Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6858 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’appellante, proprietaria di un immobile a destinazione alberghiera in Grado denominato H. M., riferisce di aver ottenuto, per la relativa ristrutturazione, concessione edilizia di data 15 aprile 2005 e di aver presentato, il successivo16 luglio, richiesta di variante onde usufruire di più favorevoli previsioni contenute nel nuovo piano regolatore generale, entrato in vigore il 5 maggio 2005, e precisamente della possibilità di sfruttare la volumetria "in deroga" mediante una maggior elevazione, data la limitata superficie del lotto (mq. 305 circa), considerato che le nuove norme di PRG, non ponendo limiti di altezza ma solo volumetrici, astrattamente consentivano alla società proprietaria di realizzare una struttura sino a 13 piani complessivi.

La richiesta di variante, soggiunge la R. M. s.r.l., ottenne parere favorevole della Commissione Edilizia il 22 settembre 2005 e pareri favorevoli del Comando Vigili del Fuoco, il 23.9.05, e dell’A.S.S., il 26.9.05.

Il 30 settembre 2005, con deliberazione n. 46, il Consiglio comunale approvò, con previsione di applicazione del regime di salvaguardia, direttive per la formazione di una variante al PRG per la parte turisticoricettiva; tale scelta era motivata col rilievo che i vari progetti relativi a strutture alberghiere, presentati in sede di prima applicazione del nuovo PRG, prospettavano la realizzazione di edifici aventi anche 12 – 14 livelli fuori terra, con conseguente formazione di planivolumetrie che poco avevano a che fare con il contesto architettonico e paesaggistico di Grado e comportanti il concreto rischio di superare i limiti previsti dalla superiore normativa regionale di cui all’art. 35 NTA del PURG.

Conseguentemente, con determinazione del 18 novembre 2005, il dirigente di settore dispose la sospensione di ogni determinazione in ordine al progetto di variante della R. M. s.r.l., stante il regime di salvaguardia predetto.

Con deliberazione del 20 aprile 2006 n. 15 il Consiglio Comunale ha adottato la variante n. 4 al PRG relativa agli edifici ricettivi, che prevede una suddivisione del territorio comunale in zone per le quali, a scalare dal retroterra al mare, vengono assegnati limiti di altezza massimi decrescenti. L’art. 3 delle relative NTA prevede, inoltre, che il rilascio di concessione edilizia, in caso di superamento della densità fondiaria di 4 mc/mq, è subordinata all’approvazione di piano particolareggiato (3.0.1 lett. b) e che è consentito assumere come ambito minimo di riferimento del piano particolareggiato (PRPC) il lotto di pertinenza dell’unità ricettiva (3.0.2).

La società R. M. ha proposto ricorso avverso la deliberazione n. 46/2005 ed il provvedimento soprassessorio e motivi aggiunti avverso la deliberazione di adozione della variante n. 15/2006; impugnazioni respinte dal T.A.R. per il FriuliVenezia Giulia con la sentenza in epigrafe.

Appella la società, articolando in venti motivi le critiche di erroneità e di insufficienza della motivazione della sentenza impugnata e riproponendo le censure dedotte con i venticinque motivi (tra originari e aggiunti) dedotti in primo grado.

Resiste il Comune intimato, che eccepisce l’inammissibilità del ricorso di primo grado per insindacabilità dell’atto impugnato e carenza di interesse del ricorrente, riferendo, inoltre, come, medio tempore, la società abbia presentato richiesta di adozione e approvazione di un piano particolareggiato di iniziativa privata; replica, comunque, articolatamente alle argomentazioni avversarie.

In memoria l’appellante replica all’eccezione preliminare ed insiste per la riforma della sentenza di primo grado con annullamento dei provvedimenti impugnati.

Il ricorso è stato posto in decisione all’udienza del 10 maggio 2011.

