Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6857

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con decisione n. 7498 del 30 novembre 2009 questa Sezione ha respinto l’appello proposto dalla E. s.p.a.(di seguito, per brevità: la Società) per la riforma della sentenza del TAR Toscana, Sezione I^, n. 153 del 2005 con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla Società per ottenere l’accertamento della propria decadenza dal diritto di superficie ad essa concesso dal Comune di Pistoia nell’ambito del P.I.P. c.d."Via Erbosa", in virtù di convenzione rogata il 3 luglio 1996 tra i predetti soggetti.

2. – Con il ricorso in epigrafe il Comune di Pistoia ha chiesto la revocazione di detta sentenza articolando un unico e complesso motivo di impugnazione con il quale ha dedotto che questo Consiglio di Stato, con la motivazione ed il dispositivo allegato a detta sentenza, sarebbe incorso in violazione dell’art. 324 e seguenti del codice di procedura civile (di seguito, per brevità: cpc), nella violazione della sentenza di questa Sezione n. 419 del 14 febbraio 2005 ed ancora nella violazione degli articoli 1353 e seguenti del codice civile e dei principi generali in materia di obbligazioni e contratti, così compendiandosi il denunziato contrasto di giudicati che la norma dell’art. 395, n. 5, cpc individua quale ipotesi di errore revocatorio.

3. – Si è costituita in giudizio la Società chiedendo conclusivamente, sulla base delle argomentazioni svolte in più memorie, di "…rigettare l’istanza di revocazione proposta dal Comune di Pistoia perché inammissibile e infondata, nonché, in caso di accoglimento dell’istanza suddetta, di accogliere l’appello proposto da E. contro la sentenza del TAR Toscana n. 193 del 2005…".

4. – Il Comune ricorrente, in previsione della discussione del ricorso, con più memorie ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni confermando, conclusivamente, le richieste formulate con l’atto introduttivo del presente giudizio revocatorio.

5. – All’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il ricorso in epigrafe è stato rimesso in decisione.

6. – I motivi di diritto posti dal Comune di Pistoia a fondamento della domanda giudiziale in esame possono essere così riassunti:

i) – esistenza, tra le stesse parti della sentenza revocanda, già di un giudicato formatosi sulla questione sostanziale del silenzio diniego di accoglimento dell’istanza volta ad ottenere la declaratoria di decadenza della Società dal diritto di superficie concessogli dal Comune nell’ambito del PIP c.d. "Via Erbosa", per effetto delle pronunzie del TAR Toscana n. 1247 del 2004 e di questa Sezione n. 419 del 2005 nelle quali è stato statuito che la controversia risolta "…involge questioni di diritto soggettivo…", posto che "…viene in esclusivo rilievo l’effetto da riconnettersi ad un inadempimento negoziale, con la conseguenza che la controversia ha natura chiaramente paritetica ed è quindi risolvibile in termini di accertamento…";

ii) – conseguentemente, non condivisibilità di quanto statuito nella sentenza revocanda circa la natura della posizione soggettiva tutelata, invero ascritta a quella di interesse legittimo, poiché essa sarebbe "…tamquam non esset, posto che sulla questione si era già formato il giudicato…", per effetto delle due citate decisioni, qualificanti la stessa posizione come di diritto soggettivo perfetto;

iii) – non eliderebbe il dedotto contrasto di giudicati la citazione, nella decisione revocanda, della sentenza del TAR Toscana n. 1247 del 2004, atteso che detta citazione sarebbe stata operata "…non per motivare che la questione fosse di interesse legittimo, bensì soltanto per sostenere che, pur non essendo esperibile da parte di E. il rito del "silenzio", la vigenza della convenzione esporrebbe il Comune ad azioni risarcitorie in caso di persistente atteggiamento negativo nel non voler dichiarare decaduta la Società dagli obblighi convenzionali…"; conseguentemente, la stessa citazione non costituirebbe neppure risposta "…ad un’eccezione (mai proposta) di giudicato sulla natura (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) della controversia, bensì a diversi fini…";

iv) – ulteriore conseguenza sarebbe, inoltre, che "…risultando quindi accertata con autorità di cosa giudicata la natura privatistica, rectius di diritto soggettivo perfetto, del rapporto oggetto di lite (con controversia di natura chiaramente paritetica risolvibile in termini di accertamento)…", non sarebbe più revocabile in dubbio l’applicabilità alla fattispecie sostanziale in questione degli articoli 1453 e 1456, comma 2, del codice civile e che "…al solo soggetto adempiente, vale a dire al Comune di Pistoia, spettava e spetta la facoltà (rectius, il diritto) di poter richiedere la risoluzione degli obblighi stabiliti nella convenzione in questione, non spettando invece analoga facoltà alla parte inadempiente, vale a dire ad E. s.p.a…";

