Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-01-2011) 21-11-2011, n. 42892 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La sentenza impugnata. a) La decisione.

In data 1 marzo 2010 la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa il 18 dicembre 2008 dal Tribunale della stessa città, e per quello che qui rileva, ha emesso la seguente sentenza relativamente alle posizioni sotto indicate:

1) quanto a A.N.:

l’ha assolto dal reato di cui al capo W) dell’imputazione per non avere commesso il fatto;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per il reato di cui al capo S), esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1;

ha respinto l’appello del Pubblico Ministero con riguardo al reato di cui al capo A);

ha rideterminato la pena in anni dodici di reclusione;

ha confermato le pene accessorie inflitte in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

2) quanto a Ar.Gi.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per il reato di cui al capo S), esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, e per i reati di cui ai capi A), F) ed U);

ha rideterminato la pena in anni sedici di reclusione;

ha confermato le pene accessorie inflitte in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

3) quanto a C.A.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per i reati di cui ai capi A) e S), contestati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, e per i reati di cui ai capi H), HH) e NN), contestati ai sensi dell’art. 73 dello stesso D.P.R., unificati per continuazione;

ha ritenuto la continuazione tra i fatti oggetto di questo procedimento e quello di cui alla sentenza del 24 gennaio 2006 del G.i.p. del Tribunale di Napoli, irrevocabile l’11 aprile 2007;

ha rideterminato la pena complessiva, ritenuti più gravi i fatti per cui si procede, in anni tredici di reclusione, in essa assorbita la pena di anni due di reclusione ed Euro duemila di multa di cui alla sentenza irrevocabile;

ha confermato le pene accessorie inflitte in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

4) quanto a E.N.:

l’ha assolto dai reati di cui ai capi X), AA) e BB) dell’imputazione perchè il fatto non sussiste;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per i reati di cui ai capi A), S), Y), Z), CC) ed EE);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha rideterminato la pena in anni dodici e mesi sei di reclusione;

ha confermato le pene accessorie inflitte in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

5) quanto a F.C.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo E);

ha accolto l’appello del P.M. quanto al disposto riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, rigettandolo quanto all’assoluzione in ordine al capo A);

ha rideterminato la pena in anni sette di reclusione ed Euro trentaduemila di multa;

ha applicato la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella legale durante l’esecuzione della pena;

6) quanto a Fa.Do.:

l’ha dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi P) e U), esclusa l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7;

ha rigettato l’appello del Pubblico Ministero quanto all’assoluzione in ordine ai reati di cui ai capi A) e S);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha ritenuto la continuazione tra i reati di cui ai capi P) e U) con i reati giudicati con la sentenza del 20 giugno 2005 del Tribunale di Napoli in composizione monocratica, irrevocabile il 4 marzo 2006;

ha rideterminato la pena complessiva, ritenuti più gravi i reati per cui si procede, in anni otto di reclusione ed Euro trentamila di multa, in essa assorbita la pena di anno uno di reclusione ed Euro duemila di multa, di cui alla sentenza irrevocabile;

ha applicato allo stesso la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella legale durante l’esecuzione della pena;

7) quanto a G.F.:

l’ha assolto dai reati di cui ai capi X) e BB) dell’imputazione perchè il fatto non sussiste e dal reato di cui al capo U) per non avere commesso il fatto;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per i reati di cui ai capi S), Y), Z), CQ ed EE);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha rideterminato la pena in anni dodici di reclusione;

ha confermato le pene accessorie inflitte in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

8) quanto a Gr.Gi.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo SS);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha confermato l’entità della pena di anni dieci di reclusione ed Euro quarantamila di multa e le pene accessorie applicate in primo grado, oltre alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

9) quanto a Gr.Um.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo SS);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha confermato l’entità della pena di anni sette di reclusione ed Euro trentamila di multa e le pene accessorie applicate in primo grado;

10) quanto a L.M.D.:

l’ha assolto dai reati di cui ai capi U) e V) per non avere commesso il fatto;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per il reato di cui al capo S);

ha rideterminato la pena in anni venti di reclusione;

ha confermato le pene accessorie applicate in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

11) quanto a L.D.:

l’ha assolto dal reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per il reato di cui al capo G);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha rideterminato la pena in anni sette di reclusione ed Euro trentamila di multa;

ha confermato le pene accessorie applicate in primo grado;

12) quanto a La.Ra.:

l’ha assolto dai reati di cui ai capi F), U) e V) per non avere commesso il fatto;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per il reato di cui al capo S);

ha rideterminato la pena, con le già concesse attenuanti generiche prevalenti, in anni sei e mesi otto di reclusione;

ha dichiarato condonati, ai sensi della L. n. 231 del 2006, art. 1, anni tre di reclusione;

ha ordinato, per l’effetto, l’immediata liberazione dello stesso, se non detenuto per altra causa;

13) quanto a Li.Al.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi A) e L);

ha confermato l’entità della pena di anni dodici di reclusione e le pene accessorie applicate in primo grado, oltre alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

14) quanto a M.S.:

l’ha assolto dal reato di cui al capo A) per non avere commesso il fatto;

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per il reato di cui al capo G);

ha rigettato la richiesta di concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

ha rideterminato la pena in anni sette di reclusione ed Euro trentamila di multa;

ha confermato le pene accessorie applicate in primo grado;

15) quanto a P.P.:

l’ha dichiarato colpevole del reato di cui al capo S);

ha confermato la dichiarazione di responsabilità per i reati di cui ai capi A) e E);

ha rideterminato la pena complessiva in anni quattordici di reclusione;

ha confermato le pene accessorie applicate in primo grado e la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre;

16) quanto a Pe.An.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo T);

ha confermato l’entità della pena di anni due e mesi sette di reclusione ed Euro quarantamila di multa inflitta in primo grado;

17) quanto a R.F.:

l’ha assolto per il reato di cui al capo T per non avere commesso il fatto;

l’ha dichiarato colpevole del reato di cui al capo S);

ha rideterminato la pena in anni undici di reclusione;

18) quanto a S.A.:

ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine ai reati I), S), HH, II, JJ, KK e LL;

ha confermato l’entità della pena di anni dodici di reclusione e le pene accessorie applicate in primo grado, oltre alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre.

La Corte, confermando nel resto la sentenza impugnata, ha anche confermato il provvedimento di confisca emesso dal Tribunale con riguardo ai beni mobili e immobili intestati agli imputati condannati, e di cui al decreto di sequestro preventivo. b) il compendio probatorio. b.1. La vicenda giudiziaria, relativa anche ad altri imputati non ricorrenti in questa sede (undici in tutto: Am.An., Am.Ma., D.F., D.P.V., Fa.

C., I.S., Pe.Ga., P. M., St.An., To.En. e T. A.), era parte di una complessa indagine, al cui esito era stata esercitata l’azione penale nei confronti di un numero maggiore di soggetti, alcuni dei quali separatamente giudicati.

L’indagine era partita attraverso intercettazioni telefoniche svolte a far tempo dal maggio 2004 sui clan camorristici Castaldo, La Montagna e Di Buono, che avevano fatto emergere scontri tra i clan contrapposti per la conquista del territorio dei comuni di Caivano, Acerra e Casalnuovo, culminati nel duplice omicidio nel settembre 2004 nel Parco Verde di Caivano di Ch.Al. e di An.Ra., reggente del clan Castaldo, e nella preparazione della ritorsione da parte dei componenti di detto clan contro gli esponenti del clan La Montagna, che si appoggiavano al clan Di Buono e che erano ritenuti responsabili del duplice omicidio.

Sin dal giorno successivo all’arresto di dieci persone sorprese con un arsenale di armi e cinque chili di cocaina, uno degli arrestati, D’.An., aveva cominciato a collaborare con gli inquirenti, indicando i presunti esecutori del duplice omicidio in L.M.D. e Gr.Gi. e riferendo in ordine ai componenti della consorteria criminale.

Dall’intercettazione dell’utenza telefonica di Gr.Gi. e da quella eseguita nell’auto dello stesso, utilizzata da L.M. D. per i suoi spostamenti, volte a riscontrare l’attendibilità del dichiarante, era risultato che il predominio sul territorio era passato dal clan Castaldo al clan La Montagna. b.2. D’.An., nel corso della sua collaborazione, aveva, in particolare, ricostruito la storia della piazza di spaccio nel parco verde di Caivano a partire dagli anni 1998-1999 e dei passaggi della sua gestione (dopo la gestione di D.N. e dei Napoletani, Ru. e Ci., la gestione era passata al clan Castaldo, retto da Ca.Pa., e, dopo l’uccisione di questi nel settembre 2003 e accordi con il fratello Ca.Vi. e Ca.Gi., ad An.Ra., ucciso il 3 settembre 2004 insieme a Ch.Al., e, infine, al clan La Montagna); aveva riferito in merito alle contese tra i clan contrapposti, Castaldo e La Montagna, per conquistare il predominio della piazza, e in merito ai luoghi di approvvigionamento della sostanza stupefacente, alla distribuzione nelle varie "piazze", alle modalità di confezionamento e ai luoghi di custodia della sostanza stupefacente, consegnata, da esso stesso, per la vendita agli spacciatori; aveva indicato i nomi dei titolari delle "piazze", le modalità della divisione dei proventi e della corresponsione della "settimana", e aveva fornito interpretazione autentica del linguaggio criptico di conversazioni intercettate sulla sua utenza per individuare le persone di riferimento (e così l’espressione "vado mpont o vico" era riferita a E.A. primo e a P. R. dopo, "sto andando a fare il servizio grosso" allo stesso E., "macchina davanti" alla macchina che lo precedeva quando andava a consegnare la droga all’ E. o a P. G., "quello delle cassette" ad Ar.Gi. che incideva sulle cassette, "napoletani" ai Ru., ai Ci. e ai pe. collegati con i Mo., e l’espressione "vado nelle palazzine" si riferiva al Parco Verde). b.3. Tali dichiarazioni, che avevano fatto sorgere più procedimenti penali anche definiti con sentenze esecutive, acquisite nel corso del dibattimento di primo grado, erano risultate collimanti con quelle rese da altri soggetti che avevano collaborato con la giustizia e che erano stati sentiti nel corso del dibattimento di primo grado, specificatamente richiamate in sentenza: Gi.An. (che aveva dichiarato di avere fatto parte del clan Belforte di Marcianise, alleato del clan Di Natale, a sua volta alleato con il clan Castaldo, retto da Ca.Pa., al quale era subentrato An.Ra.; detto clan era in contrasto con il clan La Montagna; tra le piazze vi era quella mpont o vico di E. A.); ma.gi. (che aveva dichiarato che faceva parte del clan di D.N.S., ucciso nel palazzo di E. A., che vendeva mpont o vico e al quale fornivano due o tre chili di cocaina al mese, precisando anche che lo stesso, che aveva come socio Pa.Ra., acquistava droga anche altrove, pagando una tangente); D.G.R. (che aveva dichiarato di essere componente del clan Di Grazia, operante nelle province di Caserta e Aversa, che si riforniva di droga dal clan Castaldo che trattava dai venti ai trenta chili di droga al mese, a lui rifornendone due o tre), Pi.Sa. (che aveva dichiarato di essere componente del clan La Montagna, alleato con i Moccia di Afragola e allo stesso subordinato, e corriere della droga, che prendeva a Secondigliano e consegnava agli spacciatori, tra i quali La.Ra., genero di p. il cantante, e che la piazza più importante di Caivano era mpont o vico); Da.

F. (che aveva dichiarato di essere componente del clan Di Buono di Acerra, alleato con il clan La Montagna, che si contrapponeva al clan Castaldo); Fr.Mi. (che aveva dichiarato di avere fatto parte del clan Belforte che aveva avuto contatti con il clan Castaldo, divenuto egemone dopo l’estinzione del clan Di Natale, organizzando il traffico della droga e la gestione delle piazze su Caivano e Marcianise), e m.g. (che aveva dichiarato di essere stato reggente del clan De Sena di Acerra, alleato, tra gli altri, del clan Castaldo contrapposto al clan La Montagna, di cui facevano parte anche R.F. e Ar.Gi., e che dopo la morte di Ca.Pa. si era aperta una guerra tra i gruppi contrastanti, subentrando An.Ra., P. M., Ca.Vi. e Ca.Fr.), oltre che da Ba.Ra., acquisite al processo, per essere lo stesso deceduto. b.4. Tali dichiarazioni, valutate secondo i criteri enunciati da questa Corte quanto all’attendibilità intrinseca dei dichiaranti, avevano trovato riscontro, quelle rese da D’. nel ritrovamento di un chilo di cocaina e di una pistola cal. 7.65, protetta da grasso militare, nel luogo di custodia della droga, dallo stesso indicato, e tutte nei risultati delle operazioni di intercettazione telefonica e ambientale, e, in particolare, nella intercettazione della conversazione del 17 ottobre 2003, intercorsa a bordo dell’auto in uso a D.B.A. tra questi e L.M. D., estesa a C.A., detto ce., incrociato durante il percorso in auto, e nella intercettazione della conversazione del 28 dicembre 2004, intercorsa, a bordo dell’auto intestata a Gr.Gi., tra quest’ultimo e il nipote Gr.Um., relativa alla situazione dello spaccio della sostanza stupefacente a Caivano, successiva alla uccisione, nel settembre 2004, di An.Ra. e Ch.Al., gestori del clan Castaldo, e contraddistinta dal passaggio della piazza al clan La Montagna, evidenziata dal riferimento di Gr.

U. al "sistema è a due m. e N.", identificati in L.M.D. e A.N..

Le dichiarazioni dei collaboratori avevano anche trovato riscontro, oltre che reciproco, nelle sentenze definitive acquisite ex art. 238 bis c.p.p., nei numerosi servizi di appostamento della Polizia giudiziaria, che aveva assistito alla fiorente attività di spaccio nel territorio di Caivano e nel Parco Verde, negli operati sequestri e nella svolta attività intercettativa, telefonica e ambientale. c) Le ragioni della decisione.

C1. In base a tale complesso di elementi probatori, entrambe le sentenze di merito avevano ritenuto esistente il clan Castaldo, che oltre ad interessarsi dei reati tipici delle associazioni camorristiche, si interessava anche in modo organizzato del traffico delle sostanze stupefacenti, e avevano rilevato che nel periodo in esame, compreso tra il mese di settembre 2003 e la primavera del 2005, si era avuto un passaggio nel controllo del territorio e del mercato delle sostanze stupefacenti della "piazza di Caivano", essendo subentrato il clan La Montagna al clan Castaldo, i cui membri erano stati "decapitati", da ultimo con gli omicidi nel settembre 2004 di An.Ra. e Ch.Al., e anche per i numerosi arresti operati.

L’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, facente capo al clan Castaldo, contestata al capo A) (e della quale erano partecipi, tra gli altri, secondo l’imputazione, A.N., Ar.Gi., C.A., E. N., F.C., Fa.Do., L.D., La.Ra., Li.Al., M.S., P.P. e S.A.), e quella facente capo al clan La Montagna, contestata al capo S) (e della quale erano partecipi, tra gli altri, secondo l’imputazione, A.N., Ar.Gi., C.A., E.N., Fa.

D., G.F., L.D., L.M. D., M.S., P.P., Pe.

A., R.F. e S.A.), erano dimostrate, secondo i Giudici di merito, dai legami, dai contatti e dai rapporti tra gli imputati e con altri separatamente giudicati, indicativi dell’accordo permanente diretto all’acquisizione, distribuzione e spaccio di sostanze stupefacenti al fine comune del conseguimento del lucro, con fattivo e consapevole contributo da parte di ognuno alla vita e agli affari del sodalizio, espresso anche dalla solidarietà, evidenziata dalla riduzione del prezzo di acquisto della droga, se uno spacciatore fosse stato arrestato.

Lo stabile vincolo associativo era, in particolare, da individuare nella specie, nonostante la sussistenza di scopi contrapposti, tra il gruppo dei fornitori, composto dai reggenti che si erano succeduti nel controllo del territorio nel periodo in esame, e che provvedevano all’approvvigionamento, al trasporto, al taglio, alla distribuzione e alla cessione della sostanza stupefacente, e i cd. riforniti, titolari e componenti delle singole "piazze", intese come luoghi ove veniva effettuato lo spaccio (tra le altre, le piazze mpont o vico al termine di vicolo Cairoli, quella di E.N., quella di S.A., quella di C.A., detto ce., quella di Li.Al., di Se.Pi. e S. G., di Pe.Ga. e quella del Parco Verde), che erano rivenditori all’ingrosso e minutanti, chiamati a rispondere anche dei plurimi episodi di acquisto, detenzione, intermediazione e cessione di sostanze stupefacenti, integranti il reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, anche aggravato ai sensi del successivo art. 80.

Nè, secondo le valutazioni dei giudici di merito, le "piazze" di spaccio potevano essere considerate, come dedotto dalle difese, "micro – cellule", dotate di autonomia gestionale, avulse dall’associazione criminale, e sottomesse con il pagamento di un pizzo all’associazione camorristica, attesa la mancanza del vincolo di subordinazione con detta associazione e tenuto conto della imposizione della tangente in favore dei Caivanesi solo ai napoletani (identificati, secondo le dichiarazioni di D’.Gi., con i Ru., i Ce. e i pe.), se si rifornivano di droga fuori Caivano. c.2. La Corte d’appello, alla stregua di tali rilievi, dopo aver sintetizzato le doglianze mosse con gli atti di appello da parte degli imputati e del Procuratore della Repubblica e dopo aver confermato, rigettando l’appello della pubblica accusa sul punto, la disposta esclusione dell’aggravante dell’uso delle armi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4, contestata ai capi A) e S), attesa la non funzionalità delle armi, delle quali era stata accertata la disponibilità, al raggiungimento degli scopi delle associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti, ha proceduto alla disamina della posizione di ciascun appellante e/o appellato pervenendo alle decisioni sopra indicate, esaminando per ciascuna gli elementi probatori acquisiti in relazione ai fatti oggetto delle varie imputazioni e ritenendo, laddove ha confermato la statuizione di condanna o ha ritenuto di emettere statuizione di condanna, che essi avessero valenza idonea a sostenere l’accusa. c.3. In rito la Corte ha respinto, perchè infondata, l’eccezione, sollevata da alcuni difensori nell’interesse dei rispettivi imputati, di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali eseguite nell’auto Golf targata (OMISSIS), di proprietà di Gr.

G., già sollevata in primo grado e rigettata con ordinanza del 23 maggio 2007.

Secondo la Corte sussistevano nella specie entrambe le condizioni richieste dall’art. 268 c.p.p., comma 3, per derogare alla previsione dell’uso esclusivo di impianti installati presso la Procura della Repubblica, attese le ragioni poste a fondamento del motivato decreto adottato in via d’urgenza dal Pubblico Ministero il 21 ottobre 2004 prima dell’esecuzione delle operazioni captative, e convalidato dal G.i.p., e avuto riguardo all’inidoneità e all’insufficienza degli impianti captativi in dotazione all’ufficio di Procura, inizialmente indicata come luogo di esecuzione delle operazioni, e sostituita, con il decreto del 22 ottobre 2004 di attivazione delle linee telefoniche per l’intercettazione tra presenti, con la sala ascolto presso Castello di Cisterna sulla base della certificazione dell’Ufficio intercettazioni della stessa Procura, allegata al decreto, attestante l’indisponibilità degli impianti in dotazione per lavori, in corso, di straordinaria manutenzione.

