazione di responsabilità risulta svincolata dalle censure espresse con l’originario atto di appello, dalle note illustrative e dalla memoria tecnica (ing. B.) a suo tempo prodotti dalla difesa. In particolare, è stata del tutto ignorata la rilevanza dell’accertamento relativo alla capienza dei mezzi utilizzati per trasportare la merce nel capannone ed è stata così negata la rinnovazione della istruzione dibattimentale. Quello della possibilità che all’interno del magazzini fosse presente la quantità di merce indicata dall’imputato era stato uno dei profili di annullamento della sentenza della prima sezione della S.C,, ma la prospettiva dei giudici del merito è rimasta invariata. Gli apporti e le critiche difensive sono state ignorate e la Corte si è trincerata unicamente dietro il criterio del cui prodest, rendendo evidente la carenza argomentativa della sentenza impugnata, che si è appiattita sulla precedente sentenza di appello, semplicemente ignorando le problematiche sollevate dalla difesa e ignorando il materiale probatorio incompatibile con la preconcetta tesi accusatoria. Il mancato esame della memoria difensiva determina nullilà di carattere generale ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto impedisce all’imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo del giudice; il controllo di legittimità deve pertanto estendersi a valutare se il giudice del merito ha deciso tenendo conto dell’apporto argomentativo delle parti. Ebbene, quanto al carattere doloso dell’incendio, la sentenza di rinvio sposa ciecamente le argomentazioni del primo giudice, giungendo al vero e proprio travisamento della prova, lì dove afferma che, secondo i testi Br. e O., le fiamme si sarebbero sviluppate rapidissimamente. I due – invece – ebbero a dichiarare (come evidenziato dall’appellante) che, essendosi accorti dell’incendio, chiamarono i VV.FF. e che, dopo 10-15 minuti, si verifica il crollo del tetto del capannone. Sin dall’inizio del suo iter argomentativo, dunque, il giudice di rinvio ha ignorato e disatteso le censure difensive, la cui disamina, viceversa, era imposta dalla necessiti di dare applicazione al principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento. Quanto alla chiusura delle porte del magazzino, i giudici del rinvio hanno rinunziato ad esplorare qualsiasi pista alternativa, tralasciando le dichiarazioni del teste arch. D.S., il quale ebbe a chiarire che le finestre, poste a 4 metri di altezza non erano munite di grate, di modo che, attraverso esse ben si poteva accedere al locale. Quanto all’impianto elettrico, acriticamente si è ritenuto che fosse scollegato, indicando le dichiarazioni in tal senso dei vari testi e considerando isolata la voce del commissario d.ssa N., la quale affermi il contrario. Dal fatto che il sistema di allarme non entrò in funzione, i giudicanti traggono l’arbitraria conseguenza che l’impianto elettrico fosse staccato. Al proposito, le dichiarazioni dell’installatore D.G. sono state completamente travisate (come accantonate sono state quelle della N., benchè esse trovino riscontro nella relazione di servizio). Ora, la sentenza di annullamento aveva imposto al giudice di rinvio di superare le Incertezze"scaturenti dalle dichiarazioni dei testi D.P., Ma., D.S. e D.G.. Ebbene tutto ha fatto la CdA di Roma, tranne ciò, giungendo persino a trascurare le conclusioni cui era giunto nella immediatezza dei fatti, il perito della UNIPOL, geom. P., il quale aveva escluso la natura dolosa dell’incendio. Disattese sono state anche le conclusioni cui giunsero gli operanti agenti di pg, che nulla riscontrarono di anormale, disattese sono state le conclusioni dei CC.TT. della difesa, C. e Ba., disattesa l’opinione del perito assicurativo R., il quale ebbe ad accertare la presenza di capi di pellicceria.

Nell’udienza del 3.11.1997, il predetto chiarì che, in base ai suoi accertamenti, sul posto dovevano essere presenti tra 200 e 500 capi di pellicce e pellame. La circostanza è stata evidenziata nelle note illustrative, ma ancora una volta, le obiezioni sono state ignorate, anche perchè i giudicanti hanno arbitrariamente affermato che gran parte della merce fu rimossa dal capannone prima dell’incendio. Ma ancora il R. ebbe a chiarire come una tale operazione non potesse passare inosservata. La CdA deduce il suo assunto dalle parole del D.S., il quale raccontò che, il giorno della inaugurazione, era presente un Tir nel piazzale antistante il magazzino; solo che il predetto professionista chiarì che egli ebbe l’impressione che il mezzo fosse lì per scaricare e non per caricare mercè. D’altra parte, i trasportatori escussi ( E., A., S., F., Ru.) chiarirono di aver trasportato merce in grande quantità tra questa, pellicce e montoni.