v)- né potrebbe costituire ostacolo l’erronea affermazione, contenuta nella sentenza revocanda, di esclusione dell’applicabilità nella specie dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, in quanto, ai sensi dell’art. 1323 c.c., "…tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti all’applicazione delle norme contenute nel Titolo II° del codice civile…" e, quindi, anche all’art. 1456 c.c., non avendo le parti espressamente escluso, come invece avrebbero dovuto, l’applicabilità di detta norma;

vi) – infine, siccome la clausola contenuta nell’art. 5 della convenzione "…deve ritenersi una clausola risolutiva espressa…", come peraltro riconosciuto anche dalla Società, quest’ultima difettava di "…carenza di legittimazione attiva a proporre il contenzioso in esame, posto che spettava e spetta solo alla parte a cui favore la clausola è stabilita, nella fattispecie il Comune, decidere se avvalersi o meno della medesima, e quindi invocare in sede giudiziaria l’intervenuta risoluzione del negozio de quo…"; non avendo il Comune "…mai invocato detta clausola, avendo anzi l’interesse esattamente contrario…", il contratto "…di cui di discute deve ritenersi, come è, vivo e vegeto e produttivo di effetti…" perché l’effetto risolutorio "…non si è mai verificato…".

7. – Nessuno di detti motivi di revocazione può essere condiviso per le seguenti considerazioni.

7.1 – La questione sostanziale sulla quale il Collegio è chiamato a pronunziarsi in fase rescindente è se la pronunzia resa in sede di procedimento speciale ex art. 21bis della legge n. 1034 del 1971, tenuto conto di quanto dispone l’art. 2 della stessa legge, sia idonea a costituire giudicato, quanto alla qualificazione della situazione giuridica sostanziale sottostante alla contestazione del comportamento ingiustificatamente silenzioso tenuto dall’Amministrazione, con effetti dunque definitivi, per quel che qui rileva, sulla posizione giuridica effettivamente tutelata.

Orbene, per poter procedere alle necessarie valutazioni sul punto occorre, innanzi tutto, verificare quale sia il contenuto dell’art. 2 della legge 241 del 1990 al momento della presentazione del ricorso introduttivo di primo grado (n. 1124 del 2003) e se essa, fino al momento in cui la pronunzia del Giudice è divenuta definitiva (14 febbraio 2005) per effetto della conferma del dispositivo di inammissibilità del ricorso, seppur con diversa motivazione, abbia subito modificazioni nella sua valenza prescrittiva.

7.2 – Occorre, allora, ripercorrere brevemente le tappe delle modificazioni subite (solatanto) da detta norma, ma non anche di quella processuale (art. 21bis della legge n. 1034 del 1971), inerente il rito speciale del silenzio, essendo stata introdotta quest’ultima già dall’anno 2000 con la legge n. 205.

Al riguardo osserva il Collegio che il testo originario di detto art. 2 nulla disponeva espressamente (rispetto alla data di presentazione del ricorso contro il silenzio serbato dal Comune) circa l’effettivo perimetro del sindacato rimesso al Giudice Amministrativo, in materia di comportamento inerte tenuto dall’Amministrazione, pur in presenza di attività dovuta, in quanto la prima modifica concernente tale ultimo profilo è intervenuta per effetto dell’art. 2 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.

E’ con tale ultima norma, infatti, che è stato introdotto un comma 4bis nell’art. 2 della legge 241 con il quale si disponeva che "…Decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 21bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti…".

Successivamente, con la legge n. 80 del 14 maggio 2005 detta novella ha subito un ulteriore modificazione mediante l’aggiunta, all’inizio del citato comma 4bis, della locuzione "…Salvi i casi di silenzio assenso…", restando, per il resto, confermato il contenuto dispositivo principale costituito dalla possibilità per il Giudice Amministrativo di "…conoscere della fondatezza dell’istanza…", sulla quale si era manifestato il comportamento silenzioso dell’Amministrazione, "…senza necessità di diffida all’Amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3 ".

7.3 – La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, parallelamente al mutare del testo legislativo in questione, ha manifestato i seguenti avvisi.