La Corte ha rigettato anche per la sua irrilevanza la doglianza difensiva relativa alla modifica del tipo di auto utilizzata dal Gr.Gi., che aveva acquistato altra auto Golf, attesa la disposta autorizzazione su autovettura dello stesso, e ha rigettato l’eccezione di violazione della privacy, formulata per essere state intercettate terze persone estranee al provvedimento autorizzativo, rilevando l’utilizzabilità, già confermata da questa Corte, della conversazione captata a "cornetta sollevata" nel corso di intercettazione autorizzata. c.4. La Corte ha anche ritenuto infondata la richiesta, avanzata da alcuni imputati, di applicare la riduzione per il richiesto rito abbreviato, rilevando che la richiesta del rito era stata subordinata all’esame dei collaboratori e alla trascrizione delle intercettazioni e che tali attività non erano necessarie per esservi già agli atti del G.u.p. le dichiarazioni dei collaboratori e i brogliacci delle relative trascrizioni. c.5. Nel merito, la Corte ha, in particolare, ritenuto, escludendosi le posizioni degli imputati non ricorrenti in questa sede, che:

c.5.1. quanto all’imputato A.N.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, e di cui al capo S), era comprovata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pi.

S. e Me.Gi., che, oltre a riscontrarsi reciprocamente, avevano trovato riscontro nella intercettazione ambientale del 28 settembre 2004, eseguita sull’auto di Gr.

G. e relativa alla conversazione tra questi e il nipote Gr.Um., in merito all’accentramento del mercato della droga dell’ A. con quello del L.M., che aveva reso il sistema "unico, ma a due", e nelle dichiarazioni di altro collaboratore, D’.An.;

– non vi erano i presupposti per la ravvisabilità dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, potendo l’imputato, in quanto semplice acquirente di droga solo dal L.M., dopo aver perso la sua autonomia, condividere lo stesso scopo del fornitore, senza poter ricoprire il ruolo di organizzatore o promotore all’interno del sodalizio;

– era corretta la motivazione della sentenza di primo grado, che aveva escluso la responsabilità dell’imputato in ordine alla sua partecipazione all’associazione facente capo al clan Castaldo di cui al capo A);

– non poteva ritenersi provata la responsabilità dell’imputato in ordine alla fornitura di un chilo e duecentocinquanta grammi di cocaina al cognato D.C.C., contestata al capo W);

c.5.2. quanto all’imputato Ar.Gi., denominato A. P., p. o il cantante;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti facente capo al clan Castaldo, di cui al capo A), era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An., che l’aveva anche riconosciuto in foto, riscontrate da quelle del collaboratore Pi.

S., dalle captazioni delle conversazioni telefoniche intercorse tra D’. e l’imputato, oltre che tra D’. e la fidanzata, messa al corrente dei suoi spostamenti per la consegna della droga, e dalle dichiarazioni del teste maresciallo an.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti facente capo al clan La Montagna, di cui al capo S), era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pi.Sa. (che, tra l’altro, aveva evidenziato l’amicizia dell’imputato con L.M.D., in sostituzione del quale il primo si era dichiarato colpevole del reato di porto d’armi, e per conto del quale il medesimo aveva gestito tutto il traffico dopo la morte del Ca., dal cui clan si era rifornito in precedenza), da quelle di Da.Fa., di Fr.Mi., che aveva riferito de relato quanto appreso da Se.Ra., e di m.g., concordi nell’indicare l’imputato referente o affiliato al clan La Montagna, per conto del quale si era interessato di droga; dalla deposizione dei testi, maresciallo an. e maresciallo Mu., che aveva anche confermato la condanna dell’imputato per il reato di porto di armi;

dalle intercettazioni telefoniche e dalla sicura identificabilità del Al.Pi., del cantante e di quello delle cassette con l’imputato;

– doveva essere esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, non essendo stato contestato all’imputato il ruolo di promotore o organizzatore, ma solo quello di collaboratore del L.M.;

– la sua responsabilità per i fatti contestati, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ai capi F) e U), rispettivamente nei periodi di operatività dei Ca. e del L.M., era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An., riscontrate per il primo fatto (capo F) dalle numerose conversazioni telefoniche intercettate, nel periodo luglio- agosto 2004, sulle utenze in uso allo stesso collaboratore per comunicare con la fidanzata e per i rapporti di rifornimento con i correi e su quella in uso all’imputato, e per il secondo fatto (capo U) dalle conversazioni intercettate nel periodo successivo sulle utenze in uso allo stesso collaboratore, e in particolare dalla intercettazione avvenuta il 9 marzo 2005 della conversazione tra D’. e Li.Al. (pure imputato in questo procedimento), relativa al rifornimento di droga da farsi da parte dell’imputato;

c.5.3. quanto all’imputato C.A.;

– la responsabilità per i reati di partecipazione alle associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti, facenti capo al clan Castaldo (capo A) e al clan La Montagna (capo S), quale acquirente stabile dai Ca. nel periodo in cui essi dominavano fino al settembre 2004, e poi dal L.M. che aveva intanto acquisito il monopolio della droga, era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An. (che aveva, tra l’altro, precisato che l’imputato prendeva anche il contributo per il cognato detenuto, poi sostituito dalla riduzione del prezzo di acquisto della droga); da quelle dei collaboratori di giustizia Me.Gi. e Gi.An.; dal servizio di appostamento della P.G. che aveva controllato i giovani usciti dall’abitazione dell’imputato, forniti di stupefacente; dagli esiti della perquisizione domiciliare compiuta dopo l’esito negativo della prima e dopo l’intercettazione della conversazione di commento al riuscito occultamento in casa della droga, e dalle intercettazioni delle conversazioni anche successive alla scarcerazione dell’imputato avvenuta il 26 maggio 2005;

– la responsabilità per i singoli delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi H), HH) e NN), rispettivamente il primo commesso nel periodo di operatività dei Ca. e gli ultimi due in quello di operatività del L.M., era comprovata per ciascuno dalle specifiche risultanze delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche, riportate in sentenza e relative a forniture da effettuarsi da parte del D’. a "quello della Golf", che era il modo di indicare l’imputato, o a commenti sulla qualità della partita di cocaina, o alle indicazioni date dall’imputato, dopo la sua scarcerazione, al cognato di consegnare sostanze stupefacenti, identificando i destinatari per nome o per il tipo di auto che avevano;

– ricorrevano le condizioni per ritenere la continuazione, con i reati oggetto di questo procedimento, del reato già giudicato dal G.i.p. con sentenza irrevocabile l’11 aprile 2007 e in relazione al quale, pure contestato in questo procedimento al capo MM), era stato dichiarato non doversi procedere per ostacolo di precedente giudicato;

c.5.4. quanto all’imputato E.N.;

– la responsabilità per i reati di partecipazione alle associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti facenti capo al clan Castaldo (capo A) e al clan La Montagna (capo S), quale gestore di una "piazza" di spaccio e acquirente stabile di cocaina, che spacciava in casa, prima dai Ca., nel periodo in cui essi erano dominanti, poi dal L.M., divenuto egemone nel territorio di Caivano, era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An. (che, oltre a rifornire l’imputato, detto n. o.f. e gestore di una piazza di spaccio con G. F., consegnandoli dai 150 ai 200 grammi di cocaina la settimana, aveva anche potuto vedere il nascondiglio della droga); da quelle di Pi.Sa., che aveva confermato la continuità dell’acquisto della droga da parte dell’imputato, nonostante il cambio dei fornitori e dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche, condotte sulle utenze dell’imputato e di G.F., nei periodi di predominanza in Caivano di ciascuna associazione;

– non poteva ritenersi provata la responsabilità per i singoli delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi X), AA) e BB), per essere le espressioni usate o non provate come criptiche o neutre nel loro significato;

– la responsabilità per i singoli delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi Y), Z), CC) ed EE) come commessi nel periodo di operatività del clan La Montagna, era comprovata per ciascuno dalle specifiche risultanze delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche, riportate in sentenza e relative, con l’uso di linguaggio criptico, a forniture di sostanze stupefacenti da farsi da parte dell’imputato e del G., che curava i rapporti con La.An., a sua volta collegato con i fratelli ma. per lo spaccio.

Dalle conversazioni intercettate era emerso il coinvolgimento dell’imputato, indicato dal G. come "compagno mio", presso la cui abitazione erano fissati gli incontri con l’indicazione da parte dello stesso G. all’interlocutore del tragitto per arrivarvi.

Tali emergenze erano state riscontrate dagli accertamenti di Polizia giudiziaria, riferiti dal teste maresciallo Mu., e consistiti nella verifica delle indicazioni del percorso conducenti all’abitazione dell’imputato, nel pedinamento del ma. (dopo l’intercettazione della conversazione tra il G. e il L. A., relativa all’organizzazione del viaggio del ma. per l’acquisto di sostanza stupefacente), nel sequestro a suo carico di trentuno grammi di cocaina, e nell’appostamento presso l’abitazione dell’imputato, essendo risultato che doveva ivi recarsi La.

G. (cugino di La.An.) per l’acquisto di droga;

– non poteva essere concessa la chiesta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ostandovi l’organizzazione dell’attività di spaccio. c.5.5. quanto all’imputato F.C.;

– la responsabilità per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestato al capo E), era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An., che aveva parlato del ruolo svolto dall’imputato, detto C., nella piazza mpont o vico, quale palo e quale spacciatore, riscontrate dalle dichiarazioni dei collaboratori Pi.Sa., D. F. e Fr.Mi., e dall’arresto del medesimo, operato il 4 febbraio 2005 mentre spacciava insieme a Tr.Al. nella piazza mpont o vico, della quale erano stati titolari prima l’ E. e poi Pa.Ra.;

– era fondato l’appello del Pubblico Ministero in merito alla riconosciuta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, tenuto conto degli ingenti quantitativi di sostanza stupefacenti spacciati al giorno e della organizzazione dello spaccio;

– non poteva, invece, accogliersi la richiesta del Pubblico Ministero volta all’affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine al reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (e di cui al capo A), atteso il ruolo meramente esecutivo svolto dallo stesso nella piazza di riferimento;

c.5.6. quanto all’imputato Fa.Do.;

– era condivisibile la disposta assoluzione, appellata dal Pubblico Ministero, per i reati di partecipazione alle associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti, contestate ai capi A) e S), non avendo l’imputato, a differenza del genero, C. A., una propria "piazza";

– ricorrevano, invece, elementi probatori a carico dell’imputato, detto ò Ta., con riguardo ai reati-fine, contestati ai capi P) e U), commessi rispettivamente nel periodo in cui la sostanza stupefacente era stata acquistata dai Ca. e dal L. M., costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’.An., Gi.An., Pi.Sa. e Da.Fa., concordi nell’indicare il predetto come venditore di sostanze stupefacenti, riscontrate dall’avvenuto arresto dello stesso il 20 giugno 2005, mentre spacciava droga nel Parco Verde di Caivano;

– andava esclusa l’aggravante dell’agevolazione camorristica, non essendovi stato appello sul punto;

– non poteva essere concessa la chiesta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per essere stato lo spaccio prolungato nel tempo e di non lieve entità;

– ricorrevano le condizioni per ritenere la continuazione tra i fatti oggetto di questo procedimento e quello già giudicato dal Tribunale di Napoli con sentenza irrevocabile il 4 marzo 2006, consistito nell’attività di spaccio per cui si era proceduto al predetto arresto nel Parco Verde di Caivano. c.5.7. quanto all’imputato G.F.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti facente capo al clan La Montagna (capo S), quale gestore di una "piazza" di spaccio insieme a E.N., detto N.F., era comprovata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e in particolare da quelle di Pi.Sa., che aveva dichiarato che l’imputato, detto ò G., era entrato a far parte del clan La Montagna nel Natale 2004; dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche sulle utenze in uso al medesimo e a La.An. con lo stesso collegato, e dalla testimonianza del maresciallo Mu.;

– non poteva ritenersi provata la responsabilità per i singoli delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi X) e BB), per essere le espressioni usate o non provate come criptiche o neutre nel loro significato, e al capo U) per il quale già in primo grado era stato assolto il socio E. per non avere commesso il fatto;

– la responsabilità per i singoli delitti di cui al detto art. 73, contestati ai capi Y), Z), CC) ed EE), era comprovata per ciascuno dalle specifiche risultanze delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche, riportate in sentenza e relative, con l’uso di linguaggio criptico, a forniture di sostanze stupefacenti da farsi da parte dell’ E. e dell’imputato, che curava i rapporti con La.An., a sua volta collegato con i fratelli ma. per lo spaccio.

Dalle conversazioni intercettate era emerso il coinvolgimento del G., che fissava gli incontri presso l’abitazione dell’ E., da lui indicato come "compagno mio", indicando all’interlocutore il tragitto per arrivarvi. Tali emergenze erano state riscontrate, come già rilevato quanto alla posizione dell’ E., dagli accertamenti di Polizia giudiziaria, riferiti dal teste maresciallo Mu., e consistiti nella verifica delle indicazioni del percorso conducenti all’abitazione dell’ E., nel pedinamento del ma., il cui viaggio per l’acquisto di sostanza stupefacente era stato organizzato, nel sequestro a suo carico di trentuno grammi di cocaina, e nell’appostamento presso l’abitazione del socio E.;

– non poteva essere concessa la chiesta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, trattandosi di spaccio ben organizzato;

c.5.8-9. quanto agli imputati Gr.Gi. e G. U., la cui posizione era trattata congiuntamente, attesa la comune imputazione e il vincolo di parentela tra essi sussistente per essere il secondo nipote del primo;

– la responsabilità con riguardo al reato continuato contestato, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, al capo SS), e i rapporti di Gr.Gi., unitamente al nipote, con il clan La Montagna, erano comprovati dalle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, specificatamente descritte nel capo di imputazione e riscontrate dalla Corte, nelle quali o era stato criptato o era espresso il riferimento alla droga, mentre doveva escludersi il ruolo passivo di Gr.Gi., che accertava la rispondenza al vero delle comunicazioni ricevute dal nipote;

– non poteva essere concessa la chiesta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per essere stato il fatto contestato continuato e protratto nel tempo;

C.5.10. quanto all’imputato L.M.D.;

– la responsabilità, quale capo e promotore di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti in Caivano con il controllo di tutte le piazze (capo S), in conseguenza del monopolio del mercato della droga ottenuto dopo la decapitazione del clan Castaldo, al quale l’aveva in precedenza conteso, era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.

A., riscontrate dalle intercettazioni delle conversazioni sull’auto di D.B.A., tra questi e m.

(identificato, con margine di elevata possibilità, nell’imputato a mezzo della perizia fonica nel corso del dibattimento di primo grado) e tra m. e il coimputato C., ed era ancora comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pi.Sa., riscontrate dalla conversazione intercorsa tra Gr.Um. e Gr.Gi. del 28 dicembre 2004, nel corso della quale il primo aveva comunicato al secondo, suo zio, che "il sistema era diventato unico" per essere tutto nelle mani del L.M., che gestiva "a due", con A.N. e con Ar.Gi., suo alter ego, e controllava il mercato, a mezzo R. (identificato con R.F., coimputato, vicino a m.), per verificare se la droga venduta dagli spacciatori fosse quella fornita dal clan;

– l’eccezione difensiva di preclusione del giudicato assolutorio per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, rappresentato dalla sentenza del 27 ottobre 2006 della Corte d’assise di Napoli, doveva essere disattesa, sul rilievo che diversi erano i correi nei due procedimenti, nel procedimento già definito non vi era alcun riferimento alle "piazze" di spaccio e il tempus commissi delicti era fissato al maggio 2004 antecedente al periodo, considerato in questo procedimento, con inizio da epoca precedente e prossima al settembre 2004, e diverso era lo spessore probatorio nei due procedimenti;

– non poteva ritenersi provata la responsabilità per i singoli delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi U) e V), per essere stata la stessa affermata solo per il ruolo apicale dello stesso imputato;

C.5.11-14. quanto agli imputati L.D. e M. S.;

– la responsabilità per l’imputazione di acquisto di cocaina dal clan Castaldo per il successivo smercio, contestata al capo G), era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An., che aveva riferito in merito a rifornimenti di droga effettuati ai due imputati, riscontrate dalle conversazioni intercettate intercorse tra lo stesso D’. e il L. che si era riferito nella conversazione anche a T. ( M. S.);

– non poteva essere concessa la chiesta attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, atteso l’ostacolo rappresentato dalla commissione dei reati in modo non occasionale;

– non poteva ritenersi provata la responsabilità in ordine al reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (e di cui al capo A), non essendo provato che gli stessi fossero organici ai Ca.;

C.5.12. quanto all’imputato La.Ra.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, facente capo al clan La Montagna (capo S), era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An. (che nel riferirsi ad Ar.Gi. aveva detto che lo stesso, detto Al.Pi., era coadiuvato dal genero, che abitava con lui, nell’attività di spaccio ed era presente nel momento delle consegne della droga, che aveva ricevuto direttamente dopo l’arresto del suocero), riscontrate dalle concordi dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pi.

S. e dalla documentazione acquisita sulla situazione di famiglia dell’ Ar., che confermava che l’unica sua figlia Ce. aveva sposato l’imputato;

– non poteva ritenersi provata la responsabilità per i singoli delitti contestati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi F), U) e V), per essere le conversazioni o estranee all’imputato o documentalmente riferite ad affari leciti;

C.5.13. quanto all’imputato Li.Al.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti facente capo al clan Castaldo (capo A) era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An. (che aveva precisato che l’imputato era passato al clan Castaldo su sollecitazione sua e dell’ An., indicandolo come stabile acquirente di cocaina, che gli ordinava telefonicamente, e fornendo elementi per la sua identificazione, riscontrati dalle verifiche svolte sul cellulare in uso al medesimo imputato), dalle dichiarazioni del collaboratore Ma.Gi., dalle numerose conversazioni telefoniche intercettate, specificatamente contestate e richiamate in sentenza, e dall’accertata sottoposizione del predetto agli arresti domiciliari all’epoca della conversazione tra lo stesso e D’., che gli aveva detto "tu stai lì, non ti puoi muovere";

C.5.15. quanto all’imputato P.P.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti facente capo al clan Castaldo (capo A) e per il reato di acquisto ripetuto dallo stesso clan di quantitativi molto consistenti di cocaina per la successiva rivendita al minuto (capo E) era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia ma.gi. (che aveva riferito che l’imputato, socio dell’ E. nella gestione della piazza, l’aveva sostituito dopo il suo arresto, precisando di averlo autorizzato a vendere a Caivano da uno a tre chili di cocaina al mese), riscontrate dalle dichiarazioni di D’.An. (che aveva anche precisato che la piazza gestita da E.A., detto o.M. e dal cognato P. si chiamava mpont o vico ed era la più importante a Caivano) e da quelle di Da.

F. e di D.G.R.; dall’accertato ricovero dell’imputato, raggiunto da colpi d’arma da fuoco, presso l’ospedale di Frattamaggiore; dalle conversazioni intercettate intercorse tra il collaboratore D’. e la fidanzata nel periodo giugno-luglio 2004; dai servizi di appostamento svolti dagli organi di Polizia in via (OMISSIS), e dal sequestro, effettuato in una casa abbandonata, intestata alla moglie dell’imputato, di undici pacchi di sostanza da taglio e presse idrauliche utilizzate per confezionare le dosi;

non era condivisibile la disposta assoluzione dal reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti facente capo al clan La Montagna (capo S), essendo detta partecipazione comprovata dalle dichiarazioni di tutti i collaboratori di giustizia sentiti, concordi nel dire che l’imputato, dopo l’arresto del cognato E., si era a lui sostituito;

dall’accertato arresto di quest’ultimo il 10 settembre 2004; dalle dichiarazioni del collaboratore D.G. in merito all’acquisto di un chilo di cocaina presso il P. che era a letto con la gamba fasciata, da collocare dopo il riscontrato ricovero dello stesso a seguito dell’esplosione avvenuta il 4 settembre 2004, e dai servizi di appostamento condotti agli inizi del 2005;

C.5.16. quanto all’imputato Pe.An.;

– la responsabilità per l’imputazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestata al capo T) in concorso con R.F., era comprovata dal servizio di appostamento presso l’abitazione dell’imputato e dalla perquisizione condotta su Fa.Ma., dopo essere entrato e uscito dalla detta abitazione, che aveva consentito il sequestro di gr. 4,8 di cocaina; dalla deposizione del teste Tr.Fr., ufficiale di P.G., che aveva confermato le risultanze del servizio di appostamento anche in sede di controesame;

dalla condivisibile affermazione di responsabilità sulla base delle risultanze acquisite, nonostante la ritrattazione da parte del Fa.Ma. in sede dibattimentale delle dichiarazioni già rese.