La questione relativa alla sussistenza ed all’attualità dell’interesse al ricorso di primo grado è stata condivisibilmente valutata dai primi giudici, che hanno ritenuto sicuramente ed immediatamente lesive le "direttive" accompagnate dal regime di salvaguardia, puntualmente opposto alla ricorrente, osservando che non va confuso "l’interesse al ricorso con la cedevolezza o meno dell’interesse privato di fronte alle scelte discrezionali della P.A. in ordine alla tutela dell’interesse pubblico… ciò che costituisce problema di merito, e non di ammissibilità del ricorso"; né sul punto è stato proposto appello incidentale.

La presentazione, successiva alla sospensione dell’iter sulla domanda di concessione edilizia, di piano particolareggiato non implica acquiescenza e disinteresse al ripristino delle più favorevoli previsioni del PRGC entrato in vigore il 5 maggio 2005 (in particolare quanto all’ammissibilità di concessione diretta, sul progetto che già aveva ottenuto il parere favorevole della Commissione edilizia), che conseguirebbe all’annullamento dei provvedimenti avversati ed al relativo effetto caducante sulla deliberazione di approvazione della variante, medio tempore intervenuta ed impugnata con altro ricorso al T.A.R..

Le assai numerose e articolate censure dedotte con l’esteso (centodiciannove pagine) atto di appello possono essere sintetizzate, in ossequio al precetto dell’art 3, comma 2, c.p.a., e riorganizzate, raggruppandole per tema, come segue, previa una premessa di inquadramento, volta a semplificarne l’esame.

Si discute, in primo luogo, di una deliberazione del Consiglio comunale di Grado che ha stabilito, contestualmente alla previsione di un regime di salvaguardia ai sensi dell’art. 35 legge urbanistica regionale n. 52/91, direttive (contemplate dall’art. 31 l.r. cit.) in funzione di successiva variante al PRG relativa alle strutture ricettive.

La deliberazione del settembre 2005, assunta pochi mesi dopo l’entrata in vigore, nel maggio precedente, di variante generale al PRGC, è stata motivata con la duplice esigenza, balzata all’attenzione a seguito della presentazione di numerosi progetti riguardanti esistenti strutture ricettive che prefiguravano elevazioni sino a 14 piani, di preservare la "sky line" dell’abitato, evitando la "formazione di planivolumetrie che poco hanno a che fare con il contesto architettonico e paesaggistico di Grado", e di non superare il parametro posto dalla sovraordinata normativa di cui all’art. 35 del vigente DPGR 15.9.1978, contemplante la necessità che gli interventi edilizi diretti, ossia in assenza di piani particolareggiati di attuazione, non comportino elevazione in altezza al di sopra degli edifici preesistenti e circostanti né superamento dell’indice di fabbricabilità di 4 mc/mq..

Il Consiglio comunale, quindi, avvedutosi che gli incentivi volumetrici concessi con le recenti disposizioni, al fine di promuovere il recupero e la ristrutturazione delle strutture ricettive e così lo sviluppo ed il miglioramento dell’offerta ricettiva dell’importante stazione turistica e balneare, venivano, in concreto, sfruttati, in assenza di norme limitative dell’altezza, per uno sviluppo verticale delle strutture ricettive, non armonico con il contesto, ha ritenuto "indispensabile modificare l’impianto normativo del comparto Alberghiero, introducendo dei limiti ragionati alle altezze degli edifici ricettivi, senza peraltro alterare la filosofia complessiva della normativa, e ciò al fine di non compromettere in maniera irreversibile la qualità ambientalepaesaggistica dell’isola di Grado".

L’art. 33, comma 2, della legge reg. n. 52 del 1991 stabilisce che la normativa di PRG ha valore a tempo indeterminato è può essere variata "in ogni tempo" per "importanti ragioni che determinano la necessità o la convenienza di migliorarlo o integrarlo" (oltre che quando sia prescritto da norme o da piani sovraordinati).

