Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-12-2011, n. 6856 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe, la Sezione di Latina del T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dal sig. S. B. per l’annullamento, rispettivamente, del provvedimento reso il 28.9.2001 dal Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Sabaudia di annullamento, per domanda dolosamente infedele, della concessione edilizia a sanatoria n. 373 del 13.04.2001, in relazione all’uso "commerciale" di una porzione di 500 mq. di un immobile in via Principe Biancamano, e del provvedimento di data 3.06.2002 con il quale il Dirigente ad interim dell’Ufficio Tecnico ha respinto la domanda di concessione edilizia a sanatoria presentata dal sig. De Simone Angelino, nella qualità di amministratore unico della società Universalcar s.r.l., comproprietaria del sig. B. dell’immobile in questione.

Detto provvedimento di annullamento si fonda sulla non corrispondenza al vero della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa il 7.12.2000 dal sig. B. (che, riferisce, acquistò l’immobile dal fallimento del Caseificio C.) secondo la quale l’attività commerciale, oltre che sulla superficie autorizzata pari a mq. 126, veniva svolta su una superficie ulteriore di 500 mq. adiacente a quella autorizzata.

L’appellante articola i seguenti motivi, che si riferiscono in sintesi,: 1) illogicità della motivazione ed erronea valutazione dei fatti presupposti, sostenendo la non condivisibilità dell’avviso del T.A.R. che non occorressero ulteriori accertamenti in sede giudiziaria, avendo la Polizia Municipale, nel rapporto su cui si fonda l’annullamento della concessione, accertato che l’attività commerciale veniva svolta all’interno del Caseificio era limitata alla sola vendita dei prodotti lattierocaseari, lavorati nell’azienda fino alla chiusura per fallimento; tanto per essere detto accertamento fondato su dichiarazioni di un soggetto interessato a non far sviluppare una nuova attività all’interno dell’edificio (il fallito C.), ed eseguito abusivamente, senza alcuna delega da parte del P.M. e senza che fosse stata iscritta a carico del B. una pur necessaria notizia di reato; 2) illogicità della motivazione ed erronea valutazione delle prove precostituite evidenziando di aver fornito prova contraria di quanto sostenuto dal C., che era un imprenditore dichiarato fallito e per motivi non esternati contrario alla nuova iniziativa commerciale; 3) illogicità della motivazione ed erronea valutazione dei fatti presupposti, sostenendo che erroneamente il T.A.R. abbia ritenuto rispettati nella specie i principi del giusto procedimento che egli, viceversa, reputa esser stati disattesi, in particolare con elusione del principio di partecipazione; 4) nullità della sentenza per illogicità della motivazione ed omessa valutazione delle prove, sostenendo che l’invocazione dell’art. 40 della legge n. 47/85 sia stata fatta fuori dei casi previsti dalla legge, essendo la rappresentazione dei fatti fornita con la dichiarazione sostitutiva conforme alla realtà, come il T.A.R. avrebbe ben potuto verificare attraverso l’assunzione dei testimoni indicati; 5) illogicità della motivazione della sentenza, sostenendo che l’attività commerciale è stata svolta senza la necessità di realizzare opere edilizie per cui non vi sarebbe stata alcuna variazione degli standards, considerata la tipizzazione delle destinazioni d’uso riferita, dimostrandosi, con ciò, che il Comune di Sabaudia non avrebbe perseguito l’interesse pubblico ma interessi di qualche categoria ostile ad una nuova iniziativa commerciale ed all’interesse del B. che, facendo affidamento sulla concessione edilizia a sanatoria, aveva venduto il bene alla Eurospin; 6) difetto di motivazione per illogicità, evidenziando che al momento della reiezione dell’istanza di sanatoria si era formato il silenzio assenso e che la somma pagata per oblazione era congrua e, comunque, si era prescritto il diritto del Comune a eventuali conguagli; 7) nullità della sentenza per carenza di motivazione, per non avere il T.A.R. considerato che il condono è ammissibile ove entro la data stabilita dalla legge le opere siano completate al rustico e già adibite all’uso cui sono destinate e sia pagata l’oblazione; 8) nullità della sentenza per carenza di motivazione in ordine al terzo motivo del ricorso principale, sostenendo che la concessione edilizia può essere annullata solo in base ad una chiara esposizione delle norme violate e che si oppongono al rilascio della concessione, mentre nella specie vi sarebbe stata solo una motivazione apparente, senza verificare quanto dichiarato dal B., e sotto il condizionamento del Sindaco e della Giunta; motivazione che avrebbe dovuto essere ben più accurata e commisurata all’entità della posizione giuridica che veniva incisa.

Resiste e replica articolatamente il Comune di Sabaudia.