C.5.17. quanto all’imputato R.F.;

– la responsabilità per l’imputazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestata al capo T) in concorso con Pe.

A., non poteva ritenersi provata, essendo stata fondata su dichiarazioni inutilizzabili, non avendo Fa.Ma. confermato in dibattimento che era stato l’imputato a portare la droga, da lui acquistata, al Pe.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, facente capo al clan La Montagna (capo S), era comprovata, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale con decisione appellata sul punto dal Pubblico Ministero, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’.An., Pi.Sa. e Me.Gi., che avevano concordemente indicato l’imputato come vice, o braccio destro, o persona di fiducia del capo clan La Montagna, occupandosi di tutte le attività del clan e quindi anche della droga, del ritiro del pizzo presso le piazze di spaccio e degli approvvigionamenti della stessa, riscontrate anche dalle dichiarazioni del collaboratore Da.Fa. e dal contenuto della conversazione tra Gr.

G. e Gr.Um., intercettata il 28 dicembre 2004;

C.5.18. quanto all’imputato S.A.;

– la responsabilità per il reato di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti facente capo al clan La Montagna (capo S) era comprovata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An. in ordine all’approvvigionamento di sostanza stupefacente da parte dell’imputato presso il clan Castaldo, per conto del quale spacciava essendosi indebitato nei confronti di Ca.Fr.; dalle conversazioni telefoniche intercettate che avevano fatto emergere la titolarità da parte dell’imputato di una piazza di spaccio nel Parco Verde; dalla intercettazione su utenza telefonica del D’., tra le altre, dalla quale era risultato il riferimento da farsi, in caso di necessità, a ò ch., soprannome dell’imputato; dai numerosi appostamenti effettuati dagli organi di Polizia all’interno del Parco Verde e dai riscontri conseguiti attraverso sequestri di sostanza stupefacente, o di materiale utile per la formazione e sigillatura delle dosi, o attraverso l’esame diretto degli acquirenti;

– la responsabilità per le imputazioni contestate, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ai capi I), HH), II), JJ), LL) e KK) era comprovata, per la prima imputazione, dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An., riscontrate dalle intercettazioni, su una delle sue utenze, dei dialoghi intercorsi con il coimputato Pe.Mi. relative a fornitura di droga da farsi da parte di ò ch. e destinata, come regalo, a un medico, e dall’effettivo successivo ricovero del Pe., come indicato nella conversazione, e tutte dalle intercettazioni telefoniche e/o dai servizi di appostamento anche accompagnati dalle riprese video delle operazioni. d) I ricorsi.

Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, tutti gli imputati sopra indicati: A.N., Ar.Gi., C.A., E.N., F.C., Fa.Do., G. F., Gr.Gi., Gr.Um., L.M. D., L.D., La.Ra., L. A., M.S., P.P., Pe.

A., R.F. e S.A..

La sentenza di appello è, invece, passata in giudicato nei confronti di Am.An., Am.Ma., D.F., D. P.V., Fa.Ci., I.S., Pe.

G., Pe.Mi., St.An., To.En. e Tr.Al.. d.1. A.N. ricorre per mezzo dell’avv. Sebastiano Fusco. d.1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 3, e al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Il ricorrente assume che la Corte d’appello, senza rispondere alle doglianze mosse con i motivi di appello, con riferimento alla mancanza di prova della sua partecipazione a una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non ha chiarito il suo ruolo, se di fornitore o acquirente, e ha ritenuto sufficienti le generiche dichiarazioni di due collaboratori vagamente convergenti tra loro, e prive di qualsiasi riscontro, tale non potendo ritenersi la conversazione intercettata intercorsa tra i due Gr., essendo apodittica l’identificazione del N. indicato nella conversazione con esso ricorrente ed essendo inconferente il richiamo al clan Castaldo, dopo l’affermazione della sua autonomia dal mondo della droga. d.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p. e all’art. 671 c.p.p., per non avere la Corte d’appello motivato sulle richieste, formulate con l’atto d’appello, di concessione delle circostanze attenuanti generiche e di riconoscimento della continuazione con "altro provvedimento" passato in giudicato. d.2. Ar.Gi. ricorre per mezzo dell’avv. Antonio Abet e con separato ricorso per mezzo dell’avv. Giuseppe Toraldo. d.2.1. Con il primo motivo del primo ricorso, comune a La.

R., il ricorrente, per la parte a lui relativa, denuncia violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 1, in tema di valutazione della prova circa la sussistenza del reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 e omessa motivazione sul punto.

Il ricorrente assume che la Corte d’appello non ha esposto un ragionamento esplicativo e giustificativo delle ragioni logico- giuridiche poste a fondamento della sua decisione, essendosi limitata a condividere la sentenza del Tribunale e omettendo di rispondere ai rilievi critici della difesa.

In particolare, nel caso di specie, i due collaboratori di giustizia, D’. e Pi., hanno reso dichiarazioni non riscontrabili e non sovrapponibili tra loro per avere essi fatto parte di distinte associazioni operanti in epoche diverse, e per gli altri collaboratori non è stato chiarito il valore delle loro generiche affermazioni.

Nè, secondo il ricorrente, la sentenza ha chiarito i motivi per cui si è ritenuto criptico e illecito il riferimento nelle conversazioni intercettate all’attività di cantante effettivamente dallo stesso svolta.

La sentenza non ha neppure fatto corretta applicazione dei principi fissati da questa Corte per verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, e non ha indicato gli elementi probatori dai quali ha desunto la responsabilità del ricorrente per detto reato. d.2.2. Con il secondo motivo del primo ricorso, comune a La.

R., il ricorrente, per la parte a lui relativa, denuncia violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 1, in tema di valutazione della prova, circa la sussistenza dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e omessa motivazione sul punto, deducendo la genericità degli episodi contestati, l’imprecisione temporale e quantitativa degli acquisti di droga, l’incomprensione delle frasi estrapolate dal contesto e il riferimento degli interlocutori alla sola attività di cantante di esso ricorrente. d.2.3. Con il terzo motivo del primo ricorso, comune a La.

R., il ricorrente, per la parte a lui relativa, denuncia violazione di legge per inosservanza dell’art. 132 cod. e carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., censurando la motivazione solo assertiva della gravità della condotta e della sua negativa personalità. d.2.4. Con il primo motivo del secondo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di tutte le fattispecie incriminatrici contestate, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p., e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione con riguardo al ritenuto riconoscimento della sussistenza degli elementi strutturali ontologici del delitto associativo e dei reati-satelliti contestati, per essere risultata instabile, e per niente organica e continuativa, la presunta sua condotta partecipativa in seno all’una o all’altra associazione per delinquere, avvicendatesi nel periodo in contestazione, e per essere del tutto assente la prova della consapevolezza da parte sua che le sue presunte azioni illecite apportavano un contributo causale apprezzabile per il raggiungimento degli scopi dell’organizzazione.

Nè, secondo il ricorrente, potevano costituire riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intrinsecamente contraddittorie, le intercettazioni telefoniche il cui contenuto neutro o quantomeno equivoco non era sintomatico di affiliazione associativa ma solo di impegno nello svolgimento dell’attività di cantante, senza che vi fosse la prova di alcun episodio sussumibile nella previsione normativa del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. d.2.5. Con il secondo motivo del secondo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione con riguardo alla negata riduzione post-dibattimentale della pena ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, e art. 442 c.p.p., nonostante la rituale richiesta formulata di definizione del processo con il rito abbreviato condizionato, rappresentando che dalla svolta istruttoria dibattimentale sono rimaste confermate la definibilità del processo con il rito alternativo condizionato richiesto e la compatibilità dell’assunzione dei mezzi di prova, condizionanti la richiesta del rito alternativo, con i fini deflattivi dello stesso e la loro necessità e decisività ai fini del giudizio. d.2.6. Con il terzo motivo del secondo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena ai sensi degli artt. 133 e 133 bis c.p, ritenuta eccessiva in rapporto al quadro indiziario che, basato su due sole telefonate non riconducibili a esso ricorrente, avrebbe dovuto comportare il minimo della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e un minimo aumento per la continuazione. d.3. C.A. ricorre per mezzo dell’avv. Giuseppe Toraldo e personalmente. d.3.1. Con il primo motivo del primo ricorso il ricorrente denuncia violazione di tutte le fattispecie incriminatrici contestate, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p., e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione con riguardo al ritenuto riconoscimento della sussistenza degli elementi strutturali ontologici del delitto associativo e dei reati-satelliti contestati, per essere risultata instabile, e per niente organica e continuativa, la presunta sua condotta partecipativa in seno all’una o all’altra associazione per delinquere, che, avvicendatesi nel periodo in contestazione, imponevano l’acquisto della droga, che esso ricorrente ha fatto mostrando, in tal modo, la sua estraneità e terzietà rispetto al vincolo associativo.

Del tutto assente è poi, ad avviso del ricorrente, la prova di un suo contributo specifico dato ai clan e della sua consapevolezza che le sue presunte azioni illecite apportavano un contributo causale apprezzabile per il raggiungimento degli scopi dell’organizzazione.

Nè potevano ritenersi riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori intrinsecamente contraddittorie, secondo il ricorrente, le intercettazioni telefoniche di contenuto del tutto neutro, mentre era del tutto assente la prova di alcun episodio sussumibile D.P.R. n. 309 del 1990, sub art. 73. d.3.2. Con il secondo motivo del primo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p., e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione con riguardo alla negata riduzione post-dibattimentale della pena ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, e art. 442 c.p.p., nonostante la rituale richiesta formulata di definizione del processo con il rito abbreviato condizionato.

Ad avviso del ricorrente, dalla svolta istruttoria dibattimentale erano rimaste confermate la definibilità del processo con il rito alternativo condizionato richiesto e la compatibilità dell’assunzione dei mezzi di prova, condizionanti la richiesta del rito alternativo, con i fini deflativi dello stesso e la loro necessità e decisività ai fini del giudizio. d.3.3. Con il terzo motivo del primo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, poichè il quadro indiziario, fondato su due sole telefonate non riconducibili a esso ricorrente, avrebbe dovuto comportare l’irrogazione del minimo della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e un minimo aumento per la continuazione. d.3.4. Con l’unico motivo del secondo ricorso il ricorrente denuncia vizio di motivazione con riguardo alla disposta conferma della sentenza di condanna per i reati di cui ai capi A) e S) dell’imputazione, sul rilievo che la subita coazione della volontà negli approvvigionamenti di sostanza stupefacente è l’antitesi della libera e volontaria adesione e contribuzione al clan dominante nei periodi che si sono succeduti.

I collaboratori di giustizia Gi., D’. e Me., ad avviso del ricorrente, sono stati concordi nel riferire in merito alle minacce ricevute dagli spacciatori da entrambi i clan per l’acquisto della droga, e un riscontro esterno alle stesse è dato dalla conversazione del 17 ottobre 2003, intercettata nell’auto del D.B., contenente l’invito a fare "i bravi", di chiaro contenuto minaccioso, tanto da indurre lo stesso ricorrente a rispondere che la droga andava acquistata "da chi comanda". d.4. E.N. ricorre per mezzo dell’avv. Paolo Sperlongano. d.4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 267, 268 e 271 c.p.p. e l’inutilizzabilità dei risultati delle conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza in uso a G.F. e su quella in uso a esso ricorrente, sotto il profilo della indebita violazione della privacy degli interlocutori, non titolari della utenza intercettata, verificatasi, nella specie, per effetto della intercettazione della conversazione eseguita a cornetta alzata, mentre l’utilizzatore del telefono componeva il numero o attendeva la connessione con il numero selezionato. d.4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 438 c.p.p., comma 5, e art. 125 c.p.p., comma 3, per la denegata sua ammissione al rito abbreviato condizionato alla trascrizione delle conversazioni, oggetto delle intercettazioni telefoniche e ambientali che investivano la sua posizione e di quelle eseguite sulle utenze telefoniche nella sua disponibilità.

Ad avviso del ricorrente, la sua richiesta, rigettata perchè ritenuta incompatibile con le finalità di economia processuale del rito in linea con la giurisprudenza di questa Corte, riferita alla possibile richiesta della controprova da parte del Pubblico Ministero, doveva essere accolta per non essere conferente detta giurisprudenza rispetto alla sua posizione, avuto riguardo alla totale convergenza degli interessi delle parti, imputato e Pubblico Ministero, riguardo alla necessità della trascrizione, disposta su richiesta dello stesso Pubblico Ministero in sede di dibattimento.

Il riferimento alla oggettiva necessità della integrazione, in linea con i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte (sentenza 27 ottobre 2004, P.G. in proc. Wajib), doveva far conseguire all’omesso accoglimento della richiesta la riduzione della pena inflitta nella misura di un terzo, secondo i principi del rito abbreviato. d.4.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’affermata responsabilità penale per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, per la non sicura e tranquillante affidabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che hanno narrato i fatti secondo logiche personali, temporalmente sfasate, e non relative ad attività del ricorrente riferibili con certezza alla gestione della droga, oltre ad essere erronee quelle del Pi. nel suo riferimento agli arresti domiciliari del medesimo, smentito dal certificato di detenzione acquisito.

Tali emergenze, ad avviso del ricorrente, confermano, unitamente alla mancanza di intercettazioni concernenti sue comunicazioni e alla mancanza di sequestri di droga a suo carico, l’insussistenza della prova del vincolo associativo e di un suo contributo causale specifico e consapevole al sodalizio. d.5. F.C. ricorre per mezzo dell’avv. Paolo Sperlongano. d.5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e art. 125 c.p.p., comma 3, deducendo che la valutazione della Corte d’appello, che ha escluso che i fatti commessi potevano essere considerati di lieve entità, ha del tutto omesso di tener conto della natura oggettiva della speciale attenuante invocata e della necessità di valutare nel loro complesso i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e la quantità delle sostanze, del tutto assenti nella motivazione e non emergenti dalle non convincenti dichiarazioni dei collaboratori. d.5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p. e all’art. 125 c.p.p., comma 3, lamentando la non corretta e parziale motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato solo sulla gravità del fatto e sulla negativa personalità di esso ricorrente, omettendo di tenere conto di tutti i criteri enunciati dall’art. 133 c.p. come possibili situazioni incidenti sul trattamento sanzionatorio. d.6. Fa.Do. ricorre per mezzo dell’avv. Alfredo Sorbo e personalmente. d.6.1. Con l’unico motivo del primo ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge e mancanza e contraddittorietà della motivazione, rilevando che la Corte di appello, nel riformare la sentenza di primo grado con la condanna di esso ricorrente solo per singoli episodi di spaccio, contestati ai capi P) e U), non solo non ha tenuto conto della mancanza di riscontri alle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, ma è anche incorsa in contraddizione.

In particolare, secondo il ricorrente, la Corte di merito, dopo aver escluso suoi collegamenti associativi con le organizzazioni cui faceva capo la droga venduta nel Parco Verde, non poteva ritenerlo responsabile di reati-fine, che non poteva commettere perchè non poteva spacciare in proprio, in posizione isolata dal contesto associativo. d.6.2. Con l’unico motivo del secondo ricorso il ricorrente denuncia mancanza e illogicità della motivazione in relazione alla sua condanna per i reati di cui ai capi P) e U), deducendo l’inattendibilità dei collaboratori di giustizia, D’., Gi., Pi. e Da.Fa., e la mancanza di convergenza, indipendenza e specificità, con riferimento a dati storici accertagli e a dati temporali, delle dichiarazioni etero – accusatorie degli stessi, non individualizzanti e non riscontrate estrinsecamente. Nè l’arresto di esso ricorrente del 20 giugno 2005 nella flagranza del reato di spaccio poteva essere valido riscontro esterno, per essere relativo a un singolo episodio successivo al tempus commissi delicti dei reati contestati e attribuiti. d.7 G.F. ricorre per mezzo dell’avv. Giovanni Cantelli. d.7.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 192 c.p.p., in relazione al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, contestato al capo S).

Il ricorrente, in particolare, assume che la Corte d’appello ha omesso di valutare le doglianze difensive svolte con l’atto di appello, non avendo motivato in merito alla circostanza che i testi della P.G. non avevano riferito fatti specifici rivelatori dell’affectio societatis, nè in merito all’attività captativa, risoltasi in una comunicazione tra esso ricorrente e La.

A., senza che fosse risultata la gestione da parte sua di una piazza, chi fosse il suo fornitore e se percepisse uno stipendio.

La Corte, che non ha tenuto conto della obiezione difensiva fondata sulle negative dichiarazioni del collaboratore ma.gi., ha anche omesso di motivare in merito all’attendibilità delle chiamate in correità, alla rappresentata limitazione dei contatti telefonici del ricorrente con i coimputati E. e La., alla mancanza di elementi probativi dei rapporti del medesimo ricorrente con i fornitori, ai tentativi di acquisto da parte dello stesso solo di sostanza stupefacente a uso personale. d.7.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 192 c.p.p., in relazione ai delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestati ai capi Y), Z), CC) ed EE), deducendo che la motivazione, solo apparente, si è sostanziata nella mera riproposizione del contenuto di alcune conversazioni, senza tener conto del loro limitato riferimento alla organizzazione di un suo incontro con il La. e dell’assenza di riferimenti a contatti con presunti acquirenti di sostanza stupefacente, e senza spiegare le ragioni per le quali si sia ritenuto che oggetto dei colloqui fosse la cessione di detta sostanza. d.7.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, con riferimento ai reati di cui ai capi Y), Z), CC) ed EE), deducendo che la valutazione della Corte d’appello ha erroneamente ritenuto il fattore organizzativo ostativo alla concessione della invocata attenuante, poichè la stessa è normativamente prevista dall’art. 74, comma 6, del citato D.P.R. anche per le fattispecie associative. d.8 Gr.Gi. ricorre per mezzo dell’avv. Mario Girardi. d.8.1. Con unico motivo, il ricorrente denuncia, in via principale, vizio di motivazione e insussistenza della prova, deducendo che la Corte d’appello ha motivato in modo non convincente e contraddittorio, senza tenere conto delle doglianze svolte con l’atto di appello e, in particolare, della circostanza che, nelle conversazioni avute con il nipote, esso ricorrente era palesemente dipendente e sottoposto al medesimo, che parlava autonomamente di modalità di vendita della droga, prezzo e qualità, limitandosi solo ad ascoltarlo distrattamente e a generiche considerazioni, senza avere avuto alcun ruolo nello spaccio.

In via subordinata, il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, deducendo che l’esclusione dell’attenuante della lieve entità, fondata sul rilievo che il fatto era stato continuato e perdurante nel tempo, non ha tenuto conto delle emergenze delle conversazioni intercettate in ordine al limitatissimo lasso di tempo di protrazione delle condotte.

Ulteriori censure subordinate attengono al trattamento sanzionatorio per omessa indicazione della pena base e degli aumenti per continuazione interna e per l’"eccessiva onerosità" della pena comminata, e alla non esaustiva motivazione quanto al diniego dell’ammissione al rito abbreviato condizionato e all’applicazione della diminuente della pena. d.9. Gr.Um. ricorre per mezzo dell’avv. Alberto Tortolano. d.9.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione di legge con riguardo alla eccepita inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite nell’autovettura in uso a esso ricorrente e a Gr.