La valutazione di importanza e prevalenza delle ragioni emergenti e della conseguente convenienza di introdurre varianti che ne tengano conto, con individuazione del punto di bilanciamento dei vari interessi in gioco, attiene al profilo del merito, sottratto al sindacato giurisdizionale, delle scelte che competono all’Ente territoriale nell’esercizio della potestà pianificatoria.

Un primo gruppo delle censure rivolte alla deliberazione n. 46 del settembre 2005 ed alle motivazioni della sentenza che la concernono riguarda l’effettuazione della scelta di impartire direttive funzionali alla modifica, in senso restrittivo, delle vigenti disposizioni per le strutture ricettive e le relative ragioni (primi quattro motivi di appello e sei originari).

Si muove con il più radicale assunto di incompetenza del Consiglio comunale, in quanto, nello specifico caso, si sarebbe attivato in via sostanzialmente sostitutiva della Regione nell’esercizio dei relativi poteri, previsti dall’art. 32 legge reg. n. 52/91, di apposizione di riserve sugli strumenti urbanistici in corso di approvazione, allo sviato fine di una sorta di auto imposizione, fuori tempo (a piano approvato), di riserve, in violazione del citato art. 32.

Tale elaborata e artificiale costruzione fa perno su un inciso, di sapore "politico", della deliberazione in cui si evidenzia che per inoperosa decorrenza dei termini il nuovo piano regolatore non era stato sostanzialmente esaminato dagli organi regionali, che non avevano formulato alcuna riserva che avrebbe consentito di focalizzare tempestivamente l’attenzione su potenziali violazioni del disposto dell’art. 35 del piano urbanistico regionale.

La tesi non può essere condivisa, in quanto considera un frammento, avulso dal contesto, delle esposizione contenuta nella delibera, obliterando il vero fulcro della motivazione (esigenza di tutelare della qualità ambientalepaesaggistica dell’isola, assumendo quale parametro le indicazioni dell’art. 35 NTA del PURG) nonché la circostanza che è incombenza propria (anche ed in prima battuta) del Comune tener conto delle norme sovraordinate; la mancata espressione di riserve da parte della Regione riguardo a specifici aspetti di un piano sottoposto alla sua approvazione non comporta preclusioni al rinnovato esercizio della potestà pianificatoria comunale.

Si contesta, inoltre, che l’addotta necessità di adeguarsi al PURG possa costituire idoneo presupposto per l’esercizio del potere di introdurre varianti settoriali al PRGC; tanto in riferimento, nel ricorso di primo grado, al non pertinente art. 125 legge reg. n. 52/1991, concernente l’adeguamento dello strumento generale in ragione di eventi evolutivi della popolazione o per adeguamento di standards a seguito di revisione del PURG, ed in riferimento all’art. 33 l.r. cit., nei motivi di appello.

La critica risulta infondata alla luce dell’ampiezza della formulazione dell’art. 33 cit. e della discrezionalità dell’amministrazione nell’individuare le importanti ragioni di necessità o convenienza, che nella specie sono state chiaramente indicate, combinando il richiamo all’art. 35 NTA de PURG col centrale riferimento all’aspetto della tutela della qualità ambientale e paesaggistica. Aspetto, questo, relegato dalla società R. M. al sesto motivo del ricorso di primo grado (v. 4° di appello), trattandone con osservazioni che, isolando due passaggi dell’articolato impianto motivatorio, tendono nella sostanza, come condivisibilmente ritenuto dai giudici di primo grado, ad introdurre inammissibile censure di merito (la censura si riduce, in definitiva, all’assunto di un intento demagogico, a prescindere da una già abbondante compromissione della sky line di Grado).

Si lamentano, inoltre, violazione dell’art. 31 legge reg. n. 52/91, difetto di motivazione e di istruttoria, contraddittorietà, violazione del principio di buone fede, deducendo che le direttive si pongano in aperta contraddizione con gli obiettivi del PRG, di favorire le attività ricettive, senza adeguata motivazione che tenesse nel debito conto le legittime aspettative dei privati che, sulla base, del recente nuovo PRG avevano avanzato istanze di concessione.