Con memoria datata 19.04.2006 l’appellante riferisce alcune dichiarazioni rese da testimoni assunti nel processo penale instaurato a suo carico ed insite per l’accoglimento dei motivi di appello. Con ulteriore memoria datata 10.10.2006 egli ribadisce le proprie tesi, evidenziando altresì, in particolare, che la circostanza autocertificata gli era stata riferita dal sig. Giustino C. di Sabaudia (mentre il fallito Domenico C., che non sarebbe attendibile) e che, quindi, difetterebbe l’elemento psicologico della dichiarazione mendace; sostiene che le fasi relative alla gestione dei depositi di prodotti finiti prima della loro immissione nella rete di vendita costituiscono elementi e profili tipici del processo di intermediazione nella circolazione del bene e che non vi sarebbe dubbio che l’organizzazione di alcuni segmenti della produzione possa essere letta nel senso di una progressiva commercializzazione; soggiunge che le categorie della produzione e della commercializzazione non sono mai state funzionalmente autonome all’interno del Caseificio C., per cui si sarebbe verificato un mutamento di destinazione funzionale e la sanatoria per il cambio di destinazione d’uso sarebbe stato correttamente richiesta, in relazione all’intenzione dell’acquirente ad asta fallimentare di non continuare lo svolgimento dell’attività di produzione formaggi ma solo quella di commercializzazione di prodotti alimentari. Insiste nel ritenere che il dirigente UTC non abbia posto in essere un’attività discrezionale o un atto dovuto ma si sia conformato a indicazioni del Sindaco, nonché la strumentalità dell’accertamento svolto dalla Polizia Municipale.

Con ordinanza del 31.10.2006 n. 5698 è stata respinta l’istanza cautelare.

Altra memoria l’appellante ha dimesso in vista dell’udienza di discussione, insistendo per la riforma della sentenza gravata, indi la causa è stata posta in decisione all’udienza del 7.06.2011.

L’appello si rivela infondato.

Sul piano procedimentale (cui l’appellante dedica il terzo motivo) non si rinvengono i vizi denunciati e del tutto corretta e condivisibile risulta, al riguardo, la contestata motivazione della sentenza impugnata.

In particolare, quanto al primo provvedimento, di annullamento della concessione edilizia in sanatoria, la comunicazione del 20.08.2001 di avvio del procedimento in relazione all’art. 40 della legge n. 47/85, appunto di annullamento della concessione per dichiarazione infedele, risulta, da quanto riferito dallo stesso appellante, essergli pervenuta "a fine agosto". Egli, peraltro, deduce la nullità della predetta comunicazione perché il responsabile del procedimento avrebbe recepito i risultati di attività di indagine della Polizia Municipale non delegata da alcun Pubblico Ministero. L’appellante, in questo, come in altri punti dell’atto di appello (v. motivi I, II e VIII), finisce per sovrapporre aspetti amministrativi e penalistici della vicenda, laddove la circostanza che accertamenti siano stati o meno disposti dal Pubblico Ministero può rilevare ai fini del giudizio penale; in sede amministrativa, l’esercizio dei poteri di controllo e repressivi della amministrazione non postula alcuna previa autorizzazione del P.M., onde la pretesa nullità della comunicazione di avvio del procedimento, così come l’asserita inutilizzabilità ai fini che qui rilevano della attività svolta dalla polizia Municipale, non hanno alcun fondamento.

Nella specie, l’amministrazione comunale, sulla base del rapporto della Polizia Municipale del 12 settembre 2001, ha assunto il provvedimento di annullamento d’ufficio in data 28 settembre 2001.

Una volta annullata la concessione in sanatoria n. 373 del 13.4.2001, si rendeva necessario ripronunciarsi sull’istanza di sanatoria e l’amministrazione vi ha provveduto con l’atto di diniego del 3.06.2002, impugnato coi motivi aggiunti, senza che si rendesse preliminarmente necessaria apposita comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi, in questo caso, di iter avviato su istanza di parte. Lo stesso appellante evidenzia, in memoria, come all’epoca di adozione del provvedimento di diniego non fosse stato ancora introdotto l’art. 10 bis della legge n. 241/90.

Non si è, quindi, avuta alcuna violazione del principio del contraddittorio. Né l’amministrazione era tenuta ad informare il sig. B. della sostituzione temporanea della persona fisica preposta alla direzione del servizio competente, in quanto l’attribuzione ad interim di funzioni è un atto di organizzazione interna dell’amministrazione che non rileva nei rapporti esterni, mentre meramente assertiva rimane la critica che il dirigente ad interim, che ha assunto il provvedimento del giugno 2002 di diniego della concessione in sanatoria, non avrebbe svolto un approfondito studio della pratica; in particolare non può sostenersi che detta sostituzione rendesse necessario sollecitare un ulteriore contraddittorio sulla pratica stessa, come adombrato nell’atto di appello.

Venendo agli aspetti sostanziali della vicenda, si osserva che i provvedimenti impugnati sono stati assunti dal competente organo dirigenziale, in riferimento alla normativa ed alle risultanze dell’istruttoria; rimane, quindi, allo stato di illazione la tesi, affacciata dall’appellante in più punti e volta contestare la violazione del principio di separazione tra organi politici ed amministrativi e ad adombrare, nella sostanza, uno sviamento di potere, che la volontà dell’organo politico abbia determinato l’adozione degli atti.