G., per violazione dell’art. 271 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 267 c.p.p., comma 2, e art. 268 c.p.p., comma 3.

Secondo il ricorrente è assolutamente privo di motivazione il decreto del 22 ottobre 2004 che, nel disporre l’attivazione delle linee telefoniche per intercettazioni tra presenti, ha autorizzato, senza neppure motivare le eccezionali ragioni di urgenza, l’esecuzione delle intercettazioni presso la sala ascolto dei Carabinieri di Castello di Cisterna, non essendo sufficiente ad assolvere l’obbligo di motivazione, con riferimento alla indisponibilità degli impianti in uso presso la Procura della Repubblica, come ritenuto dalla Corte d’appello, il riferimento alla certificazione rilasciata dal cancelliere e allegata, e non essendo ammissibile l’operato ricorso ad argomentazioni logiche quanto alla distinzione tra urgenza ed eccezionali ragioni di urgenza, nè la desumibilità dagli atti di queste ultime, nè l’integrazione postuma del contenuto del decreto in sede di merito o di legittimità, alla luce degli interventi di questa Corte, espressi da ultimo a sezioni unite con la sentenza n. 30347 del 2007.

Altro profilo di inutilizzabilità delle intercettazioni sussiste, secondo il ricorrente, per la difformità tra l’autovettura indicata nel decreto autorizzativo convalidato dal G.i.p. il 22 ottobre 2004 e quella oggetto delle intercettazioni, individuata sulla base del decreto del Pubblico Ministero, che aveva disposto che le operazioni di intercettazione avvenissero nell’autovettura, indicata nella nota dei Carabinieri del 2 novembre 2004 come quella acquistata da Gr.Gi., cambiando la precedente.

Ad avviso del ricorrente, che censura la decisione del Giudice di appello che, investito della questione, ha ritenuto irrilevante la modifica dell’auto rispetto al provvedimento autorizzativo originario, l’operatività della disciplina derogatoria ai principi di cui all’art. 266 c.p.p., comma 2, fissata dal D.L. n. 152 del 1991, art. 13 non poteva far ritenere indifferente la corretta individuazione del luogo della intercettazione e il suo rapporto con l’attività di acquisizione probatoria da intraprendere.

Altro aspetto della eccezione difensiva riguarda le intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze in uso a Gr.Gi., in ordine alle quali si deduce di avere prospettato con l’atto di appello, senza ricevere risposta, la mancanza tra la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero degli atti e documenti afferenti alla esecuzione delle intercettazioni stesse quanto al luogo dell’ascolto, inizio e chiusura delle operazioni e alle eventuali proroghe. d.9.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 605 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, rilevando che gli unici elementi a suo carico sono costituiti dalle intercettazioni telefoniche e ambientali e che, per l’effetto della loro inutilizzabilità, il supporto probatorio è diventato del tutto assente, non essendovi neppure le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Tuttavia, ad avviso del ricorrente, anche il quadro probatorio delineato dalle intercettazioni non è incompatibile, in mancanza di sequestri e di accertamenti di P.G. circa il concreto svolgimento di attività di spaccio, con la sua qualità di tossicodipendente, interessato a conoscere prezzi della droga e piazze di spaccio in prospettiva di ipotetica attività di spaccio sulla scia delle conoscenze acquisite acquistando droga per uso personale. d.9.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata ammissione al rito abbreviato condizionato alla trascrizione delle conversazioni telefoniche e ambientali che riguardavano la sua posizione, di quelle operate all’interno dell’autovettura dello zio Gr.Gi. e di quelle operate sulle utenze telefoniche nella disponibilità di quest’ultimo e di esso ricorrente.

Ad avviso del ricorrente, la richiesta, rigettata dal Tribunale perchè ritenuta incompatibile con le finalità di economia processuale del rito, e dalla Corte perchè ritenuta non necessaria per la celebrazione del rito essendovi, agli atti del G.u.p., i brogliacci relativi alle intercettazioni, doveva essere accolta per la totale convergenza degli interessi delle parti, imputato e Pubblico Ministero, riguardo alla necessità della trascrizione, disposta su richiesta dello stesso Pubblico Ministero in sede di dibattimento.

All’omesso accoglimento doveva conseguire la riduzione della pena inflitta nella misura di un terzo secondo i principi del rito abbreviato. d.9.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 605 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, deducendo che la valutazione della Corte d’appello, che ha escluso che i fatti commessi potessero essere considerati di lieve entità per essere stati continuati e perduranti nel tempo, è in contrasto con i principi giurisprudenziali in materia ed è illogica e incoerente se rapportata alle emergenze delle conversazioni intercettate, e in particolare a quella del 6 gennaio 2005, nella quale esso ricorrente, conversando con un cliente, aveva asserito di spacciare per procurarsi droga, in quanto tossicodipendente. d.10. L.M.D. ricorre per mezzo dell’avv. Vittorio Giaquinto e, unitamente a R.F., per mezzo dell’avv. Claudio Davino. d.10.1. Con il primo motivo del primo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 649 c.p.p., per violazione del divieto di precedente giudicato, avuto riguardo alla sua intervenuta assoluzione per la stessa imputazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, contestata fino al maggio 2004, e alla identità delle fonti di prova, costituite dalle dichiarazioni degli stessi collaboratori e dalle precedenti intercettazioni ambientali. d.10.2. Con il secondo motivo del primo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento del fatto in ordine all’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono state poste a base dell’affermazione di responsabilità senza il necessario approfondimento dell’attendibilità del dichiarante, dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni e della esistenza di riscontri esterni individualizzanti, tali non essendo le intercettazioni, non chiare nè univoche. d.10.3. Con il primo motivo del secondo ricorso, comune a R. F., il ricorrente, per la parte a lui relativa, riprende il primo motivo del primo ricorso relativo alla violazione del divieto di precedente giudicato, ulteriormente ampliato con riguardo agli elementi probatori dei due procedimenti e ai presupposti del principio del ne bis in idem. d.10.4. Con il secondo motivo del secondo ricorso, comune a R. F., il ricorrente, per la parte a lui relativa, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e alla valutazione delle dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 210 c.p.p., deducendo che la Corte d’appello non ha esposto un ragionamento esplicativo e giustificativo delle ragioni logico- giuridiche poste a fondamento della sua decisione, essendosi limitata a condividere la sentenza del Tribunale omettendo di rispondere ai rilievi critici della difesa.

In particolare, quanto ai collaboratori, si deduce l’illogicità della motivazione data dalla Corte per risposta alla eccepita inattendibilità intrinseca ed estrinseca del collaboratore D’., il cui inizio di collaborazione nella notte tra il 7 e l’8 settembre 2004 limita comunque l’utilizzabilità delle sue dichiarazioni, come fonte di prova, per condotte contestabili fino al suo arresto, senza potersi estendere alla presunta gestione L. M..

Le dichiarazioni rese dal detto collaboratore, oltre che pervase da intento calunniatorio e da animosità nei confronti del ricorrente, sono generiche, incoerenti, mutevoli e de relato quando lo stesso ha riferito in merito alla contrapposizione tra i gruppi facenti capo al presunto clan Castaldo e al ricorrente, con il quale mai ha avuto contatti diretti.

Nè si sottrae a un giudizio negativo di attendibilità il collaboratore Pi.Sa., le cui dichiarazioni incerte, contraddittorie, alimentate da astio e de relato, non sono riscontrabili e sovrapponibili con quelle del D’. per avere essi fatto parte di distinte associazioni operanti in epoche diverse, e per gli altri collaboratori non è stato chiarito il valore delle loro affermazioni.

Nè, secondo il ricorrente, le conversazioni intercettate il 17 ottobre 2003 (n. 322 e 323), nell’auto di D.B.A., tra m. identificato in esso ricorrente, A. in D.B. A. e To. in Al.An., richiamate dalla Corte, possono valere come riscontro, posto che il perito fonico ha concluso per la sola possibilità, così escludendo la certezza indubitabile, della identificazione del conversante m. con esso ricorrente, e ha collocato le conversazioni nell’ottobre 2003, e quindi in data antecedente alle dichiarazioni dello stesso collaboratore del settembre 2004 e alla stessa contestazione di reato.

Anche la conversazione intercorsa tra i Gr. del 28 dicembre 2004 è al di fuori del periodo in contestazione e, in ogni caso, non è riferibile al ricorrente per l’assoluta opinabilità della identificazione nello stesso del m. della conversazione, ed è troppo generica e contenente impressioni e commenti, senza l’indicazione della fonte, per ritenere che essa abbia i requisiti essenziali per valere come riscontro.

Nè la sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi fissati da questa Corte per verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 ed ha indicato gli elementi probatori dai quali ha desunto la responsabilità per il reato associativo sul piano oggettivo e soggettivo. d.10.5. Con il terzo motivo del secondo ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle generiche, fondato solo sulla gravità del fatto e la negativa personalità dei ricorrenti, omettendosi di indicare gli elementi risultanti dagli atti del processo che hanno portato all’adottata decisione. d.11-14. L.D. e M.S. ricorrono congiuntamente per mezzo dell’avv. Giaquinto. d.11-14.1. Con unico motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento del fatto in ordine all’attendibilità intrinseca ed estrinseca del collaboratore di giustizia D’., le cui dichiarazioni sono state poste a base dell’affermazione di responsabilità senza il necessario approfondimento dell’attendibilità del dichiarante, dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni e della esistenza di riscontri esterni individualizzanti. d.12. La.Ra. ricorre, per mezzo dell’avv. Antonio Abet, unitamente a Ar.Gi., e con separato ricorso per mezzo dell’avv. Giuseppe Toraldo. d.12.1. Con il primo motivo del primo ricorso, il ricorrente, per la parte a lui relativa, denuncia violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 1, in tema di valutazione della prova circa la sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e omessa motivazione sul punto.

Il ricorrente assume che la Corte d’appello non ha esposto un ragionamento esplicativo e giustificativo delle ragioni logico- giuridiche poste a fondamento della sua decisione, essendosi limitata a condividere la sentenza del Tribunale e omettendo di rispondere ai rilievi critici della difesa.

In particolare, nel caso di specie, i due collaboratori di giustizia, D’. e Pi., hanno reso dichiarazioni non riscontrabili e sovrapponibili tra loro per avere essi fatto parte di distinte associazioni operanti in epoche diverse, e per gli altri collaboratori non è stato chiarito il valore delle loro affermazioni.

Nè, a carico del ricorrente, vi sono altri elementi, non facendosi riferimento in sentenza a servizi di osservazione e di appostamento, nè a conversazioni telefoniche che l’abbiano coinvolto, tanto che lo stesso è stato assolto dai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

La sentenza non ha, neppure, fatto corretta applicazione dei principi fissati da questa Corte per verificare la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati associativi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, nè ha indicato gli elementi probatori dai quali ha desunto la responsabilità del ricorrente per il reato associativo, verificando la sussistenza della soglia di punibilità della società criminosa rispetto al concorso di persone. d.12.2-3. Il secondo e il terzo motivo del primo ricorso, attenendo rispettivamente ai reati-fine, dei quali il ricorrente La. non risponde, e al diniego delle attenuanti generiche all’ Ar., riguardano solo quest’ultimo. d.12.4. Con il primo motivo del secondo ricorso, il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 2 e 3, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione con riguardo al ritenuto riconoscimento della sussistenza degli elementi strutturali ontologici del delitto associativo, per essere risultata instabile, e per niente organica e continuativa, la presunta sua condotta partecipativa in favore del clan La Montagna.

Secondo il ricorrente, le dichiarazioni etero – accusatorie rese dai collaboratori di giustizia, Pi. e D’., sono intrinsecamente contraddittorie e incerte nella loro attendibilità quanto alla sua individuazione, poichè Pi., pur avendolo identificato fotograficamente non ne conosceva il nome, non aveva saputo specificare se egli aiutasse il suocero Ar.Gi., detto Al.Pi., nel suo lavoro di cantante, e non l’aveva incluso tra i "ragazzi di Al.Pi." nel riferirsi alle modalità di acquisto e vendita di sostanze stupefacenti e D’. aveva riferito di averlo visto alcune volte a casa dell’ Ar. sporco di muratura.

Nè potevano ritenersi riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori, secondo il ricorrente, le intercettazioni telefoniche di contenuto del tutto lecito documentalmente accertato. d. 12.5.Con il secondo motivo del secondo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione con riguardo alla negata riduzione post-dibattimentale della pena ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, e art. 442 c.p.p., nonostante la rituale richiesta formulata di definizione del processo con il rito abbreviato condizionato.

Ad avviso del ricorrente, dalla svolta istruttoria dibattimentale sono rimaste confermate la definibilità del processo con il rito alternativo condizionato richiesto e la compatibilità dell’assunzione dei mezzi di prova, condizionanti la richiesta del rito alternativo, con i fini deflattivi dello stesso e la loro necessità e decisività ai fini del giudizio. d.12.6. Con il terzo motivo del secondo ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2, art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, poichè il quadro indiziario, fondato su due sole telefonate non riconducibili a esso ricorrente, avrebbe dovuto comportare l’irrogazione del minimo della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e un minimo aumento per la continuazione. d.13. Li.Al. ricorre per mezzo dell’avv. Paolo Sperlongano. d.13.1. Con il primo motivo, enunciato solo nella intestazione e non sviluppato, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli artt. 267 e 268 c.p.p. e l’inutilizzabilità dei risultati delle conversazioni telefoniche intercettate. d.13.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riguardo all’affermata responsabilità penale per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, deducendo che le dichiarazioni del collaboratore D’. sono generiche, non riferite all’inserimento stabile di esso ricorrente nell’associazione, non riscontrate quanto al riferimento all’imputato come lo "(OMISSIS)" in mancanza di accertamenti, e rappresentando che il quantitativo di sostanza stupefacente e il "mensile" ricevuti, indicati dal collaboratore, sono troppo esigui per sorreggere l’ipotesi associativa, mentre con riguardo al reato- fine il quantitativo di droga da esso ricorrente ricevuto (trenta grammi di cocaina) è compatibile con l’uso personale della stessa, senza che il collaboratore Gi. abbia aggiunto elementi di riscontro. d.13.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la non sicura e tranquillante affidabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per la narrazione dei fatti secondo logiche personali e per non avere essi riferito attività di esso ricorrente riferibili con certezza alla gestione della droga, e per l’assenza di riscontri, soprattutto con riguardo ai collaboratori ma.gi., Ba. e Gi., "chiamanti in correità impropri".

Nè vi sono, secondo il ricorrente, e segnatamente con riguardo alla posizione del P., indici rivelatori di un’organica partecipazione all’associazione. d.14. I motivi del ricorso di M.S. sono stati esposti unitamente a quelli del ricorso di L.D., ricorrenti congiunti per mezzo dell’avv. Giaquinto. d.15. P.P. ricorre per mezzo dell’avv. Paolo Sperlongano. d.15.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riguardo alla eccepita inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite nell’autovettura in uso Gr.Gi., per violazione dell’art. 271 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 267 c.p.p., comma 2, e art. 268 c.p.p., comma 3.

Secondo il ricorrente, è assolutamente privo di motivazione il decreto del 22 ottobre 2004, che, nel disporre l’attivazione delle linee telefoniche per intercettazioni tra presenti, ha autorizzato, senza neppure motivare le eccezionali ragioni di urgenza, l’esecuzione delle intercettazioni presso la sala ascolto dei Carabinieri di Castello di Cisterna, non essendo sufficiente ad assolvere l’obbligo di motivazione, con riferimento alla indisponibilità degli impianti in uso presso la Procura della Repubblica, come ritenuto dalla Corte d’appello, il riferimento alla certificazione rilasciata dal cancelliere e allegata, e non essendo ammissibili l’operato ricorso ad argomentazioni logiche quanto alla distinzione tra urgenza ed eccezionali ragioni di urgenza, nè la desumibilità dagli atti di queste ultime, nè l’integrazione postuma del contenuto del decreto in sede di merito o di legittimità, alla luce degli interventi di questa Corte, espressi da ultimo a sezioni unite con la sentenza n. 30347 del 2007.

Altro profilo di inutilizzabilità delle intercettazioni sussiste, secondo il ricorrente, per la difformità tra l’autovettura indicata nel decreto autorizzativo convalidato dal G.i.p. il 22 ottobre 2004 e quella oggetto delle intercettazioni, individuata sulla base del decreto del Pubblico Ministero, che aveva disposto che le operazioni di intercettazione avvenissero nell’autovettura, indicata nella nota dei Carabinieri del 2 novembre 2004 come quella acquistata da Gr.Gi., cambiando la precedente.

Ad avviso del ricorrente, che censura la decisione del Giudice di appello che, investito della questione, ha ritenuto irrilevante la modifica dell’auto rispetto al provvedimento autorizzativo originario, non poteva ritenersi indifferente la corretta individuazione del luogo della intercettazione e il suo rapporto con l’attività di acquisizione probatoria da intraprendere.

Altro aspetto della eccezione difensiva riguarda le intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze in uso a Gr.Gi., in ordine alle quali si deduce la mancanza, tra la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero, degli atti e documenti afferenti alla esecuzione delle intercettazioni stesse quanto al luogo dell’ascolto, inizio e chiusura delle operazioni e alle eventuali proroghe. d.15.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la non sicura e tranquillante affidabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per la narrazione dei fatti secondo logiche personali e per non avere essi riferito attività di esso ricorrente riferibili con certezza alla gestione della droga, e per l’assenza di riscontri, soprattutto con riguardo ai collaboratori ma.gi., Ba. e Gi., "chiamanti in correità impropri".

Nè vi sono, secondo il ricorrente, indici rivelatori di una sua organica partecipazione all’associazione. d.15.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’art. 240 c.p., art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 603 c.p.p., deducendo che la motivazione della Corte è stata superficiale nel tratteggiare i rilievi mossi circa il valore dei beni e nel valutare le giustificazioni offerte in merito alla loro acquisizione.

In particolare, la Corte non ha motivato in merito alla richiesta di rinnovazione dibattimentale e alla vincita alla lotteria, ritenuta non provata, nonostante la documentazione prodotta; nè ha disposto la restituzione dei beni sequestrati, non confiscati nè confiscabili, intestati a persone diverse dal ricorrente e allo stesso non riconducibili, nulla avendo provato il Pubblico Ministero;

non ha tenuto conto della necessaria esclusione dalla confisca dei beni acquistati anteriormente ai fatti oggetto del procedimento (1995), e non ha considerato l’irrazionalità della stima incidente sulla possibilità di giustificare la lecita provenienza dei beni. d.16. Pe.An. ricorre per mezzo dell’avv. Michele Basile. d.16.1. Con unico motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 533 c.p.p., comma 1, deducendo che la sua condanna è stata basata solo sulle osservazioni della Polizia Giudiziaria, per l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’acquirente, e che la motivazione è illegittima in quanto manifestamente illogica, non potendo desumersi dall’ingresso del F. nella sua abitazione l’acquisto di stupefacente, che il medesimo poteva già detenere.

La motivazione è, secondo il ricorrente, anche elusiva del criterio normativo fissato dall’art. 533 c.p.p., comma 1, ultima parte, che consente la pronuncia di sentenza di condanna solo se la responsabilità emerga "al di là di ogni ragionevole dubbio". d.17. R.F. ricorre unitamente a L.M.D. per mezzo dell’avv. Claudio Davino.

