Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-05-2011) 21-11-2011, n. 42893

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del Tribunale di Palermo del 23 gennaio 2009, F.P.E.P.P. è stato ritenuto responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, per aver compiuto attività diretta a favorire l’ingresso di K.P. nel territorio dello Stato italiano, pretendendo e ottenendo dalla di lui madre L.N. somme di denaro, in violazione delle disposizioni vigenti e a fini di lucro, ed è stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione ed Euro quindicimila di multa, con la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e con ordine di espulsione dal territorio dello Stato.

2. La Corte d’appello di Palermo, su appello del solo imputato, con sentenza del 15 aprile 2010, ha confermato la sentenza di primo grado.

3. La vicenda per cui è processo è stata ampiamente ricostruita dal primo Giudice, partendo dalle particolareggiate dichiarazioni rese da L.N., che aveva sporto denuncia nei confronti dell’imputato, che organizzava viaggi per far arrivare in Italia cittadini dello Sri Lanka, e al quale aveva versato circa trenta milioni di lire per l’ingresso, nel territorio dello Stato, dei suoi due figli, uno solo dei quali, K.P., era riuscito a partire, sbarcare a Siracusa e rimanere trattenuto presso il centro di accoglienza di Lamezia Terme, prima dell’accoglimento della sua richiesta di asilo politico, mentre l’altro era deceduto prima della partenza.

Su tali dichiarazioni si era fondato essenzialmente il quadro accusatorio.

Esse, infatti, erano risultate precise, dettagliate e credibili, senza che fossero emersi motivi di rancore o di astio, ed erano risultate confermate dalle dichiarazioni dei testi K. P., B.R. e W.P.J. G., e dalla documentazione prodotta dal Pubblico Ministero, che comprovava i versamenti effettuati dalla L. all’imputato, nell’arco di un anno, per circa trenta milioni di lire tramite la Western Union e il Credito Italiano.

3.1. Il Tribunale, che riteneva non concedibili le circostanze attenuanti generiche per la gravità del fatto, da considerare in relazione alla condotta di approfittamento di situazioni di bisogno e difficoltà sociali, economiche e personali delle persone offese, determinava la pena, tenendo conto dei criteri direttivi previsti dall’art. 133 cod. pen., in quattro anni di reclusione ed Euro quindicimila di multa.

4. La Corte d’appello, dopo aver sintetizzato le doglianze mosse con l’atto di appello, riteneva che:

– la prova era assolutamente chiara in ordine ai fatti oggetto del giudizio di condanna, senza che la sicura scarsa padronanza della lingua da parte dei testi avesse scalfito la chiarezza della narrazione sui fatti centrali della stessa, mentre le contraddizioni tra le circostanze riferite erano del tutto marginali e non riguardavano la condotta, nè intaccavano la genuinità del racconto, confermato dai riscontri contabili delle dazioni ricevute dall’imputato;

– erano infondate le deduzioni in merito all’asserita incertezza circa la disponibilità da parte del K. di documento valido per l’ingresso in Italia e in merito al contenuto dell’accordo circa la percorrenza del viaggio in aereo, essendo stato riferito dal teste B. che il predetto, al momento del controllo in Italia, era sprovvisto di documenti e apparendo credibili le dichiarazioni rese dallo stesso K. in merito all’ammonimento, rivolto a lui e ai compagni di viaggio durante la traversata, di buttare in mare i documenti per evitare l’identificazione personale, e dovendo ritenersi irrealizzabile il viaggio aereo per l’incompatibilità dell’utilizzo del mezzo aereo con i controlli identificativi allo stesso correlati e considerarsi, quindi, una "truffaldina esca" proposta dall’imputato l’accordo iniziale sulla detta modalità di viaggio;

– erano infondati i rilievi relativi alla notifica all’imputato degli atti del processo e alla mancata instaurazione del contraddittorio, non essendo stata lamentata la correttezza delle notifiche rispetto alle norme in materia, ma la non conformità delle norme medesime al rispetto del principio del contraddittorio, che si era tradotta in sindacato sulla legittimità della norma. Ogni questione sulla correttezza della notifica era, peraltro, preclusa dalla effettuata elezione di domicilio da parte dell’imputato;

– infondata era, infine, la doglianza relativa alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della gravissima condotta tenuta dall’imputato, incurante della condizione drammatica delle vittime, dalla quale traeva illecito e cinico profitto 5. Avverso la predetta decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di quattro motivi.

5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del combinato disposto dell’art. 143, comma 1, art. 178, comma 1, lett. c), e art. 180 cod. proc. pen., e assenza e/o illogicità della motivazione sullo specifico motivo di appello.

Il ricorrente, in particolare, deduce che la Corte d’appello, aderendo alla ricostruzione del primo Giudice, non ha tenuto conto della espressa impugnazione da parte della difesa dell’ ordinanza del 19 giugno 2007, che aveva rigettato la richiesta di nomina di un interprete per i testi L. e W., e che si era soffermata sulla necessità di ascoltare le fonoregistrazioni, e non di limitarsi a leggere le trascrizioni, per rendersi conto della non aderenza alla realtà delle dichiarazioni degli stessi testi di comprendere e parlare la lingua italiana.