Orbene, l’art. 31, comma 2, della citata legge regionale prevede che il Consiglio comunale impartisce con propria deliberazione le direttive per la predisposizione di un nuovo PRGC o di varianti che incidano sugli obiettivi e sulle strategie di cui all’art. 30, primo comma, lettera a). L’art. 30, co. 1, stabilisce il contenuto obbligatorio del piano relativo alla totalità del territorio, menzionando in primo luogo (lett. a) l’indicazione degli obiettivi che si intendono perseguire.

Innovazioni che "incidono", e dunque modificano, integrano o ritarano, gli obiettivi precedentemente indicati sono, dunque, consentite, rimettendole alla competenza consiliare, dall’art. 31; pertanto non sussiste la denunciata violazione di legge, mentre eminentemente assertiva, oltre che infondata avendo il Consiglio comunale motivato le regioni del ripensamento, rimane la critica di contraddittorietà dei nuovi obiettivi rispetto a quelli precedentemente delineati; critica, in sostanza, preordinata a lagnanze di lesione di legittime aspettative dei privati.

Quest’ultimo tema, della lesione o comunque pretermissione delle aspettative dei privati (variamente definite legittime o consolidate), percorre l’atto di appello emergendo in vari punti, in riferimento alle direttive, all’introduzione della salvaguardia (VI motivo di appello), alla sospensione dell’esame della richiesta di variante edilizia giunta in dirittura d’arrivo, lamentando l’appellante che il TAR abbia stroncato in radice ogni possibilità risarcitoria. Parte appellante prende spunto dall’atecnico riferimento nella sentenza ad una sorta di "autotutela" realizzata dal Comune con le direttive in salvaguardia, rispetto alle previsione della Variante al P.R.G.C. in vigore dal maggio 2005, per dolersi della mancata considerazione dei contrapposti interessi dei privati. In realtà non si tratta di procedimento di secondo grado ma del normale esercizio dei poteri spettanti al Consiglio comunale in materia urbanistica e dell’intervento di nuove valutazioni di merito che hanno indotto a racchiudere le potenzialità edificatorie, pur sempre connotate dal favor per il settore ricettivo, entro prefissati e, quindi, più precisi limiti di altezza e volumetrici (questi ultimi previsti, del resto, soltanto in mancanza di piani particolareggiati d’attuazione); e tanto prima che si potessero consolidare, con il rilascio di titoli edilizi, le aspettative degli imprenditori interessati, aspettative generiche alla non reformatio in pejus delle precedenti previsioni, cedevoli dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione, senza che si richieda particolare motivazione, e tanto anche per il caso di introduzione di misure di salvaguardia. Non si dava, dunque, il (preteso) caso di "diritti quesiti" cui correlare un obbligo di comparazione fra interessi pubblici e privati, né l’amministrazione si è determinata in un ottica di ripristino di legalità. La prevalenza dell’interesse alla conservazione della qualità ambientale, evitando importanti alterazioni al contesto architettonico e paesaggistico di Grado è, d’altra parte, chiaramente denotata dalla deliberazione del 30.09.2005.

Altra critica rivolta alle "direttive" riguarda la previsione della subordinazione del rilascio di concessione edilizia all’approvazione di un PRPC, in caso di superamento dei limiti previsti.

Se ne sostiene il contrasto col principio di legalità e tipicità degli strumenti urbanistici e con l’art. 35 NTA del PURG, rilevando che la previsione denoterebbe l’intento sviato del Comune di porre sotto tutela l’edilizia alberghiera. Erronea sarebbe la decisione del giudice di primo grado che l’ha ritenuta legittima, pur se riferita ad una singola costruzione.