Motivi della decisione

Questo Collegio ha ritenuto di disattendere l’istanza di rinvio presentata dalla difesa dell’imputato, che segnalava la opportunità di attendere la pronunzia della Corte Costituzionale, investita, nell’ambito di altro procedimento, della questione di costituzionalità della L. n. 251 del 2005, art. 10, nella parte in cui esclude l’applicazione dei "nuovi1 termini di prescrizione, se più brevi, per i processi pendenti in grado di appello o avanti la Corte di Cassazione.

Invero, è opinione del Collegio che la questione sia manifestamente infondata, in quanto il Giudice delle leggi ebbe già ad affrontare (con la sentenza 393/06) una questione "limitrofa", pronunziandosi, come è noto, nel senso dell’illegittimità in costituzionale della norma, limitatamente alle parole "dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè", con la conseguenza che il discrimen temporale risulta essere stato – di riflesso – fissato al momento della pronunzia della sentenza di primo grado.

Ebbene, in tale circostanza, la Corte, se avesse ritenuto incompatibile con il dettato costituzionale la norma transitoria nella sua interezza, non avrebbe potuto non pronunziare in merito.

La correttezza di tale assunto è emersa – nelle more tra la pronunzia del dispositivo della presente sentenza e il deposito della motivazione – atteso che la Corte costituzionale – con la sentenza 236 del 2011 (depositata il 19.7) – ha dichiarato non fondata la questione.

Ciò detto, vanno innanzitutto chiariti "gli esatti confini" entro i quali l’apprezzamento del giudice di rinvio doveva dispiegarsi.

Ebbene, la sentenza di annullamento ha dichiarato inammissibile la terza censura formulata, all’epoca, dal ricorrente. Con essa i difensori del F. avevano biasimato la "acritica accettazione" delle conclusioni del CT del PM (discordanti, circa la natura dolosa dell’incendio, rispetto alle conclusioni dello stesso perito assicurativo). Secondo il primo ricorso, il giudice di appello era giunto al suo convincimento senza prendere in considerazione, eventualmente confutandoli, i rilievi critici della difesa dell’imputato, relativi all’elaborato tecnico.

Ma per la prima sezione di questa Corte (sentenza 28.1,2005), con tale censura, il ricorrente aveva in realtà prospettato "una diversa ricostruzione dell’incendio…delle sue cause e del suo sviluppo, avvalendosi di metodologie di accertamento alternative a quelle utilizzate dai consulenti del PM e fornendo una diversa lettura di alcune risultanze". E, dunque, in presenza di motivazione sul punto specifica e analitica da parte del giudice di appello, circa la validità del metodo seguito e la correttezza delle conclusioni dei CC.TT., la censura doveva considerarsi come articolata in fatto.

Il quarto motivo, viceversa,è stato ritenuto fondato (esso ha generato l’annullamento). Con la relativa censura, il F. si doleva della mancata"rispostd1 a specifici rilievi formulati con fatto di appello (chiusura delle porte, disattivazione dell’impianto elettrico e di quello di allarme, come emergenti dalle dichiarazioni di Ma., D.P., D.S., D.G.). Si doleva anche dell’apprezzamento su quantilà e quotila delle merci in magazzino, in considerazione della capacità di trasporto dei mezzi asseritamente utilizzati. Le valutazioni formulate dai primi giudici del merito si ritenevano – da parte del ricorrente – incoerenti con le dichiarazioni di altri testi ( V., Ba., Am., D.S., R., S., A.). Ci si doleva, infine, della mancanza di riscontri circa l’ipotesi che le merci fossero state asportate prima dell’incendio.