Attesa l’identità dei motivi, è sufficiente il richiamo ai motivi secondo e terzo, essendo il primo esclusivo del L.M., del ricorso congiunto (sub d.10.4. e d.10.5.), solo rilevandosi che, con il secondo motivo, il ricorrente, condivise le deduzioni generali del coimputato quanto alla valutazione delle fonti di prova in rapporto al reato associativo, censura l’affermata sua responsabilità per detto reato per essere derivata per mero automatismo, con motivazione apparente e acritica, dal suo interesse per altre attività illecite. d.18. S.A. ricorre per mezzo avv. Giuseppe Ciccarelli. d.18.1. Il ricorrente, con unico motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sua responsabilità per il reato associativo di cui al capo S), deducendo che la sua condanna per l’associazione L.M." è del tutto illogica se rapportata alla disposta sua assoluzione per il reato associativo di cui al capo A), tenuto conto della mancanza di intercettazioni telefoniche e di dichiarazioni di collaboratori di giustizia che lo abbiano chiamato in causa e del fatto, risultante dagli atti, che egli si riforniva di sostanza stupefacente "ovunque capitasse". e) La deliberazione. e.1. All’esito della requisitoria del Procuratore Generale e della esposizione da parte dei difensori intervenuti delle loro difese e conclusioni, nei termini riportati in epigrafe, nella pubblica udienza del 26 gennaio 2011, la deliberazione della sentenza è stata differita dal Presidente per la molteplicità delle questioni da decidere, ai sensi dell’art. 615 c.p.p., all’udienza odierna, nel corso della quale, dopo la deliberazione, si è data lettura del dispositivo riportato in calce alla presente sentenza. e.2. In data 16 febbraio 2011 il difensore di Fa.Do. ha depositato brevi note in difesa del detto imputato, a sostegno della nullità della sentenza come prospettata nei motivi del ricorso presentato dal medesimo personalmente, insistendo nell’accoglimento dei motivi.

Motivi della decisione

1. Le note depositate nell’interesse del ricorrente Fa.Do. dopo l’udienza di discussione non possono essere prese in considerazione ai fini della decisione, attenendo il differimento dell’udienza alla sola attività deliberativa di questa Corte sulle conclusioni definitivamente assunte dalle parti, pubblica e private, nella pubblica udienza.

2. La prospettazione nei ricorsi di alcune analoghe censure rende opportuna una trattazione preliminare – rispetto all’esame dei singoli ricorsi – di alcune questioni dibattute con tali analoghe censure.

3. La doglianza avanzata con il primo motivo dei rispettivi ricorsi dagli imputati Gr.Um. e P.P. riguarda l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ambientali eseguite nell’autovettura Golf targata (OMISSIS) in uso a Gr.

G. e a Gr.Um..

Detta eccezione, attinente alla dedotta violazione dell’art. 271 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 267 c.p.p., comma 2, e art. 268 c.p.p., comma 3, già oggetto dei motivi di appello formulati dagli stessi ricorrenti, è stata rigettata dalla Corte di merito per la ritenuta sussistenza di entrambe le condizioni richieste dall’art. 268 c.p.p., comma 3, per derogare alla previsione normativa del compimento esclusivo delle operazioni per mezzo degli impianti installati presso la Procura della Repubblica, e consistenti nella insufficienza o inidoneità degli impianti in dotazione del detto ufficio giudiziario e nella sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza.

3.1. Al riguardo la Corte, sulla base delle emergenze degli atti acquisiti, ha rilevato che:

– il decreto, cui è riferita l’eccezione difensiva, è quello adottato in via di urgenza dal Pubblico Ministero il 21 ottobre 2004 alle ore 17,50, su richiesta motivata del Nucleo Operativo C.C. di Castello di Cisterna in pari data, condividendo e motivando il presupposto dell’urgenza;

– tale decreto, convalidato dal G.i.p,, prevedeva che le operazioni fossero eseguite presso gli impianti della Procura della Repubblica di Roma;

– il decreto di attivazione delle linee telefoniche per intercettazioni tra presenti, emesso dal Pubblico Ministero il 21 ottobre 2004, ha disposto l’esecuzione delle operazioni autorizzate presso la sala ascolto di Castello di Cisterna, senza esplicito riferimento al presupposto della insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti presso la Procura, allo stesso allegandosi una certificazione di pari data dell’Ufficio intercettazioni della stessa Procura, attestante che "a causa di lavori di straordinaria manutenzione in corso presso la sala ascolto di questa Procura della Repubblica in data odierna non vi sono postazioni disponibili per dare esecuzione all’intestato decreto di intercettazione";

– tale allegazione, acquisita dal Pubblico Ministero, era, senza dubbio, da intendere implicitamente richiamata dal decreto dallo stesso emesso, al fine della motivazione in ordine alla impossibilità di eseguire le operazioni per mezzo degli impianti in dotazione della Procura, attestando "del resto" tale richiamo l’interlineatura del riferimento alla ubicazione della sala d’ascolto della "Procura di Napoli" nel decreto e la sua sostituzione con il riferimento a quella di "Castello di Cisterna";

– dalle ragioni di urgenza poste a fondamento del motivato decreto di avvio immediato delle operazioni di intercettazione derivava la conferma della sussistenza delle "eccezionali ragioni di urgenza", legittimanti l’utilizzo di impianti in dotazione della Polizia giudiziaria, nonostante l’omessa distinzione nel decreto tra le ragioni di "urgenza", richieste dall’art. 267 c.p.p., comma 2, e quelle di "eccezionale urgenza", previste dall’art. 268 c.p.p., comma 3;

– era indifferente e irrilevante la modifica dell’autovettura per averne il Gr. acquistata altra dello stesso tipo, poichè già vi era stata l’autorizzazione con riguardo ad autovettura dello stesso.

3.2. Le argomentazioni della Corte, ad avviso del Collegio, non possono essere condivise, innanzitutto, con riferimento alla ritenuta sussistenza del requisito della insufficienza o inidoneità degli impianti in dotazione della Procura, idoneo a consentire, ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, la deroga alla previsione normativa del compimento esclusivo delle operazioni di intercettazione per mezzo degli impianti installati presso la Procura della Repubblica.

3.2.1. Questa Corte ha più volte affermato che sono inutilizzabili gli esiti delle intercettazioni, qualora le conversazioni siano registrate mediante impianti diversi da quelli in dotazione dell’ufficio di Procura senza essere state precedute da un provvedimento autorizzativo, che contenga un apprezzamento del Pubblico Ministero circa l’esistenza attuale ed effettiva delle condizioni di oggettiva insufficienza o inidoneità degli impianti della stessa Procura (Sez. 1^, n. 17939 del 08/04/2010, P.M. in proc. Regina, Rv. 247055; sez. 1^, n. 10399 del 13/01/2010, dep. 16/03/2010, Amendola e altri, Rv. 246353), ritenendosi insufficiente, in particolare, l’attestazione proveniente dal personale addetto alla segreteria del Pubblico Ministero, separata e distinta dal decreto autorizzativo e nello stesso non considerata, anche nel caso in cui lo stesso decreto abbia rimesso la verifica, circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti, alla Polizia giudiziaria delegata alla esecuzione delle operazioni, prospettando l’alternativa possibilità di utilizzare impianti diversi da quelli installati presso gli uffici della Procura, nel caso di indisponibilità di questi ultimi.

Si è, al riguardo, osservato che tale orientamento è conforme ai principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte, che hanno parlato espressamente della "riserva di attribuzione delibativa al pubblico ministero" (Sez. U, n. 2737 del 29/11/2005, dep. 24/01/2006, Campennì, Rv. 232605) e della necessità che dalla motivazione del decreto emerga "l’esistenza di una obiettiva situazione di insufficienza o di inidoneità", ricadente nell’ambito dei poteri di cognizione del pubblico ministero" (Sez. U, n. 919 del 26/11/2003, dep. 19/01/2004, Gatto, Rv. 226487), e all’art. 15 Cost., comma 2, che, nel prevedere che le limitazioni alla segretezza delle comunicazioni possono avvenire "per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge", ha istituito una riserva di giurisdizione oltre che di legge, non aggirabile mediante la delega al controllo di una delle condizioni previste dalla legge alla polizia giudiziaria che effettua le operazioni o agli uffici di segreteria (in tal senso le sentenze di questa sezione prima su richiamate, e, tra le altre, Sez. 4^, n. 26125 del 14/05/2008, dep. 30/06/2008, Capodiferro, Rv. 240782).

Tali principi sono del tutto coerenti con l’ulteriore intervento delle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, dep. 26/07/2007, Aguneche e altri, Rv. 236755), che, ampiamente ricostruendo lo stato normativo e giurisprudenziale in atto, hanno sottolineato, in aderenza alla lettera della previsione normativa e alla ratio che la informa, che, in materia di intercettazioni e avuto riguardo alla rilevanza costituzionale degli interessi protetti, non sono tollerabili "deroghe, scorciatoie, pigrizie o radicali omissioni", e che, in ordine alla motivazione del decreto, reso dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, è rilevante, a prescindere dalle espressioni lessicali usate, la deducibilità dallo stesso dell’iter cognitivo e valutativo seguito e la conoscibilità dei suoi risultati conformi alle prescrizioni di legge, dovendosi pertanto indicare in decreto "i dati materiali e le ragioni che all’autorità giudiziaria hanno fatto ritenere esistente la fattispecie concreta" considerata e la sua corrispondenza alla "fattispecie astratta, che legittima il provvedimento".

Consegue a tali affermazioni che la detta indicazione, pur breve ma effettiva, è compendio ineludibile del provvedimento, e che le condizioni di oggettiva insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura, che legittimano la deroga, "in tanto possono rilevare, in quanto non solo se ne prospetti la reale sussistenza fattuale, ma anche in quanto tale sussistenza sia stata accertata e ritenuta dal magistrato, conseguentemente apprezzata e fatta propria dallo stesso, sia stata valutata nel contesto del contemperamento dei due interessi costituzionalmente protetti", dando conto, con congruo apparato motivazionale, della sussistenza delle condizioni impeditive all’uso degli impianti interni e, quindi, del divisamento espresso di procedere comunque, attraverso le diverse modalità consentite dalla legge, alle operazioni intercettati ve programmate (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, citata).

Anche il potere di integrazione al riguardo, in ogni caso antecedente alla esecuzione delle relative operazioni captative, è, conseguentemente ravvisarle solo in capo al pubblico ministero, appartenendosi solo al magistrato inquirente la delibazione in ordine al quomodo dell’attività intercettativa, senza che alla carenza della motivazione giustificatrice, non resa, in ordine all’adozione di una scelta tecnica nel compimento dell’atto della parte, ancorchè pubblica, possa porre rimedio il giudice, di merito o di legittimità, individuando, nelle rispettive sedi, le effettive ragioni di insufficienza o inidoneità sulla base di atti del processo diversi dal decreto del pubblico ministero e da quelli che lo integrano "per relationem" (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, citata).

3.2.2. La Corte di appello dopo, e il Tribunale prima, non hanno tenuto conto di tali principi, che questo Collegio condivide e riafferma, essendo stato invece confermato, e annotato in sentenza, il dato fattuale che il decreto del Pubblico Ministero, che aveva autorizzato le operazioni di ascolto delle conversazioni intercettate presso la sala ascolto di Castello di Cisterna, non conteneva il riferimento esplicito al presupposto della insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti presso la locale Procura, e che al decreto era allegata la certificazione dell’Ufficio intercettazioni che, nei termini prima detti, attestava l’indisponibilità di postazioni nella sala ascolto della Procura.

Da tale dato fattuale, che questa Corte deve valutare, nell’ambito del controllo demandatole, come la norma richiede, in ordine alla sussistenza di un provvedimento autorizzativo dell’uso di apparecchiature esterne e alla congruità della motivazione dello stesso, che non deve essere limitata al giudizio conclusivo racchiuso nella formula legislativa, risulta che:

– il decreto del Pubblico Mistero è privo di alcuna valutazione in ordine alla esistenza delle condizioni concretanti il requisito della insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura;

– l’attestazione dell’Ufficio intercettazioni della Procura circa l’indisponibilità degli impianti di Procura di pari data è allegata al decreto;

– tale attestazione non è incorporata nè richiamata per relationem nel decreto.

Consegue a tali rilievi fattuali che l’attestazione non può costituire idonea integrazione del decreto, che, nell’omessa sua ricezione e nella carenza motiva di un’attività valutativa ed esplicativa del magistrato in ordine alle condizioni legittimanti diverse modalità delle operazioni autorizzate, appare dallo stesso del tutto sganciata, senza risultare in tal modo oggetto di esame negli aspetti fattuali rappresentati per opera del Pubblico Ministero.

Una conferma della impossibilità di annettere rilevanza integrativa alla indicata attestazione deriva dall’ulteriore dato fattuale, pure annotato in sentenza, riguardante l’interlineatura della indicazione in decreto della ubicazione della sala ascolto presso la Procura di Napoli e la sua sostituzione con quella di Castello di Cisterna, poichè, a prescindere dal momento in cui la stessa è intervenuta e dal suo autore, documenta la rilevata carenza motivazionale del decreto circa le condizioni legittimanti la sua emissione.

3.2.3. La violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, conseguente alla effettuata registrazione delle conversazioni intercettate per mezzo di impianti in dotazione della Polizia, senza un rituale provvedimento autorizzativo del Pubblico Ministero, che abbia proceduto o si sia riferito a una propria constatazione o a un proprio apprezzamento circa l’insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura, ha carattere assorbente, comportando l’impossibilità di utilizzare dette conversazioni, rispetto agli ulteriori profili di inutilizzabilità pure prospettati.

3.3. Con lo stesso primo motivo dei rispettivi ricorsi i predetti imputati Gr.Um. e P.P. hanno avanzato ulteriore doglianza, in merito alla carenza motivazionale della sentenza, con riguardo alle intercettazioni telefoniche, fondata sul rilievo che, a fronte della censura mossa in atto di appello, la Corte non si è pronunciata sulla rappresentata mancanza, tra la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero, degli atti e documenti afferenti alla esecuzione delle intercettazioni stesse quanto al luogo dell’ascolto, inizio e chiusura delle operazioni e alle eventuali proroghe.

La censura è inammissibile per il suo carattere di novità rispetto alle deduzioni prospettate nell’interesse degli stessi imputati nella sede di merito, non risultando la relativa questione dedotta nè con i motivi di appello, il cui contenuto è specificatamente riportato nella sentenza impugnata, nè prima ancora nel corso del lungo dibattimento di primo grado, laddove nell’interesse del solo Gr.Um. è stata formulata la sola deduzione, riguardo alle conversazioni telefoniche, di inutilizzabilità per quelle accidentalmente carpite in ambientale a cornetta alzata, non riproposta nel suo interesse con l’atto di appello.

La censura, peraltro, formulata in modo generico e con riferimento ad atti, che si assumono ignorati o male interpretati, nè allegati nè integralmente trascritti, è in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso, già elaborato dalle Sezioni civili (da ultimo, Sez. 3^, n. 18375 del 07/07/2010, dep. 06/08/2010, Rv.

614390, in motivazione sub 5, non massimata sul punto) e recepito e applicato anche in sede penale con giurisprudenza costante (tra le altre Sez. 1^, sent. 6112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Rv.

243225), e con l’insussistenza per questa Corte di alcun obbligo di ricerca autonoma e diretta degli atti del processo e di accesso "esplorativo" agli stessi.

4. Gli imputati A.N., Ar.Gi., C. A., E.N., Fa.Do., G.F., L. M.D., L.D., Li.Al., M. S., P.P., R.F. e S.A., in via generale o in relazione ai reati loro attribuiti hanno contestato, sotto diversi profili, la violazione delle regole di valutazione della prova con riguardo alle dichiarazioni etera – accusatorie rese dai collaboratori di giustizia, rappresentando il non corretto iter con il quale si è valutata l’attendibilità dei medesimi e delle loro dichiarazioni, e/o contestando la ricorrenza del riscontro individualizzante richiesto a integrazione della indicata prova dichiarativa.

4.1. La sentenza impugnata e la sentenza di primo grado, che ha confermato, con la stessa concordando nell’analisi e nelle valutazioni attinenti al punto in esame, formando un unico complessivo iter argomentativo (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c, Musumeci e altri, Rv. 191229), hanno proceduto, in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte, alla valutazione della attendibilità dei collaboratori D’.An., Gi.An., ma.gi., D. G.R., Pi.Sa., Da.Fa., F. M. e Me.Gi., le cui dichiarazioni hanno ampiamente riportato (si richiamano le parti espositive della presente sentenza relative al compendio probatorio sub b.1., b.2., b.3. e b.4., e le ampie e motivate parti della sentenza di primo grado, laddove si è riferito in merito alla genesi della collaborazione dei vari dichiaranti, alle loro motivazioni personali, al contributo propulsivo dato alle indagini, e alla ricostruzione della genesi, dello sviluppo, della evoluzione e della successione dei contrapposti sodalizi criminosi, e laddove si sono sottolineate circostanze confermative della effettività della collaborazione, tra cui le dichiarazioni confessorie rese in ordine a reati gravissimi, quali omicidi ed estorsioni, per i quali i dichiaranti sono stati giudicati in altri procedimenti, e in ordine ai reati attinenti al traffico di sostanze stupefacenti, per i quali i medesimi sono stati giudicati in altri procedimenti derivati dalla medesima indagine).

Si è, quindi, proceduto alla verifica dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni, evidenziandosi la costanza, specificità, completezza e coerenza delle stesse, e si è affrontata la questione relativa ai riscontri, rappresentati dalle sentenze passate in giudicato quanto alla verifica della sussistenza delle associazioni criminali dedite alla commercializzazione di sostanze stupefacenti, dagli esiti delle numerose operazioni di P.G. riferite dai testi verbalizzanti e concluse con provvedimenti di sequestro, dai servizi di osservazione, pedinamento e controllo, dal contenuto di conversazioni in ambientale e dall’intenso traffico di comunicazioni telefoniche, rimandandosi – in ordine alla verifica dei medesimi – a quanto precisato, nel corpo della motivazione, con riguardo alle posizioni dei singoli imputati, e sottolineandosi la necessità che tali riscontri siano individualizzanti, e, quindi, inequivocabilmente idonei a istituire una stretta correlazione tra il fatto per cui si procede e il soggetto contro cui si procede.

4.2. Se deve, quindi, valutarsi con riferimento alle posizioni dei singoli imputati, che ne hanno fatto oggetto di censura, la correttezza e congruità della motivazione in ordine alla sussistenza e valenza dei riscontri individualizzanti, idonei a collegare il singolo imputato a ogni episodio criminoso a lui contestato, deve rilevarsi che, anche in ragione delle richiamate e condivise motivazioni svolte dal Giudice di primo grado, la sentenza impugnata non sia censurabile in questa sede per quanto concerne la credibilità soggettiva dei collaboratori indicati e l’attendibilità intrinseca delle loro dichiarazioni, poichè in sede di merito è stato seguito il metodo valutativo più volte delineato da questa Corte (per tutte, Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598), sorretto da adeguato e logico apparato argomentativo.

5. Gli imputati A.N., Ar.Gi., C. A., E.N., G.F., L.M. D., La.Ra., Li.Al. e P. P. hanno contestato nei loro ricorsi, con diverse argomentazioni, la riscontrabilità nei fatti degli elementi costitutivi del reato associativo previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. 5.1. Nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che l’appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminoso richiede, oltre all’accertamento dell’esistenza dell’associazione, che suppone – senza la necessità di una distinzione precisa di ruoli – l’accordo di almeno tre persone per commettere più delitti, la verifica del ruolo in essa svolto dal soggetto stesso e delle modalità delle azioni da lui eseguite, tali da porre in rilievo la sussistenza di un vincolo continuativo tra il predetto e l’associazione, la consapevolezza del primo di far parte della seconda e di fornire un valido apporto al perseguimento del programma criminale duraturo, per la cui realizzazione è richiesta la predisposizione di una struttura anche rudimentale con i mezzi necessari per il perseguimento delle finalità illecite (Sez. 1^, n. 34043 del 22/09/2006, dep. 11/10/2006, D’Attis, Rv. 234800).