La censura non è persuasiva. L’inutilità di un piano attuativo relativo ad un edificio singolo in zona già urbanizzata, che costituisce, in sostanza, il punto focale della tesi dell’appellante e dei precedenti giurisprudenziali invocati, non può, come condivisibilmente ritenuto dal TAR, ravvisarsi nel concreto caso di specie, trattandosi di interventi di ristrutturazione e ampliamento su strutture alberghiere, per loro natura aventi forte incidenza sugli standars urbanistici, tali da giustificare, ove vengano in considerazione dimensionamenti superiori ai limiti predetti, oltre che importanti altezze, un approfondito studio preventivo in ordine all’inserimento nel contesto con il quale l’opera deve raccordarsi, all’adeguatezza o all’eventuale potenziamento delle urbanizzazioni esistenti (ad esempio, viabilità, parcheggi). La giurisprudenza, del resto, non esclude che in determinate circostanze possa risultare ragionevolmente necessario accompagnare l’intervento con un atto di pianificazione attuativa, anche se in zone già urbanizzate, analogamente a quanto è previsto ex lege per i piani di recupero di cui alla legge n. 457/78.

Con il quinto motivo di appello si perviene all’aspetto del contenuto delle nuove previsioni e si contesta (sotto vari profili ed in relazione alle direttive, all’applicazione delle misure di salvaguardia ed al provvedimento del 18.11.2005 di sospensione di ogni determinazione in ordine al progetto di variante) la sussumibilità dell’intervento progettato dalla R. M. nella categoria dei "nuovi edifici" considerati dall’art. 35 NTA del PURG, anche in relazione all’art. 2 della L.R. FriuliVenezia Giulia n. 26 del 2004 (disposizioni sul nuovo condono edilizio), segnalando, tra l’altro, l’aspetto fattuale che, anche prima della variante richiesta, l’Hotel superava il rapporto di 4 mc./mq.. L’appellante contesta l’erroneità, per contrasto con la disciplina di riferimento e travisamento dei fatti, della motivazione della sentenza in relazione alle censure esposte in vari punti degli atti di primo grado, che ripropone (in estrema sintesi, viene ritenuto fuorviante il semplificatorio richiamo fatto dall’Amministrazione all’art. 35 NTA del PURG,così come non rilevante nella specie l’equiparazione tra ristrutturazione urbanistica e nuovi interventi di cui all’art. 2 L.R. 26/2004 – sostenendo trattarsi di semplice ristrutturazione edilizia – e per conseguenza illegittimo il provvedimento di sospensione dell’esame del progetto di variante, in applicazione della salvaguardia – v. motivi di primo grado 7°, 9°, 14°, ma si inserisce nella tematica anche il 12°, teso a denunciare illegittimità derivata, in relazione al quale il IX motivo di appello denuncia omissione di pronuncia).

Tali critiche non possono condividersi. Il Consiglio Comunale, nelle direttive ed ai fini dell’applicazione del regime di salvaguardia, ha assunto come parametri di riferimento le indicazioni dimensionali dell’art. 35 NTA del PURG; tali parametri vanno, quindi, intesi come riferiti comprensivamente alle attività costruttive nuove, anche se eventualmente innestate su edifici preesistenti, non dovendosi intendere il riferimento ai nuovi edifici in senso stretto e letterale. D’altra parte, se pure è vero che non si tratta nella specie di erigere ex novo un edificio, rimane eminentemente assertiva la tesi dell’appellante che si tratti di semplice ristrutturazione edilizia, la quale implica il mantenimento sostanziale dei volumi e delle altezze preesistenti, laddove si concorda con l’avviso del TAR della rilevanza urbanistica di interventi che producono consistenti modifiche all’assetto urbano preesistente (la sentenza impugnata si riferisce sia ad "impatto visivo in forza del raddoppio dell’altezza", che alla "incidenza sugli standards di zona").

Attiene a profili procedurali il VII motivo di appello (dell’infondatezza del sesto si è già detto sopra). Si sostiene l’illegittimità dell’introduzione della salvaguardia per emendamento in assenza della ineludibile previa acquisizione del parere scritto di legittimità del Segretario Comunale ex art. 72 Regolamento di organizzazione del Consiglio comunale di Grado (nel testo vigente successivo al D.Lgs. n. 267/2000), non bastando la presenza del Segretario alla seduta e la mancanza di osservazioni da parte sua, erroneamente valorizzate dal TAR, in quanto la norma, che richiede il parere venga "letto" al Consiglio prima della votazione, non contempla la possibilità di un parere per tacito consenso.