Prima che l’art. 2 della legge n. 241 del 1990 fosse riscritto con l’introduzione del comma 4bis (nelle due versioni della legge n. 15 del 2005 e della legge n. 80 del 2005, di conversione del DL n. 35 del 2005) e nella vigenza dell’art. 21bis, della legge n. 1034 del 1971, detta giurisprudenza ha ricostruito il sistema di tutela avverso il comportamento inerte dell’Amministrazione, almeno secondo l’indirizzo reso palese dalle prevalenti decisioni emesse sul punto (Ad. Plen., 9 gennaio 2002, n. 1; sez. VI^, 10 maggio 2007, n. 2237; sez. IV^, 10 giugno 2004, n. 3741), nei seguenti sintetizzati termini:

a) il giudizio sul silenzio rifiuto verte esclusivamente sull’accertamento della sussistenza o meno dell’obbligo della p.a. di provvedere;

b) conseguentemente il giudice non può compiere un accertamento sulla fondatezza della pretesa sostanziale indicando all’Amministrazione il contenuto del provvedimento da adottare;

c) l’Amministrazione non perde il potere di esercitare la funzione dopo lo scadere del termine di conclusione del procedimento;

d) l’art.. 21 bis non introduce una norma sulla giurisdizione, ma sul rito, avente carattere speciale ed accelerato, che è coerente con i valori costituzionali della ragionevole durata del processo ( art. 111, comma 2, della Costituzione).

Dalla individuata natura del rito sul silenzio, la stessa giurisprudenza ha fatto, inoltre, discendere i seguenti precisi corollari processuali:

– l’adozione di qualsivoglia atto da parte dell’Amministrazione, in quanto espressione di funzione pubblica in risposta alla diffida dell’interessato, determina l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso proposto ex art. 21bis citato, a seconda che intervenga prima o dopo la proposizione del ricorso medesimo;

– l’inammissibilità del ricorso giurisdizionale contenente due distinte azioni (impugnatoria e di accertamento), siccome disciplinate da due diversi riti e aventi diversi oggetto e contenuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV^, 27 marzo 2007, n. 1532; C.G.A.R.S. 13 febbraio 2006, n. 36);

– l’impossibilità di proporre motivi aggiunti avverso il provvedimento sopravvenuto (sfavorevole) nel corso del giudizio instaurato ex art. 21 bis cit. e di convertire il ricorso speciale in ricorso volto ad introdurre un giudizio ordinario di legittimità;

– l’improponibilità di domande risarcitorie e di adempimento di diritti di credito, formulate secondo il rito disegnato dall’art. 21 bis;

– la possibilità di impugnativa degli atti del commissario ad acta, nominato dal giudice ex art. 21 bis, comma 2, citato, soltanto in sede ordinaria di legittimità e non già con ricorso per ottemperanza (cfr. sez. IV^, 11 aprile 2007, n. 1586).

Nell’alveo dello stesso filone giurisprudenziale è stato anche chiarito che le novità introdotte dal riformulato testo originario art. 2 della legge 241 vanno individuate, per un verso, nell’eliminazione della necessità della diffida all’Amministrazione, quale condizione di proponibilità dell’azione ex art. 21 bis, della legge n. 1034/1971; per altro verso, nella sostituzione del termine ordinario di sessanta giorni di decadenza per la proposizione del ricorso ex art. 21 bis, con il più lungo termine di un anno decorrente dallo scadere del termine di conclusione del procedimento; per altro verso, ancora, nella previsione che "…il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza della pretesa…"; infine, nella possibilità di reiterazione dell’istanza da parte dell’interessato, ove ne ricorrano i presupposti.

In particolare, per quel che concerne la testè citata previsione, inerente il nuovo perimetro del sindacato del "Giudice del silenzio", la giurisprudenza di questo Consiglio ha ancora precisato:

– che la norma attribuisce al Giudicante un potere da esercitarsi nell’ambito di un rito speciale improntato ad esigenze di snellezza;

– che essa non obbliga, ma facultizza il giudice a conoscere della fondatezza della pretesa, senza autorizzarlo a sostituirsi in via diretta all’Amministrazione per adottare il provvedimento richiesto;

– che la cognizione sulla fondatezza dell’istanza può sfociare in un accertamento negativo per il richiedente.

Ha, altresì, soggiunto che il legislatore, con al specifica disposizione in esame, non ha inteso istituire un’ipotesi senza confini di giurisdizione di merito ma, più limitatamente, ha attribuito al Giudice Amministrativo, nei limiti della propria preesistente giurisdizione di legittimità o esclusiva (cfr. sul punto, dopo la legge n. 80 del 2005, C.d.S., sez. V,del 9 ottobre 2006, n. 6003), uno strumento processuale ulteriore, sempre nella stessa logica acceleratoria del contenzioso che aveva già caratterizzato l’intervento riformatore del 2000.