Secondo il ricorrente le considerazioni della Corte, che ha ritenuto che la sicura scarsa padronanza della lingua da parte dei testi non aveva scalfito la chiarezza sui fatti centrali della narrazione, non hanno soddisfatto l’obbligo motivazionale, e il ragionamento giudiziale è viziato dall’opera di ricostruzione delegata al perito trascrittore.

Nè la Corte ha considerato che il Tribunale aveva rigettato la richiesta "allo stato", senza che la decisione del rigetto della richiesta fosse stata adottata dopo il terzo mutamento del collegio giudicante.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 161, comma 2, art. 178, comma 1, lett. c), e art. 179 cod. proc. pen. e assenza e/o illogicità della motivazione sullo specifico motivo di appello.

Il ricorrente richiama, in particolare, l’eccezione di irregolarità della notifica del decreto che dispone il giudizio presso il difensore ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., formulata con la memoria depositata il 15 luglio 2005, illustrando le ragioni dell’intervento normativo sull’art. 175 cod. proc. pen., rimarcando che l’elezione di domicilio, effettuata da esso ricorrente al momento della redazione del verbale di identificazione, non era adempimento idoneo ad assicurare che la successiva sua non rintracciabilità equivalesse a volontaria rinuncia a comparire, e chiedendo l’effettuazione di nuove ricerche per verificare l’effettiva conoscenza da parte sua del procedimento penale a suo carico.

Secondo il ricorrente, l’ ordinanza del 23 settembre 2005 del Tribunale, che ha rigettato tale eccezione, è da considerare nulla per assenza di motivazione e l’argomentazione della Corte, limitata alla considerazione che il rilievo è estraneo all’oggetto del giudizio per essere sostanziale sindacato sulla legittimità della norma, è illogica e incongrua rispetto alle osservazioni difensive.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 81 cod. pen., comma 2, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3, per assenza e/o illogicità della motivazione sullo specifico motivo di appello.

Il ricorrente, in particolare, rileva che dal mancato svolgimento di alcuna indagine in merito alla indisponibilità di un permesso di soggiorno, da parte del K., alla data iniziale del viaggio discende che l’unico fatto ad esso addebitabile è l’aver truffato un soggetto al quale aveva promesso di raggiungere l’Italia in aereo.

5.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 62 bis, artt. 132 e 133 cod. pen. e assenza e/o illogicità della motivazione sullo specifico motivo di appello, rilevando che il dato riportato a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche è il presupposto del delitto, che può essere commesso solo al fine indicato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

2. Le censure svolte con il primo motivo attengono alla mancata nomina dell’interprete per i testi L. e W., alla incorsa violazione della previsione normativa dell’art. 143 cod. proc. pen., comma 2, e alla illogicità della decisione impugnata che, nell’aderire alla ricostruzione operata dal primo Giudice, ha ritenuto che la sicura scarsa padronanza della lingua non ha scalfito "la chiarezza della narrazione sui fatti centrali della stessa, sulla quale si connota la condotta in contestazione". 2.1. Deve rilevarsi che il richiamato art. 143 cod. proc. pen. collega la nomina dell’interprete alla condizione che la persona "che vuole o deva fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana".

Questa Corte ha più volte affermato che dalla lettura di tale norma deriva che il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero status di straniero o apolide, ma suppone, in capo a quest’ultimo, l’accertata ignoranza della lingua italiana (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv.

239693; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv.

216258).

2.2. La Corte di merito, che ha condiviso le vantazioni già fatte dal Tribunale, ha escluso l’esistenza di tale requisito, evidenziando le dichiarazioni rese dai testi e rappresentando che la scarsa padronanza della lingua italiana da parte degli stessi, sentiti dal primo Giudice che ne aveva rilevato la capacità di capire e parlare, nonostante alcune imprecisioni dovute a problemi di comprensione della lingua, non aveva inciso sulla chiarezza della narrazione con riferimento ai fatti centrali relativi alla mossa contestazione, e che le contraddizioni tra le circostanze riferite dai testi attenevano ad aspetti marginali, e non alla condotta.

La valutazione della non necessità della nomina dell’interprete è stata, pertanto, una valutazione di dati di fatto, ritenuti, con insindacabile apprezzamento di merito, dimostrativi della percezione da parte dei testi della condotta illecita dell’imputato, che hanno descritto, confortata dai riscontri estrinseci rappresentati dalle dazioni in denaro, fatte all’imputato da parte della L..

2.3. Nè il ricorrente, che ha dedotto l’incidenza sulla comprensione dell’intera narrazione dei "dettagli anche in apparenza marginali" e ha opposto l’ingiustificata delega al perito trascrittore dell’opera di ricostruzione, denunciandone la frequente "totale invenzione", ha indicato, come era suo onere, gli elementi a sostegno delle sue deduzioni. Nè tali elementi sono stati specificatamente indicati con riguardo al dedotto omesso ascolto delle fonoregistrazioni, che si assume aver inciso negativamente sul diritto a rappresentare l’incapacità dei testi a comprendere e a parlare la lingua italiana, in contrasto con quanto dagli stessi dichiarato.