La censura è infondata. Quanto all’ultima notazione, va puntualizzato che, come si desume dal testo dell’art. 72 cit. riportato nell’atto di appello (v. commi 3 e 4) a dover essere "letto" è il testo emendato. Nella specie, inoltre, non risulta che la decisione di introdurre la salvaguardia sia intervenuta mediante emendamento, essendo già prevista, sia pure in formulazione più elementare, ma non difforme da un punto di vista sostanziale. Dalla lettura della delibera del 30.09.2005 si ricava, in ordine alla proposta di instaurare il regime di salvaguardia, che si era posto l’interrogativo se votarla "a titolo generico" o se integrarla con un riferimento più tecnico, ossia indicando "ai sensi e per gli effetti del 2° comma dell’art. 35" della legge regionale n. 52 del 1991 (che è, appunto, la norma che contempla la possibilità che il Consiglio comunale, in sede di adozione delle direttive, preveda anche un regime di salvaguardia).

L’VIII motivo è volto a censurare la motivazione della sentenza riguardo alla contestazione del carattere meramente dilatorio degli atti infraprocedimentali costituiti dal parere 25.07.2005 della Commissione edilizia e dalla richiesta 12.08.2005 di integrazione documentale; l’appellante evidenzia, in ottica risarcitoria, l’interesse ad una pronuncia di merito sulla illegittimità di tali atti, ma ad essa ostano pregiudiziali profili di inammissibilità di contestazioni rivolte avverso atti inidonei, proprio per la loro natura di atti interlocutori, che non determinano l’arresto del procedimento ma sono tesi ad approfondimenti istruttori, a produrre una immediata e diretta lesione degli interessi del presentatore della pratica edilizia (che, infatti, individua come atto lesivo il provvedimento del 18.11.2005); peraltro la richiesta da parte della Commissione edilizia di elaborati grafici che illustrino l’inserimento dell’edificio nel contesto in cui si colloca nonché di una dettagliata specifica dei materiali impiegati nelle finiture non abbisognava di particolare motivazione e indimostrato rimane il preteso intento dilatorio su cui si incentra l’assertiva censura di sviamento.

I motivi X e XI (si è detto sopra del IX) lamentano pretese erroneità della sentenza impugnata relativamente ai motivi di primo grado volti a denunciare l’illegittimità della determinazione del 18.11.2005 di sospensione della pratica di variante. Si sostiene, in sintesi, l’inapplicabilità nel caso della misura di salvaguardia, perché il Comune aveva l’obbligo di rilasciare la concessione, essendo decorso dalla presentazione della domanda il termine di 60 giorni previsto dalla L.R. 52/91, non interrotto da pretestuosa domanda di integrazione documentale del 12.08.2005 (gli ultimi elaborati erano stati, comunque, depositati e protocollati il 27.09.2005); entro il 28 settembre, dunque, avrebbe dovuto essere rilasciata la concessione; si segnala, comunque, l’eccedenza del volume rispetto ai 4 mc./mq. già prima della richiesta di variante e contraddittorietà rispetto a precedente parere della Ripartizione tecnica.

Va precisato, a quest’ultimo riguardo, che l’aspetto dell’eccedenza rispetto ai limiti di altezza, evidenziato nell’atto applicativo della salvaguardia è sufficiente, da solo, a giustificarla, onde resta superfluo addentrarsi in questioni volumetriche (peraltro, la denunciata contraddittorietà pone come precedente a raffronto un parere del 26.07.2005 che si riferisce al PRGC e non alle direttive successivamente adottate e poste in salvaguardia).