Anche per la configurabilità dell’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, che si caratterizza, rispetto a quella prevista in via generale dall’art. 416 c.p., per la sua particolare finalizzazione alla commissione di più delitti fra quelli previsti dall’art. 73 del detto D.P.R., non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, bastando l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create per concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo consapevole dei singoli associati (tra le altre, Sez. 6^, n. 1174 del 19/11/2007, dep. 10/01/2008, Stabile, Rv. 238403; Sez. 1^, n. 1849 del 09/12/2008, dep. 19/01/2009, Cucchiarelli, Rv. 242726; Sez. 6^, n. 25454 del 13/02/2009, dep. 17/06/2009, P.G., Mammoliti e altri, Rv.

244520; Sez. 6^, n. 40505 del 17/06/2009, dep. 19/10/2009, Il Grande e altro, Rv. 245282; Sez. 1^, n. 4967 del 22/12/2009, dep. 08/02/2010, Galioto, Rv. 246112).

Ne consegue che, al fine di verificare la sussistenza o meno del detto reato associativo, può essere ritenuto rilevante qualsiasi elemento (tipo, modalità e ambito dei rapporti intrattenuti tra i soggetti; ripartizione dei ruoli fra costoro; disponibilità di mezzi finanziari e strumentali; "apporti" forniti, messi a disposizione o promessi dai singoli al gruppo e agli altri aggregati; forme di copertura e agevolazione dei traffici), dal quale sia desumibile la sussistenza di un preesistente vincolo di aggregazione fra più soggetti, che, anche senza un patto espresso, consenta il perseguimento del programma delinquenziale attraverso il consapevole apporto causale di ognuno.

Sono ritenute condotte agevolative dello svolgimento dell’attività criminosa dell’associazione e apporto causale volontario al raggiungimento del fine del profitto perseguito dalla stessa anche la disponibilità costante del singolo all’acquisto delle sostanze stupefacenti, di cui l’associazione fa traffico, e l’attività di vendita delle stesse ai consumatori, avvalendosi consapevolmente e continuativamente delle risorse dell’organizzazione e con la coscienza di farne parte (tra le altre, Sez. 6^, n. 15740 del 18/03/2003, dep. 03/04/2003, Madaffari, Rv. 226813; Sez. 6^, n. 41717 del 06/11/2006, dep. 20/12/2006, Geraci, R. 235589; Sez. 6^, n. 44102 del 21/10/2008, dep. 26/11/2008, Cannizzo, Rv. 242397).

5.2. I Giudici di merito, in coerente applicazione di tali principi, hanno indicato per ognuno dei sodalizi, la partecipazione ai quali ha formato oggetto delle imputazioni elevate in questo giudizio a carico degli imputati che hanno avanzato la predetta censura, gli elementi in base ai quali doveva ritenersi l’esistenza dei clan Castaldo e La Montagna e la loro finalizzazione anche al traffico di sostanze stupefacenti, congruamente valorizzando per ciascuno, come riportato nella parte espositiva della presente sentenza relativa alle ragioni della decisione (sub c.1.), la complessa, e perdurante nel tempo, attività di rifornimento e vendita di sostanze stupefacenti; la struttura organizzativa volta ad assicurare detti traffici; i legami, i contatti e i rapporti, anche solidaristici, tra gli imputati e con altri separatamente giudicati; la suddivisione dei ruoli, essendo alcuni (i fornitori), che come reggenti si erano succeduti nel controllo del territorio, dediti all’approvvigionamento, al trasporto, al taglio, alla distribuzione e alla cessione della sostanza stupefacente, e altri (i c.d. riforniti), che erano titolari e componenti delle singole "piazze", dediti alla rivendita all’ingrosso e al minuto della stessa, assicurandone al sodalizio lo smercio e, quindi, la continuità e il buon esito dell’attività criminosa; l’assenza del vincolo di subordinazione delle varie identificate "piazze" di spaccio rispetto all’associazione camorristica; il fattivo e consapevole contributo di ognuno al raggiungimento del fine di profitto dell’organizzazione secondo un progetto indeterminato.

5.3. Nè l’indicazione degli elementi probativi della esistenza degli indicati sodalizi, con riferimento a fatti e comportamenti sintomatici della loro organizzazione, ovvero funzionali alla loro operatività, ovvero dimostrativi della consapevolezza dei vari soggetti coinvolti di operare come facenti parte dei medesimi e di operare in vista di un comune fine, presenta alcuna illogicità e , contraddittorietà. 6. Gli imputati Ar.Gi., C.A., E.N. e La.Ra. hanno contestato, nei loro ricorsi, sulla base di deduzioni diverse ma convergenti, la negata riduzione post- dibattimentale della pena ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, e art. 442 c.p.p., in dipendenza dell’infondato diniego di ammissione al rito abbreviato condizionato a suo tempo richiesto.

6.1. Questa Corte ha affermato che, se il rito abbreviato si configura come un diritto dell’imputato che può subordinarne la richiesta a un’integrazione probatoria, il giudice è tenuto in ogni caso ad accertare non solo la rilevanza probatoria della richiesta integrazione ma anche l’indispensabilità della stessa ai fini della decisione e la sua compatibilità con il principio di speditezza processuale (Sez. 4^, n. 20179 del 08/03/2007, dep. 24/05/2007, Toma, Rv. 236612).

Si è anche affermato che, per verificare la compatibilità dell’integrazione probatoria richiesta con le finalità di economia processuale proprie del rito, il giudice deve valutare la complessità qualitativa e quantitativa non solo delle prove richieste dall’imputato, ma anche di quelle a controprova che, presumibilmente, il Pubblico Ministero sarà indotto a chiedere; non può invece tenere conto delle prove che egli stesso potrebbe decidere di assumere ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5, trattandosi di una complicazione istruttoria meramente eventuale, non pronosticabile al momento della decisione sull’ammissibilità del giudizio abbreviato e dipendente non dalle richieste probatorie dell’imputato, ma dall’esito delle prove assunte (Sez. 3^, n. 219 del 21/10/2004, dep. 12/01/2005, Bertelli, Rv. 230915; Sez. 1^, n. 5942 del 26/11/2008, dep. 11/02/2009, Malku, Rv. 243344).

La prova sollecitata dall’imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito può, inoltre, essere considerata "necessaria", quando la stessa, che deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale già raccolto e utilizzabile, risulta indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico- valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della "regiudicanda" (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, dep. 18/11/2004, Wajib, Rv. 229175).

6.2. Discende da tali principi, ad avviso del Collegio, che la valutazione della compatibilità della richiesta probatoria con le finalità del rito speciale deve essere effettuata con giudizio ex ante, in merito alla complessità qualitativa e quantitativa della prova, rapportato al momento della decisione sull’ammissibilità del giudizio abbreviato, e che la necessità della prova, dovendo la stessa essere solo integrativa del materiale probatorio già raccolto e utilizzabile nel giudizio abbreviato, deve essere riferita alla necessità della integrazione probatoria per decidere il detto giudizio, che rimane un giudizio allo stato degli atti.

Appare coerente con detti rilievi la valutazione della Corte, che ha rilevato che, correttamente, era stata rigettata la richiesta di rito abbreviato condizionata all’esame dei collaboratori e alla trascrizione delle intercettazioni, non essendo tali atti istruttori necessari per la celebrazione del richiesto rito, essendovi già agli atti del G.u.p. le dichiarazioni dei collaboratori e i brogliacci relativi alle intercettazioni, utilizzabili per la decisione allo stato degli atti.

6.3. I ricorrenti non si sono rapportati alle valutazioni della Corte.

L’ E. ha, infatti, sostenuto che la richiesta di trascrizione delle conversazioni intercettate richiesta dal Pubblico Ministero in dibattimento ha confermato che lo stesso non avrebbe chiesto la controprova, senza che si sia posto il problema della valutabilità, in sede di abbreviato, delle trascrizioni sommarie, compiute dalla polizia giudiziaria, del contenuto delle conversazioni intercettate (cosiddetti brogliacci), e della necessaria valutazione della prova, con giudizio ex ante, con riferimento al chiesto rito e non con riferimento al giudizio ordinario poi celebrato.

Gli altri ricorrenti Ar.Gi., C.A. e L. R. hanno affermato che l’attività istruttoria svoltasi nel dibattimento ha confermato la definibilità del processo con il rito abbreviato condizionato, la compatibilità dell’assunzione dei mezzi di prova condizionanti la richiesta di rito abbreviato con il fine deflattivo dello stesso, e la loro necessità e decisività, palesatasi in dibattimento ai fini del giudizio.

Si tratta di deduzioni, le prime e le seconde, incongrue rispetto alla decisione che intendevano censurare, generiche nel loro contenuto e incoerenti con i principi normativi in materia, sfociando nella inammissibilità. 7. L’esame dei singoli ricorsi deve, quindi, procedere avendo riguardo alle dette premesse, agli elementi – come sintetizzati nella parte espositiva – ritenuti in sentenza comprovanti la responsabilità degli imputati e ai rilievi difensivi – pure già sintetizzati – espressi con i proposti ricorsi.

8. Ricorso proposto da A.N..

8.1. Quanto al primo motivo (sub d.1.) si rileva, richiamate le considerazioni già svolte in ordine ai rilievi in punto di inosservanza dei criteri di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p. (sub 4) e di insussistenza degli elementi costitutivi del contestato reato associativo (sub 5), che le censure, con le quali si sostiene che la sentenza impugnata non è sorretta da adeguata motivazione e che non è stata data risposta alle deduzioni difensive, non considerano che la Corte d’appello, analizzando le risultanze processuali e rispondendo alle deduzioni oggetto dei motivi di appello, abbia innanzitutto limitato la condanna del ricorrente al reato associativo di cui al capo S), derubricato nella ipotesi della semplice partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, coerentemente giustificando, per detta ipotesi di reato, l’indicazione delle ragioni giustificative della condanna.

La Corte non si è, infatti, sottratta alla conclusiva opera logica di valutazione della ricorrenza – nei confronti del ricorrente – di elementi individualizzanti di responsabilità a completamento della verifica giudiziale delle dichiarazioni dei collaboratori, avendo specificatamente rilevato, dopo averle richiamate nei loro contenuti, che le dichiarazioni dei collaboratori Pi.Sa. e Me.

G., riscontrandosi reciprocamente, erano sufficienti per ritenere il predetto, gestore di una grossa piazza di spaccio, parte integrante dell’associazione L.M..

La valutazione della sufficienza di dette dichiarazioni a trarre gli elementi essenziali della decisione è stata logicamente e congruamente motivata dalla Corte, e tale valutazione consente in questa sede di pervenire al convincimento conclusivo in punto responsabilità del ricorrente, prescindendo dalla conversazione del 28 settembre (rectius: dicembre) 2004 tra Gr.Gi. e Gr.Um., intercettata nell’abitacolo dell’autovettura in uso al primo, dichiarata inutilizzabile (sub 3).

Rispetto a tale conversazione, che la Corte ha richiamato come dato di conforto al compendio probatorio costituito dalla richiamate concordi dichiarazioni dei collaboratori, deve, infatti, rilevarsi la mancanza di peso reale sulla decisione, in coerenza con il criterio di resistenza, affermato da questa Corte e qui condiviso e riaffermato, che impone di controllare, in particolare, la struttura argomentativa della motivazione per stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa, anche senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare l’identico convincimento (tra le altre, Sez. U, n. 4265 del 25/02/1998, dep. 07/04/1998, Gerina, Rv. 210199, non massimata sul punto, v. sub 15;

Sez. 1^, n. 1495 del 02/12/1998, dep. 05/02/1999, Archinà e altri, Rv. 212274; Sez. 5^, n. 569 del 18/11/2003, dep. 12/01/2004, Bonandrini e altro, Rv. 226972; Sez. 6^, n. 10094 del 22/02/2005, dep. 15/03/2005, Ricco e altro, Rv. 231832 Sez. 2^, n. 40381 del 18/10/2005, dep. 07/12/2006, Formoso e altro, Rv. 235303; Sez. 5^, Sentenza n. 37694 del 15/07/2008, dep. 03/10/2008, Rizzo, Rv.

241299).

Consegue a tali considerazioni il rilievo della infondatezza del primo motivo.

8.2. E’ inammissibile il secondo motivo (sub d.1.2.), con il quale il ricorrente si duole del difetto di motivazione in merito alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche e di applicazione della continuazione con altro provvedimento passato in giudicato, deducendo l’emergenza della denunciata omissione dal corpo dell’impugnata sentenza.

Il motivo, non accompagnato dalla rappresentazione delle circostanze ritenute, per la difesa, idonee a una positiva valutazione della condotta e della personalità dell’imputato, e sottoposte al giudice d’appello, e dalla indicazione degli elementi idonei a sorreggere una indimostrata richiesta di applicazione della disciplina della continuazione, si presenta generico e inidoneo a porsi come motivo legittimamente proponibile in questa sede.

8.3. Il ricorso di A.N. deve essere, pertanto, rigettato.

9. Ricorsi proposti da Ar.Gi..

9.1. Il ricorrente con il primo e il secondo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Abet (sub d.2.1. e d.2.2.) censura inosservanza del canone di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p. e omessa motivazione sul punto con riguardo, rispettivamente, alla sussistenza del reato associativo e ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e richiama, ampliandole, tali censure con il primo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.2.4.).

Richiamate le considerazioni già svolte in merito al duplice profilo delle dette censure (sub 4 e sub 5), se ne rileva la manifesta infondatezza.

Le censure svolte, infatti, oppongono alla particolareggiata analisi della posizione del ricorrente, condotta in sede di merito, con la specificazione delle fonti di prova dell’affermata responsabilità per ciascuna partecipazione associativa e per i singoli reati- satelliti (come indicato in fatto sub c.5.2.) e con la specifica valutazione delle condotte in rapporto alle emergenze probatorie, doglianze di omessa esplicitazione delle ragioni giustificative della decisione; di carenza del quadro probatorio in rapporto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e al contenuto delle conversazioni intercettate, ritenuto criptico e invece neutro, o quantomeno equivoco, riferito a una lecita attività di cantante e reso incomprensibile dalla estrapolazione delle frasi dal contesto, e di genericità degli episodi contestati, non collocati nel tempo e non rapportati ad acquisti quantitativamente definiti di stupefacente.

Si tratta di doglianze che, attraverso la formale deduzione di vizi di legittimità, propongono sostanziali censure di merito, volte a ottenere una diversa valutazione delle questioni di fatto, in esse compresa l’interpretazione del linguaggio, anche criptico o cifrato, adoperato dai soggetti intercettati, già esaminate dalla Corte di merito, che le ha ritenute, con valutazione congrua e ragionevole, idonee a comprovare la responsabilità del ricorrente per i singoli reati contestati.

Esula, però, dai poteri di questa Corte la rilettura, che si propone, degli elementi di conoscenza apportati dal materiale probatorio del processo, in un’alternativa, e non esclusiva sua diversa analisi valutativa, estranea, per sua natura, al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità. 9.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.2.5.), che riguarda la negata riduzione post-dibattimentale della pena in dipendenza dell’infondato diniego di ammissione al rito abbreviato condizionato a suo tempo richiesto.

Si tratta di una censura in ordine alla quale valgono i rilevi già formulati in premessa sulla questione e sulla specifica deduzione difensiva (sub 6).

9.3. Del tutto infondati sono il terzo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Abet (sub d.2.3) e il terzo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.2.6), attinenti al trattamento sanzionatorio.

Appare, invero, generica l’affermazione difensiva della eccessività della pena e dell’aumento per la continuazione e della insufficienza della motivazione quanto alla dosimetria della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, poichè la Corte ha congruamente motivato le ragioni della quantificazione della pena, in rapporto ai criteri di cui all’art. 133 c.p., e ha del tutto legittimamente ritenuto ostativa al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche l’estrema gravità dei fatti in contestazione, trattandosi di parametro considerato dall’art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell’art. 62 bis c.p., a fronte del quale i ricorsi non hanno evidenziato alcun significativo elemento di segno opposto, non considerato.

9.4. Consegue agli svolti rilievi la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Ar.Gi..

10. Ricorso proposto da C.A..

10.1. Le censure svolte con il primo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.3.1.) e con l’unico motivo del ricorso presentato personalmente (sub d.3.4.) attengono ai criteri di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p., che si assumono non osservati, e alla sussistenza del reato associativo e dei reati-satelliti contestati, che si assume contrastata dalla imposizione, a mezzo minacce, degli acquisti di droga, rappresentandosi la dedotta imposizione come dimostrativa della estraneità e della terzietà al sodalizio.

Anche per il C. vale il richiamo alle considerazioni già svolte in via preliminare, quanto ai criteri di valutazione probatoria delle chiamate in correità (sub 4), e quanto ai caratteri dell’associazione dedita al narcotraffico, e all’analisi, congrua in rapporto alle risultanze processuali e coerente con i principi di diritto espressivi dell’orientamento costante di questa Corte, condotta in sede di merito (sub 5).

A fronte dell’articolata motivazione della sentenza impugnata, che ha condiviso nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova, posti a fondamento della decisione, la struttura motivazionale della sentenza del precedente grado, nel contempo rispondendo alle deduzioni della difesa, che aveva opposto il carattere coartato, a mezzo minacce, degli acquisti di sostanza stupefacente, antitetico alla libera e volontaria adesione e contribuzione al clan dominante nei periodi che si sono succeduti, il ricorrente ha ribadito l’assenza di una sua condotta partecipativa e di una sua appartenenza all’uno e all’altro clan per la sua terzietà rispetto al vincolo associativo in dipendenza del determinante uso delle minacce a suo carico.

Si tratta di deduzioni destituite di fondamento.

Esse trascurano di considerare il ruolo rivestito dal ricorrente quale acquirente stabile di sostanza stupefacente dai Ca., nel periodo in cui gli stessi avevano dominato fino al settembre 2004, e poi da L.M., che aveva a sua volta acquisito il monopolio della droga, emerso univocamente dalle plurime fonti di prova indicate in sentenza (collaboratori di giustizia, servizi di appostamento, controllo e perquisizione), e omettono di tener conto dei dati probatori afferenti agli episodi specifici contestati, rappresentati dalle specifiche risultanze delle conversazioni telefoniche intercettate, pure riportate in sentenza.

Nè possono essere prese in considerazione in questa sede la proposta lettura della conversazione del 17 ottobre 2003, oggetto di intercettazione ambientale, intercorsa tra il ricorrente e il coimputato L.M., come contenente (nella espressione "fate i bravi") una minaccia da parte di quest’ultimo, piuttosto che una esortazione, e la proposta rilettura per stralci di più ampie e articolate dichiarazioni dei collaboratori, essendo estranea alla funzione istituzionale demandata a questa Corte la possibilità di sindacare direttamente la valutazione dei fatti e degli elementi probatori, logicamente compiuta dal Giudice di merito in rapporto al contesto probatorio in cui i detti fatti ed elementi sono inseriti.

10.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.3.2.), che riguarda la negata riduzione post-dibattimentale della pena in dipendenza dell’infondato diniego di ammissione al rito abbreviato condizionato a suo tempo richiesto.

Si tratta di una censura in ordine alla quale valgono i rilevi già formulati in premessa sulla specifica questione (sub 6), nessun elemento diverso e specifico essendo stato prospettato dal ricorrente.

10.3. Del tutto infondato è il terzo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.3.3), che attiene al trattamento sanzionatorio.

E’ generica, infatti, l’affermazione della eccessività della pena e dell’aumento per la continuazione e della insufficienza della motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondata sulla sola deduzione dell’omessa valutazione della limitazione del quadro indiziario a carico del ricorrente a due sole telefonate allo stesso non riconducibili, laddove, come è univocamente emerso, la piattaforma probatoria è risultata molto più consistente.