Consegue, alla stregua della richiamata giurisprudenza, che, nell’ambito del giudizio sul silenzio, il Giudice può conoscere dell’accoglibilità dell’istanza:

– nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni (cfr. sul punto, dopo la legge n. 80 del 2005, C.d.S. sez. VI^, del 11 maggio 2007, n. 2318) e fermo restando il limite dell’impossibilità di sostituirsi all’Amministrazione (in altri termini la condanna dell’Amministrazione ad adottare un provvedimento favorevole é possibile soltanto dopo aver valutato positivamente l’an della pretesa, ma nulla di più);

– nell’ipotesi in cui l’istanza è manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere e laddove, conseguentemente, l’atto espresso non potrà che essere di rigetto.

7.4 – Orbene, facendo applicazione del quadro normativo sopra descritto, siccome regolante la fattispecie in esame, e traendo dai riportati avvisi giurisprudenziali, del tutto condivisibili, i profili argomentativi che qui rilevano, non può il Collegio non ribadire, in relazione alle deduzioni del ricorrente Comune riportate nel capo n. 6 che precede, che le stesse non meritano condivisione per le seguenti ragioni.

E’ da escludere infatti che, nella fattispecie in esame, si sia formato un giudicato sulla situazione giuridica protetta in sede di impugnazione del comportamento inerte del Comune e che questo sia condizionante in maniera insuperabile la decisione sulla domanda di accertamento del diritto alla declaratoria di decadenza dalla concessione e dal diritto di superficie con esso riconosciuto poiché, a ben vedere, nessun contenuto decisorio di merito si è formato con le sentenze emesse sia dal primo Giudice, che da quello di appello, ex art. 21 bis della legge n. 241 del 1990 e, quindi, nessun giudicato sostanziale era ed opponibile ai sensi dell’art. 395, n. 5, del cpc.

Infatti il rimedio giurisdizionale previsto dall’art. 21bis è volto esclusivamente a far accertare l’inerzia dell’Amministrazione a pronunziarsi in ordine ad una istanza per la quale la stessa P.A. sia obbligata a provvedere (cfr. C.d.S., Sez. IV^, del 14 aprile 2009 n. 2291)

Ciò perché il relativo giudizio ha una portata e limiti ben definiti, avendo, in particolare unicamente ad oggetto il silenzio serbato dall’Amministrazione su un una richiesta meritevole di essere esaminata e definita con una pronuncia espressa e dovendo il Giudice investito della relativa cognizione limitarsi, coerentemente, a constatare eventualmente l’illegittimità del comportamento omissivo, con conseguente dichiarazione dell’obbligo a provvedere, senza peraltro che si possa entrare nel merito della fondatezza o meno della pretesa sostanziale sottesa all’istanza di provvedere (in tal senso, di recente, cfr. C.d.S., Sez. IV^, 13 gennaio 2010 n. 62 e 2 marzo 2011, n. 1345).

Consegue che la sentenza -che o dichiari inammissibile il ricorso ex art. 21bis, come nella specie per effetto dei dispositivi identici emessi sia del Giudice di prima istanza sia del Giudice di appello, ovvero si limiti ad annullare il silenziorifiuto, dichiarando l’obbligo in quest’ultimo caso dell’Amministrazione di provvedere- deve ritenersi, in ragione della valenza preliminare e procedimentale dell’oggetto della pronunzia, priva di qualsiasi contenuto di accertamento in ordine alla pretesa sostanziale sottostante all’impugnazione del comportamento inerte ed inidonea, quindi, a dirimere questioni di diritto sostanziale, con efficacia di giudicato, ivi compresa la qualificazione in via definitiva della natura della posizione giuridica tutelata.

Detta pronunzia ex art. 21bis è, infatti, equivalente ad una decisione meramente processuale i cui effetti rimangono circoscritti nell’ambito dello stesso speciale processo disegnato dal legislatore del 2000, non essendo pervenuto il Giudicante, in virtù dei poteri sindacatori riconosciutigli dalla norma e di quelli concretamente esercitati alla stregua della stessa norma, a nessun accertamento che abbia coinvolto, oltre al fatto, anche la norma sostanziale che quest’ultimo regola, ovvero ha regolato, sia quest’ultimo sia la posizione giuridica dell’interessato.