Le ulteriori critiche sono infondate, non configurandosi, nella specie, alcun silenzio assenso e non potendosi considerare come atto finale del procedimento il parere favorevole della Commissione edilizia; non poteva, quindi, ritenersi definito l’iter della pratica edilizia e, conseguentemente legittima ne è stata la sospensione, in applicazione della salvaguardia ormai in vigore.

Gli ulteriori motivi da XII a XX sono riferiti alla delibera consiliare n. 46 del 20 aprile 2006 di adozione della variante, con riferimento alle direttive predette.

Esclusa, in conseguenza di quanto sin qui detto, l’illegittimità derivata (motivo XII), le altre contestazioni possono esaminarsi in due gruppi tematici, salvo gli autonomi motivi XVI e XVII.

I motivi XIII, XIV e XV prospettano erroneità della motivazione della sentenza riguardo a censure rivolte ad evidenziare errori di fatto e comunque un’inadeguata attenzione alle reali condizioni dell’edificato che minerebbero tutta la filosofia ispiratrice della variante (andamento a scalare di due piani, ossia 6 metri, nelle quattro zone individuate, con altezza massime previste di circa mt. 34, 28, 22, 16). Errata sarebbe, in primo luogo, l’individuazione in circa 35 m. dell’altezza dell’Hotel Tiziano, che è stata utilizzata come riferimento, per non essersi tenuto conto che tale altezza sarebbe stata elevata fino a 44 m. in virtù di recente concessione edilizia. Non si sarebbe tenuto conto dell’altezza dell’Hotel Astoria, fronte mare, né dell’H. M., entrambi ben più alti del limite della relativa zona. Neppure sarebbe stata considerata l’altezza dell’edificio denominato "Condominio Isola d’Oro" (m. 35,90) posto in linea con l’H. M., cui è consentita l’altezza di 28 m. L’appellante sostiene che una conveniente valutazione della situazione presente e futura avrebbe dovuto indurre ad un ripensamento di tutte le questioni relative alle altezze massime raggiungibili, affermando che, a voler tener ferma l’impostazione a gradoni, avrebbero dovuto essere portate verso l’alto. Trattasi di contestazioni che, per quanto presentate in termini di carenze istruttorie, erroneità, travisamento dei presupposti, tendono, in definitiva, ad introdurre censure di merito, inammissibili in questa sede. Non si riscontra l’affermato errore di fatto nell’individuazione dell’altezza dell’H. T., essendo stata fatta una ricognizione sulla base dello stato di fatto allora attuale. Lo stesso appellante dichiara che l’edificio "stava raggiungendo" altezza maggiore sulla base di concessione edilizia "appena rilasciata". Non è, dunque, il dato effettivo, reale ed attuale, autenticamente contestato, quanto piuttosto l’opportunità di una valutazione prospettica di altezze future in luogo di quella allo stato, prescelta dall’amministrazione. Se la "filosofia ispiratrice" della variante debba risentire della presenza minoritaria di singoli edifici più alti del "gradone" di appartenenza è anch’essa questione di merito; pertanto la presenza dei pochi edifici particolarmente alti segnalati dall’appellante non denota di per sé la sussistenza di sintomi di eccesso di potere quali la carenza di istruttoria, il travisamento dei fatti o l’illogicità. Si condividono, sul tema ora esaminato, le più diffuse considerazioni del giudice di primo grado.

Il motivo XVI ripropone, in riferimento alla delibera di adozione della variante, le critiche relative alla previsione della necessità di piano particolareggiato in caso di superamento degli indici di densità fondiaria di 4 mc./mq., con possibilità di assumere come ambito minimo di riferimento il lotto di pertinenza dell’unità ricettiva, qui contenute all’art. 3.0 NTA. Si richiama, pertanto, quanto già detto in precedenza circa l’infondatezza della tesi.