10.4. Il ricorso di C.A. deve essere, pertanto, rigettato.

11. Ricorso proposto da E.N..

11.1. Il primo motivo (sub d.4.1.), relativo alla inutilizzabilità dei risultati delle conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza in uso al ricorrente e a G.F., fondata sull’assunto che l’intercettazione eseguita a cornetta alzata ha comportato un’indebita violazione della privacy degli interlocutori della utenza intercettata, è infondato.

Questa Corte ha affermato più volte che, nel caso di intercettazione telefonica "a cornetta sollevata", sono utilizzabili le registrazioni dei colloqui tra presenti, casualmente ascoltati nel corso di intercettazione telefonica ritualmente autorizzata, anche prima dell’inizio della conversazione telefonica, senza che possa profilarsi un’indebita violazione della privacy, poichè il comportamento degli interlocutori, che lasciano il ricevitore alzato, fa sì che la loro conversazione, altrimenti percettibile solo attraverso una intercettazione ambientale, viaggi liberamente lungo la rete telefonica, rimanendo scoperta dal punto di vista della segretezza (Sez. 2^, n. 4442 del 16/12/2008, dep. 02/02/2009, Celmeta e altri, Rv. 244044; Sez. 4^, n. 7677 del 13/01/2010, dep. 25/02/2010, Rungi e altri, Rv. 246849).

Il ricorrente, che non ha tenuto conto di tali principi, condivisi dal Collegio, non ha neppure, nel formulare l’eccezione, indicato specificatamente le conversazioni oggetto di censura, nè in generali i riferimenti spazio-temporali della formulata eccezione.

11.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo (sub d.4.2.), che riguarda la negata riduzione post-dibattimentale della pena in dipendenza dell’infondato diniego di ammissione al rito abbreviato condizionato a suo tempo richiesto.

Si tratta di una censura in ordine alla quale valgono i rilevi già formulati in premessa sulla specifica questione (sub 6), nessun elemento diverso e specifico essendo stato prospettato dal ricorrente.

11.3. Destituito di fondamento è il terzo motivo (sub d.4.3.), con il quale, reiterate le contestazioni relative alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori e alla ritenuta apprezzabilità delle condotte sotto il profilo della condotta associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e dei reati di cui all’art. 73 dello stesso decreto, si deduce la non tranquillante affidabilità delle prime e l’insussistenza della seconda.

Nel richiamarsi le argomentazioni già svolte, in relazione alle contestazioni di carattere generale, in punto valutazione della prova e sussistenza del sodalizio criminoso (sub 4 e 5), e nel ribadirsi la legittimità e la logicità del discorso giustificativo delle decisioni di merito, va rilevata la congruità della motivazione della sentenza impugnata.

La Corte, ricostruendo gli elementi probatori a carico del ricorrente, ha desunto la sussistenza del vincolo associativo in capo al medesimo dall’accertata gestione da parte sua di una piazza di spaccio e dall’accertato suo ruolo di acquirente stabile di cocaina, che spacciava in casa, prima dai Ca. e poi da L.M., e ha tratto il fondamento della responsabilità del medesimo per i singoli delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commessi nel periodo di operatività del clan La Montagna, dal suo coinvolgimento in specifici episodi, dettagliatamente ricostruiti alla pari dell’attività di partecipazione ai due clan malavitosi, sulla scorta di plurimi dati probatori, senza omettere la logica valutazione della deduzione difensiva, ribadita in ricorso, in merito al riferimento del collaboratore Pi. agli arresti domiciliari dello stesso ricorrente 2005, o nel settembre 2005. 11.4. Il ricorso dell’imputato deve, conclusivamente, essere rigettato.

12. Ricorso proposto da F.C..

12.1. Il primo motivo (sub d.5.1.), con il quale si lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è manifestamente infondato.

Tale rilievo è direttamente conseguente all’accertamento delle condotte delittuose, concernenti sostanze stupefacenti, riferibili al ricorrente, rilevato dalla Corte di appello, che, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D’.An., riscontrate da quelle dei collaboratori Pi.Sa., Da.Fa. e Fr.Mi., ha ricostruito il ruolo del medesimo quale palo e quale spacciatore nella piazza mpont o vico, e, in relazione alla ingente quantità di stupefacente spacciato in quella piazza e alla organizzazione dello stesso, descritte in entrambe le sentenze di merito, ha tratto coerenti e logiche conclusioni in ordine alla esclusione della predetta attenuante, già riconosciuta in primo grado.

12.2. Palesemente infondato è anche il secondo motivo (sub d.5.2.), che attiene al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che si assume illegittimo e non motivato.

La Corte ha correttamente considerato, quali parametri negativi, la gravità delle modalità dei fatti e la personalità negativa dell’imputato, tratta dai precedenti penali e giudiziari, ritenuti all’evidenza sufficienti per il giudizio da compiersi, atteso il carattere ostativo espresso da detti elementi.

Nè il ricorrente ha indicato decisivi, concreti e specifici elementi positivi di valutazione, non considerati.

12.3. Consegue agli svolti rilievi la declaratoria di inammissibilità del ricorso di F.C..

13. Ricorsi proposti da Fa.Do..

13.1. Le censure, formulate con i motivi unici dei due ricorsi, presentati l’uno per mezzo dell’avv. Sorbo (sub d.6.1) e l’altro dal ricorrente personalmente (sub d.6.2.), attengono alla condanna, disposta in secondo grado, per episodi specifici di spaccio, contestati ai capi P) e U), e sono manifestamente infondate.

Nel l’afferma re la responsabilità del ricorrente per detti reati- fine, con assoluzione per i reati associativi, la Corte ha rilevato che lo stesso, non titolare, a differenza del genero C. A., di una propria piazza, aveva tenuto specifiche condotte di spaccio, acquistando la sostanza stupefacente, per ciascuno dei contestati reati, rispettivamente dai Ca. e dal L. M., e ha tratto elementi probatori dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’.An., Pi.Sa., Gi.An. e Da.Fa..

Non può che richiamarsi quanto già detto in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori nella premessa (sub 4), e rilevarsi che, a fronte delle argomentazioni della Corte coerenti con la lettura del contenuto delle medesime, risultate concordi circa l’individuazione dell’attività di spaccio effettuata dal ricorrente, le deduzioni difensive sono manifestamente infondate, sia nella parte in cui oppongono l’inattendibilità dei collaboratori, la mancanza di riscontri alle loro dichiarazioni e la mancanza del loro carattere individualizzante, trascurando il riscontro reciproco delle medesime confluenti proprio sulla persona del medesimo; sia nella parte in cui oppongono l’incompatibilità della condanna per i reati-fine con l’assoluzione per il reato associativo, in contrasto con i principi che presiedono alla configurazione della condotta partecipativa; sia nella parte in cui deducono la posteriorità dell’arresto del medesimo, avvenuto il 20 giugno 2005 nella flagranza del reato di spaccio, al tempus commissi delicti, non considerando che tale richiamo non è alla base dell’affermazione della responsabilità, fungendo da riscontro a dichiarazioni già ritenute concordanti e reciprocamente riscontrate.

13.2. Il ricorso di Fa.Do. deve essere, pertanto dichiarato inammissibile.

14. Ricorso proposto da G.F..

14.1. In ordine ai rilievi che attengono alla inosservanza dei criteri di valutazione della prova in relazione al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e ai delitti di cui all’art. 73 dello stesso decreto, sviluppati rispettivamente con il primo e il secondo motivo (sub d.7.1. e d.7.2.), si osserva, richiamate le considerazioni già svolte in premessa (sub 4 e sub 5), che le censure di genericità rivolte alle dichiarazioni dei testi della P.G. e di irrilevanza dell’attività captativa al fine della prova del reato associativo, pregiudicato anche dalle dichiarazioni negative del collaboratore ma.gi., dalla mancata valutazione dell’attendibilità delle chiamate in correità, e dall’assenza di contatti con i fornitori e con coimputati diversi da E.N. e La.An., e le censure volte a limitare il contenuto delle conversazioni intercettate alla organizzazione di un incontro con il La. e a contestarne il ritenuto riferimento a operazioni di cessione di sostanza stupefacente, non tengono conto delle acquisizioni probatorie.

Tali acquisizioni, infondatamente minimizzate, evidenziano, infatti, non solo la gestione di una piazza di spaccio da parte del ricorrente, unitamente al coimputato E.N., ma anche l’ingresso del medesimo nel clan La Montagna, e le inequivoche, e totalmente trascurate, emergenze dei servizi di ascolto e degli accertamenti di Polizia giudiziaria che li hanno accompagnati, culminati nel sequestro di droga (pari a trentuno grammi di cocaina) a carico del ma., il cui viaggio il ricorrente ha contribuito a organizzare.

14.2. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo (sub d.7.3.), con il quale si censura come erronea la valutazione della Corte d’appello, che ha ritenuto il fattore organizzativo ostativo alla concessione dell’invocata attenuante ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, eccependo che il detto fattore è normativamente previsto dall’art. 74, comma 6, dello stesso decreto.

L’infondatezza del motivo discende dal rilievo che il D.P.R. n. 309 del 1990, art.74, comma 6, si riferisce all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, "costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73", con la conseguente possibilità di configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo, e che la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, il cui apprezzamento è demandato al giudice di merito, attraverso la valutazione congiunta del dato quantitativo e qualitativo della sostanza e degli altri parametri richiamati dalla norma, mezzi, modalità e circostanze dell’azione (tra le altre, Sez. 6^, n. 25988 del 29/05/2008, dep. 27/06/2008, P.M. in proc. Lataj, Rv. 240569; Sez. 6^, n. 29250 del 01/07/2010, dep. 26/07/2010, Moutawakkil, Rv. 249369; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, dep. 05/10/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911).

Nella specie, la Corte ha valorizzato la circostanza che lo spaccio attuato dal ricorrente non potesse essere considerato di lieve entità, avendo verificato, rispetto ai fatti in contestazione, che era "ben organizzato" e tale valutazione, che attiene alle modalità e ai mezzi dell’azione, appare immune da vizi logici o giuridici, e come tale incensurabile in questa sede.

14.3. Il ricorso di tale imputato deve, quindi, essere rigettato.

15. Ricorso proposto da Gr.Gi..

15.1. Il ricorso deve essere accolto per il rilievo, assorbente rispetto alle censure mosse con il ricorso, della inutilizzabilità delle conversazioni tra presenti, intercettate all’interno dell’autovettura Golf targata (OMISSIS) in uso a Gr.Gi. e a Gr.Um. dal 18 novembre 2004 al 28 dicembre 2004.

La rilevata inutilizzabilità nei termini argomentati in premessa (sub 3) deve essere, nella specie, rilevata d’ufficio, in mancanza di deduzione della parte, non rientrando la relativa sanzione tra le questioni lasciate nella disponibilità esclusiva delle parti (Sez. 3^, n. 32530 del 06/05/2010, dep. 01/09/2010, H. e altri, Rv.

248220).

15.2. Procedendo dal rilievo che tali conversazioni hanno fatto parte del compendio probatorio utilizzato dal Tribunale prima e dalla Corte dopo, unitamente agli altri elementi, per pervenire rispettivamente all’affermazione della responsabilità penale del ricorrente e alla sua conferma, è consequenziale la considerazione della necessità della rivalutazione della posizione dell’imputato, alla luce degli elementi di prova acquisiti, depurati di quelli, suindicati, dichiarati inutilizzabili.

Tale verifica di resistenza delle altre prove, che implica un giudizio di merito e un confronto con le ragioni delle parti, con il ragionamento del primo giudice e con le risultanze processuali, è demandato al Giudice di merito, che ha la disponibilità degli atti.

15.3. Consegue l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza nei confronti del ricorrente, restando allo stato assorbite le ulteriori doglianze dallo stesso sviluppate.

16. Ricorso proposto da Gr.Um..

16.1. Le censure svolte con il primo motivo (sub d.9.1.), attinenti alla dedotta inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ambientali, eseguite all’interno dell’autovettura Golf targata (OMISSIS) in uso Gr.Gi., e alla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze in uso a quest’ultimo, sono state esaminate in premessa (sub 3), e le argomentazioni svolte nel senso della fondatezza della prima censura e della inammissibilità della seconda, vanno integralmente richiamate in questa sede.

16.2. Tanto premesso, si rileva che il ricorrente, in rapporto alla rilevata inutilizzabilità dei risultati delle dette intercettazioni ambientali, si trova nella stessa posizione processuale di Gr.

G..

Anche la responsabilità di Gr.Um. in ordine al reato continuato contestato ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. e in ordine ai suoi rapporti con il clan La Montagna sono stati, invero, ritenuti comprovati anche dalle conversazioni intercettate nell’abitacolo della predetta autovettura.

16.3. Al rilievo che la sentenza impugnata ha tratto unitari elementi di valutazione dal materiale probatorio acquisito, conferendo significativo rilievo alle conversazioni da ritenere inutilizzabili secondo i criteri detti unitamente agli altri elementi probatori, consegue che non può che essere affidata al Giudice di merito, anche per la posizione del ricorrente, la verifica della resistenza delle altre prove e delle intercettazioni telefoniche, ritualmente acquisite, al fine della valutazione della responsabilità del medesimo.

16.4. Nei confronti del ricorrente la sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio alla Corte di merito.

Rimangono assorbiti allo stato i restanti motivi (sub d.9.2. e sub d.9.4.), valendo, tuttavia, per il motivo attinente alla negata riduzione post-dibattimentale della pena ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, e art. 442 c.p.p. (sub d.9.3.) i profili di inammissibilità rilevati in premessa (sub 6).

17. Ricorsi proposti da L.M.D..

17.1. Il primo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Giaquinto (sub d.10.1.) e il primo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Davino (sub d.10.3.), che attengono alla dedotta violazione del divieto di precedente giudicato in dipendenza della già intervenuta assoluzione del ricorrente per l’imputazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, contestata fino al maggio 2004, fondata sulle dichiarazioni degli stessi collaboratori e sulle precedenti intercettazioni ambientali, sono infondati.

17.1.1. Questa Corte ha costantemente affermato che il principio generale del ne bis in idem, di cui sono espressione gli artt. 649 e 669 c.p.p., al pari delle norme sui conflitti positivi di competenza (artt. 28 c.p.p. e ss.), tende a evitare che per lo stesso fatto- reato si svolgano più procedimenti contro la stessa persona e si emettano più provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendente dall’altro, e a porre rimedio alle violazioni del principio stesso (Sez. 6^, n. 31512 del 25/02/2002, dep. 20/09/2002, P.M. in proc. Sulsenti, Rv. 222736; Sez. 1^, n. 24017 del 30/04/2003, dep. 30/05/2003, Morteo, Rv. 225004).

Ai fini della preclusione connessa al predetto principio, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, dep. 28/09/2005, P.G. in proc, Donati e altri, Rv.

231799; Sez. 1^, n. 19787 del 21/04/2006, dep. 09/06/2006, Marchesini, Rv. 234176; Sez. 2^, n. 21035 del 18/04/2008, dep. 27/05/2008, Agate e altri, Rv. 240106; Sez. 5^, n. 16703 del 11/12/2008, dep. 20/04/2009, Palanza e altri, Rv. 243330; Sez. 4^, n. 48575 del 03/12/2009, dep. 18/12/2009, Bersani, Rv. 245740; Sez. 2^, n. 26251 del 27/05/2010, dep. 09/07/2010, Rapisarda e altri, Rv.

247849; Sez. 5^, n. 28548 del 01/07/2010, dep. 20/07/2010, Carbognani, Rv. 247895).

E’ stato anche più volte affermato che la struttura dell’associazione per delinquere non è, di per sè, incompatibile con la contemporanea adesione di uno stesso soggetto a più sodalizi criminosi, soprattutto quando l’adesione ai diversi organismi delinquenziali s’inquadri in più ampie strategie di gruppi di criminalità organizzata, volte a stabilire alleanze per rendere più capillare e saldo il controllo del territorio oppure a strutturare l’operatività delle associazioni in modo più funzionale, dinamico e tattico rispetto alle esigenze di gestione e di predominio esclusivo delle attività illecite (tra le altre, Sez. 1^, n. 44860 del 05/11/2008, dep. 02/12/2008, Ficara, Rv. 242197).

Pertanto, in tema di associazione a delinquere, il "fatto" è diverso, quando il soggetto faccia parte, in coincidenza temporale, di due distinti organismi criminosi, quando la condotta prosegua o riprenda in epoca successiva a quella accertata con la sentenza di condanna (Sez. 3^, n. 15441 del 13/03/2001, dep. 12/04/2001, Migliorato, Rv. 219499), qualora vi sia protrazione di una qualsivoglia attività, che risponde ai bisogni di un sodalizio criminoso, oltre la data indicata come terminativa di essa in una precedente sentenza di condanna (Sez. 1^, n. 11344 del 10/05/1993, dep. 11/12/1993, Algranati e altri, Rv. 195765), quando una delle associazioni sia costituita con il consenso dell’altra e operi sotto il suo controllo (Sez. 6^, n. 1793 del 03/06/1993, dep. 11/02/1994, De Tommasi e altri, Rv. 198568) oppure sia a questa legata da vincolo federativo (Sez. 2^, n. 17746 del 30/01/2008, dep. 05/05/2008, Trimboli, Rv. 239768), potendo verificarsi anche nel campo dell’economia criminale, come nell’ambito delle attività lecite, che un soggetto sia contemporaneamente socio di più società (Sez. 1^ n. 25757 del 05/06/2008, dep. 25/06/2008, Micheletti, Rv. 240470), perchè, non potendosi far ricorso, in materia di associazioni criminali, al criterio civilistico della personalità giuridica, è sempre e comunque la singola persona fisica quella alla quale può e deve addebitarsi (sussistendone, ovviamente, le condizioni di fatto) la duplice e distinta partecipazione, anche in coincidenza temporale, ai due distinti organismi criminosi (Sez. 1^ n. 6410 del 13/01/2005, dep. 18/02/2005, Serraino, Rv. 230831).

17.1.2. Alla luce di detti principi, condivisi dal Collegio, è indubbio che, in presenza di più gruppi cui il medesimo soggetto abbia prestato adesione, l’accertamento dell’esistenza di un’unica associazione o di distinte organizzazioni criminali – in assenza di documentati rapporti contrattuali – è questione di fatto che va risolta mediante l’esame di indici materiali congruamente apprezzati in base alle regole di esperienza.

Nel caso di specie, la valutazione del Giudice di merito è ragionevole, poichè la non sovrapponibilità delle due contestazioni di condotta partecipativa a sodalizi dediti al narcotraffico è stata affermata, sulla base di dati fattuali, in ragione di convergenti dati sintomatici, rappresentati dalla diversità dei correi nei due procedimenti, incidente sulla diversità dell’organigramma associativo; dalla mancanza di qualunque riferimento, nella sentenza assolutoria esecutiva, alle piazze di spaccio; dalla sostanziale non collimanza con riferimento al tempus commissi delicti; dalla diversità delle fonti di prova e del loro spessore probatorio.

Le doglianze del ricorrente, che tendono a opporre censure in punto di fatto e un’alternativa lettura di dati fattuali e valutazione della loro rilevanza (con riguardo ai fatti contestati, ai partecipi, ai tempi delle contestazioni, alle fonti di prova), sono estranee alla previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, e, pertanto, inammissibili in questa sede ai sensi del terzo comma dello stesso articolo.

17.2. Quanto al secondo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Giaquinto (sub d.10.2.) e al secondo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Davino (sub d.10.4.), che attengono alla inosservanza dei criteri di valutazione della prova in relazione al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, devono richiamarsi e confermarsi le considerazioni già svolte in premessa (sub 4 e sub 5).