Al proposito, la prima sezione di questa Corte ha giudicato manchevole la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non risolve il denunziato contrasto tra le dichiarazioni dei testi sopra indicati e "taluni aspetti essenziali della impostazione accusatori". A fronte delle contestazioni dell’appellante, il giudice di legittimità ha ritenuto che la prima CdA avesse omesso specifiche "risposte", limitandosi a ribadire apoditticamente quanto sostenuto in sentenza di primo grado. Dunque, il giudice di rinvio è stato "invitato" a chiarire ciò che la precedente Corte territoriale aveva lasciato privo di considerazione e replica (chiusura delle porte, disattivazione degli impianti, esistenza/inesistenza di parte della merce nel capannone, possibilità/impossibilità del trasporto di tali merci con le modalità indicate dall’imputato, eventuale asporto di parte delle merci prima dell’incendio).

Tanto premesso, è di tutta evidenza che il giudice del rinvio è stato officiato di dare risposta ai sopra indicati puntuali quesiti.

Va da sè, che, se tali risposte lo avessero condotto a una ricostruzione dell’accaduto non più coincidente (in parti essenziali) con quella operata dal Tribunale, allora l’esito processuale della vicenda avrebbe dovuto certamente essere diverso.

Ciò che viceversa il giudice di rinvio non doveva (e non poteva) fare era avvalersi "di metodologie di accertamento alternative a quelle utilizzate dai consulenti del PM; vale a dire egli non poteva (doveva) mettere in dubbio la natura dolosa del sinistro, aderendo a quelle ipotesi alternative caldeggiate dalla difesa nel primo ricorso, ipotesi giudicate non prospettabili innanzi al giudice di legittimità.

Invero, solo in tal modo più leggersi e interpretarsi la decisione della prima sezione di questa Corte, che ha annullato con rinvio la pronunzia della prima CdA; altrimenti dovrebbe giungersi alla – inconcepibile – conclusione che la predetta sentenza di annullamento sia, essa stessa, contraddittoria.

Dopo tale, indispensabile e preliminare, chiarimento, si può passare ad esaminare il ricorso oggi pendente alla luce della sentenza impugnata, per verificare, innanzitutto, se i giudici del rinvio si siano adeguati al dictum della pronunzia rescindente. Ebbene, quanto alla natura dell’incendio, il giudice di rinvio non ha certo contraddetto la sentenza di annullamento, la quale, per quel che si è sopra anticipato, ebbe a dichiarare inammissibile la censura del ricorrente con la quale contestava la origine dolosa del sinistro.

Partendo da tale non contestabile "punto fermo", appare del tutto legittima (e logica) la decisione di rinvio di non procedere a perizia per stabilire, appunto, natura e modalilà dell’incendio.

Si legge in sentenza che i due testi, O.M. e B. S., videro una fiammata e quindi videro propagarsi rapidamente il fuoco. Il ricorrente sostiene che le parole dei due sarebbero state travisate dal giudice di rinvio, in quanto in realtà, essi si sarebbero limitati a riferire che il tetto crollò nel giro di 10-15 minuti dal momento in cui essi notarono le fiamme. Orbene, è evidente che O. e B. riferiscono fatti appresi de visu e quindi fanno riferimento a una tempistica che ha il suo punto di inizio nel momento in cui essi si accorsero del fuoco, momento che none detto coincida perfettamente con quello in cui il fuoco effettivamente si manifestò. Ma la (apparente) divergenza non è comunque di nessun rilievo, attesa la non pù discutibile natura dolosa dell’incendio che distrusse il capannone.

Quanto alla chiusura delle porte, la Corte romana ritiene"pacificd1 la circostanza, sulla base delle dichiarazioni dei VV.FF. intervenuti nella (quasi) immediatezza del fatto. La circostanza è data per certa, non solo sulla base di quel che i predetti hanno riferito, ma anche – e principalmente – in ragione della loro condotta sul luogo dell’incendio, atteso che essi dovettero utilizzare le tronchesi, appunto, per aprire – parzialmente distruggendole, evidentemente- le porte del capannone. In particolare, rileva la sentenza come le due porte anteriori risultarono chiuse dall’esterno (con lucchetti) e le tre posteriori dall’interno.

Ancora i giudici del rinvio mettono in evidenza come rimpianto di allarme non sia entrato in funzione (nessuno udì la "sirena").