Infondato è anche il motivo XVII, teso a censurare l’erroneità della motivazione della sentenza riguardo alla contestazione attinente la previsione della limitazione a m. 1,00 della sporgenza fuori terra del piano seminterrato, ritenuta disparitaria rispetto alla previsione di m. 1,50 per altre tipologie di edifici; è assorbente, tra le considerazioni di irrilevanza e infondatezza espresse dai primi giudici, il condiviso rilievo che la specialità della disciplina relativa alle strutture ricettive giustifica che possano, anche in relazione allo specifico aspetto, essere scelti valori diversi da quelli indicati in via generale dalle norme di piano.

Gli ultimi tre motivi di appello riguardano le disposizioni particolari per i "R." alberghieri.

Si contesta l’erroneità della sentenza quanto alle motivazioni relative alle doglianze rivolte agli artt. 6.2, 6.4 e 7.0 delle NTA della variante approvata e, più precisamente, a) alla previsione di limitazione territoriale (esclusione dal litorale e limitazione volumetrica nel centro storico), ritenuta immotivata ed illogica, b) alle previsione, per il caso di autorizzazione parziale a destinazione turisticoresidenziale (consentita nel limite del 40% del volume complessivo a destinazione ricettiva) di cauzione a garanzia dell’effettiva attivazione della parte ricettivoalberghiera, incamerabile da parte del Comune in caso di inadempienza accertata successivamente alla richiesta di abitabilità per la parte residenziale; previsione ritenuta illogica, quanto alla determinazione del momento di verifica dell’eventuale inadempienza, sostenendosi che notoriamente il completamento della parte alberghiera sarebbe più lungo e, comunque, in contrasto con i presupposti per il rilascio dell’abitabilità in base alla L.R. n. 52/91, nonché estranea ai contenuti propri del P.R.G.; c) alla previsione, ritenuta incongruamente penalizzante e contraddittoria, in tema di svincolo per strutture ricettive inferiori a mc. 2000 "intendendosi per volume di riferimento quello del fabbricato (o dei fabbricati costituenti l’unità ricettiva) anche se all’interno coesistano destinazioni diverse da quella ricettiva" (art.7.0), previsione ritenuta immotivatamente ed illogicamente penalizzante, dovendosi, piuttosto, il limite volumetrico riferire alla sola porzione avente destinazione ricettiva.

Tutte tali contestazioni vanno disattese, richiamate le persuasive considerazioni diffusamente esposte nella sentenza di primo grado, per l’assorbente rilievo della insindacabilità in questa sede delle scelte di merito effettuate dal Comune in ordine al grado di severità delle previsioni limitative anzidette, introdotte nell’esercizio di una discrezionalità assai ampia, che non richiede motivazione particolare.

Più specificamente, risulta eminentemente assertiva e sconfinante nel merito la critica di cui al motivo XVIII circa le limitazioni territoriali, non emergendo alcuna illogicità della scelta di privilegiare la destinazione alberghiera in senso proprio sul litorale e di limitare volumetricamente i R. nel centro storico di Grado. Non riguarda i presupposti per il rilascio dell’abitabilità la previsione dell’art. 6.4, che individua un mero riferimento temporale per l’effettuazione di controlli tesi ad evitare alterazioni al voluto equilibrio tra destinazione ricettivoalberghiera e turisticoresidenziale; né può ritenersi precluso all’amministrazione di poter prevedere strumenti idonei, quali, ad esempio, appunto, una cauzione, che disincentivi elusioni delle finalità perseguite con il regime agevolativo per le strutture in questione. Al puro merito attiene la determinazione del livello dimensionale ritenuto compatibile con lo svincolo dalla destinazione ricettiva, e comunque infondate risultano le censure di difetto di motivazione (non richiesta per atti di pianificazione), illogicità, arbitrarietà (non ravvisabili e tanto meno palesi) e contrasto con gli artt. 41 e 42 Cost. del tutto genericamente dedotto col 25° motivo di primo grado, riproposto col XX di appello.

In conclusione l’appello va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere al Comune di Grado le spese del giudizio, che liquida in Euro 5.000 (cinquemila), al netto di i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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