Non è dato, infine, comprendere il fondamento della ulteriore deduzione difensiva, che ha tratto argomento di censura della decisione dal disposto rigetto "allo stato", con ordinanza del 19 giugno 2007, della richiesta difensiva di nomina dell’interprete e dalla intervenuta perdita della "memoria storica" di tale pronuncia per effetto del mutamento del Collegio, poichè il mantenimento dell’ordinanza con il nuovo Collegio consegue alla valutazione fattane in sede di rinnovazione degli atti e non è provata l’affermazione dell’impedimento del Tribunale di fare la nuova valutazione, all’esito della istruttoria dibattimentale, per effetto del mutamento del Collegio.

3. Destituite di fondamento sono le censure svolte con il secondo motivo, che attengono alla dedotta irregolarità della notifica del decreto che dispone il giudizio presso il difensore.

3.1. La Corte ha rilevato che l’imputato, con i motivi di appello, non aveva contestato la correttezza "in concreto" delle notifiche, conformi alle modalità previste dalle norme in materia, prendendo atto "in concreto" dell’avvenuta elezione di domicilio, e aveva, invece, contestato la conformità delle stesse norme al rispetto del principio del contraddittorio, richiamando la sua particolare condizione di persona straniera e introducendo sostanzialmente un sindacato sulla legittimità delle norme.

A tale motivazione il ricorrente oppone che la Corte non ha valutato la conformità o meno alla Costituzione del sistema legislativo riservato al processo in absentia e che non è vero che esso ricorrente avesse preso atto della regolarità delle notifiche, essendosi piuttosto lamentato dell’assenza di conoscenza effettiva della pendenza di un procedimento.

3.2. L’infondatezza di tali censure discende dalla genericità della dedotta non conformità ai principi costituzionali del processo contumaciale e dal rilievo assorbente della regolarità della notifica, che fonda la presunzione della conoscenza legale dell’atto da parte del destinatario, presso lo studio del difensore ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen.,, comma 4, che ha ricevuto gli atti destinati all’imputato, accettandone la notifica, dopo la sopravvenuta, e non contestata, inidoneità della iniziale elezione di domicilio a raggiungere lo scopo cui è preordinata (Sez. 4, n. 31658 del 20/05/2010, dep. 11/08/2010, Rei, Rv. 248099).

4. E’ inammissibile la censura sviluppata con il terzo motivo, che riproduce gli stessi argomenti prospettati con il quarto motivo di appello, ai quali la Corte d’appello ha dato adeguata ed esaustiva risposta, che il ricorrente non considera nè specificatamente censura.

La censura attiene, invero, alla qualificazione giuridica della condotta ascritta, che si assume erronea per la carenza probatoria circa la disponibilità di un permesso di soggiorno da parte del K. alla data iniziale del viaggio.

4.1. In sede di merito, nel procedersi alla ricostruzione della vicenda, sono state richiamate le dichiarazioni della teste L. in merito alla indisponibilità di documenti da parte del figlio K., trattenuto per tale ragione in un centro di accoglienza, del teste B., che aveva chiarito che il predetto era sprovvisto di documenti al momento del controllo, e dello stesso K., che aveva riferito in merito all’ammonimento ricevuto, insieme ai suo compagni di viaggio, di lanciare in mare, nel corso del "drammatico viaggio", i documenti personali.

A tali rilievi in fatto la Corte ha accompagnato la coerente argomentazione che il lancio in mare dei documenti personali era finalizzato a evitare una sconveniente identificazione delle persone che entravano clandestinamente in Italia, e che il trasferimento in Italia del K. non era realizzabile con il mezzo aereo per la sua incompatibilità con i controlli identificativi correlati a tale forma di viaggio.

4.2. La deduzione difensiva, che insiste nel mancato svolgimento di alcuna indagine circa la sussistenza di un permesso di soggiorno valido per l’ingresso in Italia, muove dall’equivoco di fondo di ritenere che in questa sede possano trovare ingresso deduzioni che propongano genericamente una rilettura in diversa prospettiva logica delle testimonianze poste dai Giudici di merito, con coerente impianto argomentativo, non specificatamente contestato, a fondamento della operata qualificazione giuridica del fatto.

5. Manifestamente infondato e tendente a sottoporre a questa Corte valutazioni squisitamente di merito, a essa sottratte, è infine il quarto motivo, con il quale il ricorrente afferma illegittima e illogica la motivazione, con la quale gli sono state negate le circostanze attenuanti generiche sulla base dell’effettuato richiamo al dato costituente il presupposto del contestato reato, che può essere commesso solo al fine di trame profitto.

Del tutto legittimamente difatti la Corte d’appello ha ritenuto ostativa al riconoscimento delle chieste attenuanti la gravità della condotta attuata, la cui gradazione, considerata come parametro valutativo dall’art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell’art. 62 bis cod. pen., non è contenuta nella previsione normativa del reato, nè nella contestazione in concreto della condotta illecita, ma è riservata al giudice di merito.

6. Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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