Ed invero, che nel caso in esame entrambi i giudicanti ex art. 21bis abbiano dovuto verificare la posizione giuridica del ricorrente è situazione che è strettamente collegata, non solo strutturalmente, ma anche teleologicamente, soltanto alla necessaria verifica delle condizioni dell’azione, così come è avvenuto nel caso in esame.

Dalla relativa valutazione, chiaramente funzionalizzata soltanto a verificare l’ammissibilità del mezzo processuale sperimentato dalla parte ricorrente, non può farsi discendere un giudicato vincolante sulla posizione giuridica rilevata, pena la trasformazione di una pronunzia a valenza meramente processuale in una decisione di merito, al di fuori di ogni previsione del legislatore se il Giudicante, così come avvenuto nella specie, non abbia ritenuto sussistenti i presupposti dell’art. 2, comma 4bis, della stessa legge n. 241 del 1990 per esercitare la propria facoltà di "…conoscere la fondatezza dell’istanza…".

E’soltanto con le due sentenze emesse sulla domanda di accertamento della Società che si è avuto una definizione, a valenza sostanziale, della posizione giuridica della Società stessa; nessuna preclusione, pertanto, potevano recare le precedenti sentenze emesse ex art. 21bis avendo esse ad oggetto, giova ancora una volta ribadirlo, soltanto la verifica dell’obbligo o meno di provvedere dell’Amministrazione (salvo l’esercizio da parte del Giudice della facoltà prevista dal comma 4bis della stessa legge 241, sempre che sussistenti le condizioni previste) che, comunque, non impinge alcuna valutazione di merito, invece necessaria anche per poter definire la posizione giuridica dell’istante cui è stato opposto il comportamento inerte.

Va da sé che alcun rilievo, per tutti i già esposti convincimenti, può avere la notazione del Comune che la qualificazione della posizione della Società (in termini di interesse legittimo) effettuata dal giudice della domanda di accertamento sia tamquam non esset, ovvero se abbia o meno inciso al tal proposito la circostanza della mancata deduzione di un’eccezione di giudicato in quel processo, in quanto tali profili attengono al merito della vicenda cui non è dato ingresso non superando il ricorso in revocazione in esame la fase rescindente.

Peraltro, giova precisare che la citazione nella decisione oggetto di revocazione della sentenza del TAR Toscana n. 1274 del 2004 (che aveva dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 21bis), se è vero che è esplicitamente connessa alla successiva affermazione della responsabilità per danni del Comune, in caso di persistente inerzia nel dichiarare la decadenza della Società dal diritto di superficie concessole, avendo ritenuto il giudicante permanente l’obbligo dello stesso Comune di provvedere sull’istanza, è pure altrettanto vero che la stessa citazione, essendo collegata non a caso con il richiamo sostanziale dell’oggetto della speciale procedura del silenzio, attraverso la locuzione utilizzata della "…inesigibilità dell’obbligo di provvedere…", lascia intendere che quel giudicante si è sostanzialmente posto anche il problema del possibile contrasto con le due precedenti pronunzie in tema di silenzio, escludendo, però, anch’esso una tale possibilità, perché decisioni aventi oggetti distinti e diversi.

Consegue che in nessun modo è individuabile, alla stregua degli atti di causa, il dedotto contrasto di giudicati, e quindi il presupposto essenziale per l’ammissibilità della revocazione della sentenza di questo Consiglio n. 7498 del 30 novembre 2009, per cui il Collegio non può non ribadire che sono infondate tutte le deduzioni svolte ai fini della ritenuta ammissibilità del mezzo processaule proposto.

Da ultimo, è opportuno precisare che l’entrata in vigore del (nuovo) Codice del processo amministrativo (approvato con D.Lgs. n. 104 del 2010) non sembra avere innovato il quadro normativo previgente in tema di impugnazione dei comportamenti silenziosi dell’Amministrazione, risultando sostanzialmente ripetuta (per vero, in non poche parti del contenuto dispositivo anche formalmente) la stessa formulazione già utilizzata con l’introduzione del comma 4bis nell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 che circoscrive l’ambito del sindacato del Giudice del silenzio alla (sola) rilevazione dell’eventuale (ed esclusivo) obbligo di provvedere, salvo potersi pronunziare anche sulla questione sostanziale sottostante qualora, come espressamente riconosce la locuzione contenuta nell’art. 35 di detto Codice, "…si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione…".

8. – Circa le spese del presente giudizio, ritiene equo il Collegio non porle a carico della parte soccombente, attesa la parziale complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3358 del 2010, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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