Il provvedimento di annullamento della concessione in sanatoria rilasciata alcuni mesi prima si fonda sulla circostanza che non corrispondeva al vero quanto indicato nella dichiarazione sostitutiva fornita a supporto della domanda, ossia che attività commerciale si svolgeva, non solo sulla superficie autorizzata (126 mq.) ma anche sulla ben più ampia superficie adiacente del caseificio (500 mq.); a fronte di una così rilevante inesattezza, l’annullamento si poneva come atto dovuto, non necessitante particolare illustrazione delle ragioni di interesse pubblico che giustificavano l’esercizio dell’autotutela o considerazione dell’interesse privato, tenuto anche conto del breve tempo intercoso dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria.

L’esistenza, contestata dall’appellante, del predetto presupposto per l’applicazione dell’art. 40 della legge n. 47/85 è stata rilevata dal Dirigente sulla base del rapporto del 12.09.2001 della Polizia Municipale secondo il quale, infatti, la superficie dello stabilimento utilizzata per la vendita era di soli 126 mq. ed era, inoltre, finalizzata esclusivamente alla vendita dei prodotti lattierocaseari lavorati nell’azienda, sino alla sua chiusura per fallimento.

Pertanto il T.A.R. ha ritenuto sussistere i presupposti per l’emanazione del provvedimento e che non vi fosse alcuna necessità di esperire ulteriori accertamenti nel giudizio.

L’appellante censura l’illogicità di tale valutazione dei primi giudici rilevando che l’accertamento effettuato dalla Polizia Municipale si fondava sulle dichiarazioni del fallito C., che egli reputa inattendibile, in quanto pretesamente interessato a riferire circostanze non vere; egli valorizza, inoltre, dichiarazioni di altri soggetti che riferiscono di aver acquistato prodotti all’interno del caseificio e si duole che non siano stati dal T.A.R. assunti come testimoni.

La critica non persuade. Non è illogico aver ritenuto affidabile l’accertamento della Polizia Municipale, che si basa su indicazioni di soggetto che, per essere stato l’utilizzatore dell’area in questione in quanto titolare del caseificio, meglio conosceva le circostanze di fatto rilevanti; mere affermazioni, senza elementi di conforto, della parte interessata a sminuire l’attendibilità delle notizie raccolte dalla Polizia Municipale sono quelle relative ad un atteggiamento "interessato" del C. o gli accenni ad una sua ostilità alla nuova iniziativa commerciale che si progettava di avviare all’interno dell’ex caseificio, mentre la sottolineatura che trattasi di soggetto a suo tempo "fallito" nulla è idonea a dire in ordine alla sincerità delle dichiarazioni del predetto di cui riferisce il rapporto del 12.12.2001.

Quanto ad alcune deposizioni testimoniali rese nel giudizio penale, valorizzate nella memoria del 19.04.2006 si osserva che le frasi riportate tra virgolette evidenziano che nel capannone, davanti alla produzione, c’era un banco e che veniva esercitata la vendita al minuto e che vi era, inoltre, anche vendita all’ingrosso, ma l’evidenziato svolgimento di attività commerciale non è risolutivo, pacifico essendo che una autorizzata attività commerciale venisse svolta su una superficie di 126 mq.; la questione attiene all’utilizzo commerciale (da soggiungere, all’epoca rilevante ai fini del condono) dell’ulteriore porzione di 500 mq. in relazione alla quale era stato chiesta la sanatoria per cambio destinazione d’uso.

Alle censure dedotte si sottrae anche, come condivisibilmente ritenuto dai primi giudici, il provvedimento di diniego della concessione in sanatoria; esso è sufficientemente motivato col richiamo al provvedimento di annullamento della concessione a sanatoria precedentemente rilasciata e, così, per relationem agli aspetti allora emersi a seguito degli accertamenti della Polizia Municipale, senza che occorresse un richiamo integrale ad atti precedenti, del resto già noti all’interessato, che aveva proposto ricorso, né argomentare in relazione alle deduzioni che questi aveva ivi esposto.

Non giova all’appellante il richiamo all’istituto del silenzio accoglimento per decorrenza dei termini, in presenza di pagamento dell’oblazione, vuoi perchè nella specie si era avuto un espresso provvedimento positivo, vuoi perché, comunque, è intervenuto l’annullamento della concessione in sanatoria per gravi inesattezze della domanda; sulla base di tale accertato elemento, è, poi, stato negato il condono. Né vale invocare una pretesa assenza di lesività per l’interesse pubblico della sanatoria richiesta in considerazione dell’addotta assimilazione della attività commerciale e di quella produttiva, poiché, a prescindere dalla diversità di carico urbanistico dell’attività commerciale e di quella produttiva, l’aspetto che viene in considerazione nei provvedimenti impugnati è quello della non veridicità delle dichiarazioni presentate a sostegno dell’istanza.

L’appello va, pertanto, respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere al Comune di Sabaudia le spese del giudizio che liquida in Euro 3.000, al netto di i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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