Anche da tale circostanza, oltre che dalle dichiarazioni di numerosi testi, la sentenza oggi impugnata deduce che l’intero impianto elettrico fosse disinserito. Al proposito, non senza logica, la Corte romana privilegia le dichiarazioni dei VV.FF. rispetto a quelle degli appartenenti alla Polizia di Stato. Invero, i vigili (ovviamente maggiormente competenti in tale campo) intervennero per primi; la Polizia seguì. Per altro, la sentenza mette in rilievo come anche il teste D.P., appartenente alla Polizia abbia riferito di impianti non collegati. Di contro solo la N. risulta aver sostenuto il contrario e, tra le versioni contrastanti, la Corte privilegia, non certo illogicamente, quella che: a)èriferita da soggetti professionalmente più qualificati, b) è riferita dal maggior numero di testi, c) appare congruente con il fatto che nessuno udì la "sirena", meccanismo che, come si legge a fol. 11 della sentenza, sarebbe certamente entrato in funzione, se l’allarme non fosse stato disinserito (dichiarazioni dell’installatore D. G., dichiarazioni che, secondo il ricorrente, sarebbero state travisate, ma che tali non possono ritenersi per la perfetta congruenza con le altre emergenze probatorie).

Quanto alle dichiarazioni dei testi S., R., E., V., Ba., Am., I., F. e A., la Corte di rinvio dà atto che essi hanno dichiarato che un notevole quantitativo di merce fu trasportata in (OMISSIS) (con il Fiat Daily e con la Mercedes di F.P.), ma di anche atto: a) che tra i residui combusti dei capi di abbigliamento non furono rinvenuti, in numero sufficiente per giustificare la quantità di pellicce denunziata, quei piccoli oggetti metallici (gancetti, catenine) che all’interno di tali capi si trovano, b) che il teste D.S. ebbe a dichiarare di aver visto in magazzino solo 30, 40 pellicce, c) che il teste M. ebbe a dichiarare di essersi fatto mostrare il luogo in cui erano stoccate le pellicce, ma di non averne viste, d) che il servizio fotografico fatto al momento della inaugurazione del locale mostra la presenza di pellicce in numero minore rispetto a quello denunziato.

Con ciò, il giudice di rinvio ha certamente ottemperato al dictum di questa Corte, che gli imponeva di esaminare e rivalutare determinate circostanze e determinati contributi di conoscenza provenienti da testi, le cui dichiarazioni la prima CdA non aveva (o non aveva sufficientemente) scrutinato.

Il fatto che le finestre del capannone non fossero chiuse e che quindi fosse possibile penetrare nell’edificio (ed evidentemente, poi, fuggire), pur essendo le porte chiuse, effettivamente non è stato preso in considerazione dal giudice di rinvio; ma è noto che il giudicante none tenuto a verificare tutte le ipotesi (anche le più fantasiose: le finestre si trovavano a 4 m. di altezza, vale a dire, oltre l’altezza" "media" di un primo piano di un edificio moderno) che possano, in astratto, giustificare l’avverarsi di un fatto storico, ma è tenuto ad esaminare e considerare tutti gli elementi concreti posti a sua disposizione, per verificare la "tenuta" del la ipotesi di accusa e la esclusione di qualsiasi altra ragionevole ipotesi alternativa.

Ora, nel caso in esame, il giudicante ha messo in relazione la natura dolosa dell’incendio, gli stratagemmi posti in essere per ritardare l’intervento dei VV.FF. (impianto di allarme disinserito), le modalità infedeli (e, in realtà, truffaldine) con le quali l’imputato ha "fatto figurare" nel capannone merce in numero maggiore e in qualità superiore rispetto a quella realmente contenuta, l’interesse a riscuotere dalla UNIPOL il risarcimento di un danno, in base ad una polizza stipulata, pochi mesi prima, ed è giunto, senza "salti" logici, alla conferma della sentenza di primo grado.

Nè può essere chiesto a questa Corte di legittimità di accertare se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè di condividerne la giustificazione: essa deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabililà di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (cfr. ASN 200001004-RV 215745; ASN 199402436-RV 196955). Nel caso in esame, la verifica deve abbracciare anche la conformità del percorso del giudice di rinvio alla sentenza di annullamento; e, per quel che si è detto, tale verifica ha avuto esito positivo.

Per tutto quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato alle spese del grado.

Lo stesso va anche condannato al risarcimento del danno a favore della costituita e concludente PC, spese che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchèalla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile UNIPOL in questo grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro tremila (3.000), oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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