Rispetto al ricorrente rilevano, tuttavia, per l’incidenza che la conversazione intercettata del 28 dicembre 2004, intercorsa tra Gr.Gi. e Gr.Um. all’interno dell’autovettura Golf targata (OMISSIS), ha avuto nella ricostruzione del compendio probatorio, anche le considerazioni già svolte (sub 3) a fondamento della rilevata inutilizzabilità delle conversazioni intercettate nella detta autovettura.

A tale inutilizzabilità, che, per quanto detto (sub 15.1.), va rilevata anche di ufficio in mancanza di deduzione della parte, consegue la necessità della rivalutazione, per opera del Giudice di merito, della posizione del ricorrente avendo riguardo agli altri elementi di prova e alla verifica della loro valenza, prescindendo dalla conversazione inutilizzabile, a collegare al ricorrente i fatti contestatigli.

18.3. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata nei confronti del ricorrente con rinvio al Giudice di merito per nuovo giudizio, restando allo stato assorbita la doglianza relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche (sub d.10.5.).

19. Ricorsi proposti da L.D. e da M.S..

19.1. Con l’unico motivo del ricorso congiunto (sub d.11-14.1) i ricorrenti hanno contestato promiscuamente violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento del fatto in ordine all’attendibilità intrinseca ed estrinseca, per mancanza di riscontri, del collaboratore di giustizia D’.An..

I lamentati vizi, al di là della formale contestazione, si sostanziano in generiche censure, per le quali vanno richiamate le considerazioni già svolte in premessa (sub 4) e va ribadita la manifesta infondatezza, anche sul rilievo dell’aspecificità delle doglianze, per la loro omessa individualizzazione alle posizioni dei ricorrenti, quali definite nella sentenza impugnata senza la dedotta limitazione alla sola chiamata in correità del collaboratore D’..

19.2. Il ricorso degli imputati deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.

20. Ricorso proposto da La.Ra..

20.1. Il ricorrente con il primo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Abet (sub d.12.1.) e con il primo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.12.4.) censura inosservanza del canone di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p. e omessa motivazione sul punto con riguardo alla sussistenza del reato associativo di cui al capo S).

Di tali doglianze deve rilevarsi, richiamate preliminarmente le considerazioni già svolte in premessa (sub 4 e sub 5), la manifesta infondatezza.

L’analisi della posizione del ricorrente, condotta dalla sentenza impugnata in stretta relazione a quella di Ar.Gi., suo suocero per averne sposato l’unica figlia, ha riguardato la confluenza sul medesimo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’.An. e Pi.Sa., il cui contenuto e il logico reciproco riscontro hanno formato oggetto di analisi e di valutazione congrua e ragionevole da parte dei Giudici dei due gradi del giudizio.

In tale contesto non possono, pertanto, trovare accoglimento le prospettazioni difensive, dirette a impegnare questa Corte, attraverso la manifestazione di un diffuso dissenso di merito rispetto alla pronuncia di condanna, in una rilettura delle singole circostanze, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, essendo, invece, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato rigorosamente circoscritto – per espressa previsione normativa – a verificare che la pronuncia impugnata sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non puramente assertive o palesemente incongrue e prive di logica razionalità. 20.2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Abet (sub d. 12.2-3) sono estranei, come già rilevato, alla posizione del ricorrente, riguardando invece la posizione di Ar.Gi., che ha presentato ricorso congiunto.

20.3. Manifestamente infondato è il secondo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.12.5.), che riguarda la negata riduzione post-dibattimentale della pena in dipendenza dell’infondato diniego di ammissione al rito abbreviato condizionato a suo tempo richiesto.

Si tratta di una censura in ordine alla quale valgono i rilevi già formulati in premessa sulla questione e sulla specifica deduzione difensiva (sub 6).

20.4. Del tutto infondato è anche il terzo motivo del ricorso presentato per mezzo dell’avv. Toraldo (sub d.12.6), attinente al trattamento sanzionatorio attesa l’assoluta genericità delle deduzioni che, rapportando la censura alla omessa considerazione della limitatezza del quadro indiziario basato su due telefonate non riconducibili al ricorrente, non solo non hanno rappresentano elementi positivi di valutazione, ma hanno prescisso dalle valutazioni della sentenza impugnata, che dalla ritenuta liceità del contenuto delle due conversazioni telefoniche ha tratto elementi per assolvere l’imputato dai reati-fine contestati.

20.5. Alla stregua di quanto detto i ricorsi proposti dall’imputato devono essere dichiarati inammissibili.

21. Ricorso proposto da Li.Al..

21.1. Il primo motivo (sub d.13.1.) è sostanzialmente insussistente, essendo stata meramente asserita l’inutilizzabilità delle conversazioni telefoniche intercettate senza alcuno sviluppo motivo.

21.2. Le censure svolte con il secondo motivo (sub d.13.2.) attengono alla contestata sussistenza di elementi idonei a sorreggere l’ipotesi associativa contestata, sotto il duplice profilo della mancanza di riscontro, nelle dichiarazioni del teste Mu., in merito alle dichiarazioni del collaboratore D’. che l’ha indicato come "(OMISSIS)" e della incompatibilità del quantitativo di sostanza stupefacente e del "mensile" ricevuti con l’ipotesi associativa inquadrata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. 21.2.1. La Corte d’appello, nell’esame della posizione del ricorrente, ha analizzato specificatamente le dichiarazioni del collaboratore D’. – che aveva identificato il medesimo come lo (OMISSIS), che gli faceva ordini per telefono e al quale era versata una somma mensile (trecento-quattrocento Euro) arrotondata con consegna di cocaina, in rapporto al contenuto delle conversazioni telefoniche dallo stesso intrattenute con la fidanzata e con lo stesso ricorrente, alle dichiarazioni del teste Mu. quanto al numero dell’utenza dal medesimo utilizzata per comunicare con il collaboratore, alla sua auto-identificazione telefonica e alla sua sottoposizione (documentalmente riscontrata) alla misura degli arresti domiciliari, e alle dichiarazioni del teste an. quanto alla condotta verifica dell’esistenza della parente detta (OMISSIS).

Tali risultanze, unitamente alle dichiarazioni del collaboratore ma.gi., alla frequenza delle conversazioni telefoniche e al loro contenuto riferito a ripetuti contatti del ricorrente con il fornitore, sono state coerentemente e logicamente ritenute tali da correlare il ricorrente al contestato suo stabile inserimento nel sodalizio dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti.

21.2.2. In tale contesto, sono manifestamente infondate le censure svolte, che sostanzialmente prospettano diverse valutazioni del ricorrente sugli elementi esaminati e trascurano la sussistenza e la particolare natura del riscontro individualizzante, che può riferirsi a elementi di qualsiasi tipo e natura (anche di ordine puramente logico), oltre alla non richiesta sua autonoma valenza probante, dovendo lo stesso – di regola – solo corroborare e completare la prova costituita dalle affermazioni etero – accusatorie del collaboratore.

La deduzione della compatibilità del quantitativo di droga ricevuto con l’uso personale della stessa, riferita alla contestazione del reato-fine, è una ulteriore rappresentazione di circostanza di fatto, logicamente valutata dalla Corte di merito che l’ha esclusa, avuto riguardo ai quantitativi rilevanti, dopo l’indicazione specifica degli elementi di conoscenza valutati, non sindacabili in questa sede di legittimità. 21.3. Con il terzo motivo (sub d.13.3.), reiterate le contestazioni relative alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori e alla ritenuta apprezzabilità delle condotte sotto il profilo della condotta associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e dei reati di cui all’art. 73 dello stesso decreto, si deduce la non tranquillante affidabilità delle prime e l’insussistenza della seconda.

Le censure svolte, manifestamente infondate alla stregua delle considerazioni già svolte in premessa (sub 4 e 5), sono anche del tutto generiche.

Esse, infatti, non sviluppano argomentazioni critiche della decisione impugnata riferite alla posizione del ricorrente, e tale mancanza di specificità è confermata dal riferimento generico, nel contesto del ricorso, agli "appellanti", dalla contestazione della "valenza dimostrativa" quali "chiamanti in reità o chiamanti in correità impropri" di Ba. e Gi., non indicati nella sentenza con riferimento alla posizione del ricorrente, nè risultanti da atti specificatamente richiamati, e dalla espressa indicazione da parte del ricorrente dell’assenza di indici rivelatori della partecipazione all’associazione con riferimento non alla propria, ma alla diversa posizione del coimputato P..

21.4. Il ricorso dell’imputato deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile.

22. Ricorso proposto da P.P..

22.1. Le censure svolte con il primo motivo (sub d.15.1.), attinenti alla dedotta inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ambientali, eseguite all’interno dell’autovettura Golf targata (OMISSIS) in uso Gr.Gi., e alla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni disposte sulle utenze in uso a quest’ultimo, sono state esaminate in premessa (sub 3), e le argomentazioni svolte nel senso della fondatezza della prima censura e della inammissibilità della seconda, vanno integralmente richiamate in questa sede.

22.2. E’ infondato il secondo motivo (sub d.15.2.), con il quale, reiterate le contestazioni relative alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori e alla ritenuta apprezzabilità delle condotte sotto il profilo della condotta associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e dei reati di cui all’art. 73 dello stesso decreto, si deduce la non tranquillante affidabilità delle prime e l’insussistenza della seconda.

Nel richiamarsi le argomentazioni già svolte, in relazione alle contestazioni di carattere generale, in punto valutazione della prova e sussistenza del sodalizio criminoso (sub 4 e 5), e nel ribadirsi la legittimità e la logicità del discorso giustificativo delle decisioni di merito, va rilevata la congruità della motivazione della sentenza impugnata, che, in relazione alla posizione del ricorrente, ha specificatamente indicato i plurimi elementi probatori della sua organica partecipazione all’associazione e della commissione del reato-fine contestato al capo E), rispetto ai quali è stato espresso nel ricorso un giudizio individualizzante negativo solo con l’affermazione dell’assoluta assenza degli "indici rivelatori di un’organica partecipazione all’associazione".

Deve, in ogni caso, rilevarsi che la sentenza impugnata non si è sottratta all’analisi e alla logica e coerente valutazione degli elementi individualizzanti della responsabilità del ricorrente, avendo proceduto, come argomentato nella parte espositiva (sub e 15.5.), alla verifica specifica, con riferimento a ciascuna delle due condotte partecipative contestate e al reato-fine, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma.gi., D’., Da.Fa. e D.G., e dei plurimi riscontri derivati dalle stesse dichiarazioni reciprocamente riscontrate, dagli esiti delle intercettazioni e dagli svolti accertamenti, servizi di appostamento, sequestro.

22.2.1. I riferimenti che la sentenza ha fatto alle intercettazioni ambientali delle conversazioni intercorse tra Gr.Gi. e Gr.Um. nell’autovettura in uso al primo attengono a dati (importanza della piazza mpont o vico dove operava il ricorrente, gestione esclusiva della detta piazza da parte del medesimo dopo l’arresto del cognato, attivismo della piazza e qualità della droga smerciata), che non hanno avuto all’evidenza peso reale sulla valutazione conclusiva, attesa la struttura argomentativa della decisione e la logica e ragionevole valutazione degli altri elementi confluenti in modo specifico sul ricorrente, sicchè l’inutilizzabilità dei risultati non incide per l’effetto sull’autosufficiente compendio probatorio.

22.3. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo (sub d.15.3.) che attiene alla conferma della confisca.

Il ricorrente che, lamentando l’omessa motivazione della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale il cui contenuto neppure ha specificato, omette di considerare che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, postulando una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado, è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti, e che, per l’effetto, in caso di rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d’appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti di valutazione.

Nella specie, la Corte di appello, che ha richiamato i principi di diritto quanto alla confisca dei beni di valore sproporzionato alle fonti reddituali e quanto all’onere probatorio gravante sull’imputato in ordine alla giustificazione della lecita provenienza dei medesimi, ha ritenuto ineccepibili le valutazioni operate dal perito e riportate nella sentenza di primo grado, che ha condiviso, e ha ritenuto non provata la supposta vincita alla lotteria, valutando come profitto dei reati tutti i beni anche acquistati in epoca lontana.

A fronte di questa valutazione, coerente ai principi di diritto affermati da questa Corte e alle emergenze processuali, non possono trovare accoglimento le censure del ricorrente che, senza rapportarsi alle ragioni argomentate della decisione impugnata, oppongono una rinnovata analisi in senso favorevole ma con riguardo a elementi dei quali non sono indicate le ragioni per una positiva valutazione, e sono, in ogni caso, solo genericamente dedotti.

23. Ricorso proposto da Pe.An..

23.1. Il ricorso è fondato.

L’imputato è stato condannato per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestato al capo T) dell’imputazione, sulla base degli esiti del servizio di appostamento effettuato presso la sua abitazione e della perquisizione condotta dai Carabinieri su Fa.

M., che era stato visto entrare e uscire dalla detta abitazione, definita con il sequestro di gr. 4,8 di cocaina, rinvenuta nella biancheria intima che lo stesso indossava.

L’omessa conferma in sede dibattimentale da parte del Fa.Ma. della dichiarazione resa nella immediatezza ai Carabinieri, che l’avevano fermato, in merito alla cessione in suo favore della cocaina, rinvenuta sulla sua persona e pagata venti Euro, da parte di R.F. nella casa di abitazione del ricorrente, è stata ritenuta superata, in sede di merito, dalla deposizione dell’ufficiale di P.G. Tr.Fr., che aveva riferito di avere visto il Fa.Ma. entrare nell’abitazione del ricorrente, presente in casa perchè visto affacciato al balcone di primo piano.

23.2. Tale sviluppo argomentativo della decisione non si sottrae alle censure di manifesta illogicità. 23.2.1. Non sono, infatti, utilizzabili le dichiarazioni precedentemente rese alla polizia giudiziaria dal teste, che risponde in dibattimento in modo difforme, salve le valutazioni da farsi, ai sensi dell’art. 500 c.p.p., da parte del giudice, comunque autonome rispetto alle verifiche rimesse al pubblico mistero, cui gli atti vengono eventualmente trasmessi.

Nella specie, in coerenza con tale principio la Corte ha ritenuto inutilizzabili ai fini della decisione le dichiarazioni del Fa.

M., e ha posto tale rilevata inutilizzabilità a fondamento della disposta assoluzione di R.F. per il reato allo stesso contestato in concorso con il Pe. per il reato di cui al capo T).

23.2.2. Posta tale inutilizzabilità, il convincimento manifestato dalla Corte, circa la sufficienza della deposizione del teste Tr., non esprime in modo logicamente correlato le ragioni della responsabilità del ricorrente per il fatto contestato, essendo stato affidato il collegamento tra la sostanza stupefacente, sequestrata a carico del Fa.Ma., e la contestata cessione allo stesso da parte del ricorrente a una deduzione non univoca, ma aperta a possibili e plausibili letture alternative circa la provenienza della sostanza e le ragioni della visita del ricorrente da parte del Fa.Ma., e, quindi, inidonea a fondare una pronuncia di condanna.

23.3. Il ricorrente deve essere, pertanto, prosciolto per non avere commesso il fatto, mediante annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei suoi confronti con la ridetta formula.

24. Ricorso proposto da R.F..

Il ricorso presentato, per mezzo dell’avv. Davino, congiuntamente a L.M.D., riguarda la posizione del ricorrente solo in ordine ai motivi secondo e terzo, in quanto il primo motivo, attinente alla violazione del principio del ne bis in idem, riguarda in via esclusiva la posizione del L.M..

24.1. Il secondo motivo, che censura in via generale inosservanza del canone di valutazione della prova e omessa motivazione con riguardo alla sussistenza del reato associativo, è manifestamente infondato.

Richiamate le considerazioni già svolte in via preliminare, quanto ai criteri di valutazione probatoria delle chiamate in correità (sub 4), e quanto ai caratteri dell’associazione dedita al narcotraffico, e all’analisi, congrua in rapporto alle risultanze processuali e coerente con i principi di diritto costantemente affermati da questa Corte, condotta in sede di merito (sub 5), deve rilevarsi che, a fronte di un’articolata e specifica valutazione delle fonti di prova nei confronti del ricorrente, svolta dalla Corte in modo critico rispetto alla diversa analisi del Tribunale, e giunta a conclusioni da quest’ultima difformi quanto alla responsabilità del medesimo per il reato associativo di cui al capo S), il ricorrente ha censurato la mancanza di logica e adeguata motivazione della sua affermata responsabilità "in ordine ad un fatto specifico", tratta per "incomprensibile automatismo" dal suo interesse per altre attività illecite.

La deduzione, che si atteggia come espressione di un diffuso dissenso di merito senza porsi come critica specifica delle valutazioni svolte dalla Corte di merito, che ha valutato e valorizzato le concordanti dichiarazioni dei collaboratori D’., Pi., D. F. e Me., sfocia per la totale infondatezza nella inammissibilità, senza che un recupero del motivo possa trarsi dal riferimento generico, e non individualizzato rispetto al ricorrente, alle argomentazioni svolte in ricorso nell’interesse del L. M. quanto alla valutazione delle fonti di prova.

24.2. Con il terzo motivo è censurata la sentenza per il non motivato diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Non risulta che la richiesta sia stata sottoposta all’esame della Corte d’appello con i motivi ritualmente proposti.

24.2.1. Deve ribadirsi al riguardo che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, che ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti, funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata e all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La correlazione di detta disposizione con quella dell’art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello, impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, dep. 15/09/1999, Piepoli, Rv. 213981; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214793), a meno che non si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo della Corte costituzionale (Sez. 1^, n. 2378 del 14/11/1983, dep. 17/03/1984, Guner Cuma, Rv.

163151; Sez. 4^, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 06/02/2004, Criscuolo e altri, Rv. 229373).

24.2.2. Alla stregua di detti rilievi, la doglianza è, pertanto, aspecifica e come tale inammissibile.

24.3. Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

25. Ricorso proposto da S.A..

25.1. Il ricorso che, con unico motivo, censura la sentenza impugnata in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato associativo di cui al capo S), deducendone l’illogicità in rapporto alla disposta assoluzione del medesimo per il reato associativo di cui al capo A), è fondata.

Il giudizio conclusivo espresso dalla Corte relativamente all’acquisto della droga da parte del ricorrente dal L.M., posto a fondamento della conferma della sentenza di condanna e desunto dalla titolarità da parte dello stesso ricorrente di una piazza di spaccio, attestata dalle numerose telefonate, non appare inserito in un quadro interpretativo articolato nè logico.

L’iter argomentativo è, invero, partito dalle dichiarazioni del collaboratore D’., che ha riferito anche in merito ai rapporti del ricorrente con il clan Castaldo originato da una posizione debitoria non definita del medesimo con Ca.

F., alle stesse aggiungendo, quali fonti di prova, le conversazioni telefoniche intercettate, gli appostamenti, i sequestri e l’esame diretto degli acquirenti.

Dal testo del provvedimento impugnato non emerge, tuttavia, in modo coerente come – intervenuta l’assoluzione in primo grado del ricorrente per il reato associativo di cui al capo A), della quale si è preso atto – sia stata enucleata la condotta partecipativa del medesimo al clan La Montagna e in quale misura e maniera e sotto quale profilo le dichiarazioni del collaboratore D’. abbiano trovato conferma nelle ulteriori emergenze probatorie, non esaustivamente collegate, con evidente incidenza negativa sulla tenuta logica della motivazione.

25.2. Riguardo ai reati di cui ai capi I) (omesso nella narrativa a p. 139, ma menzionato alle p. 24 e 140 della sentenza di appello), JJ), HH), II), KK) e LL), le articolate motivazioni della sentenza in ordine alle risultanze univoche del compendio probatorio non hanno formato oggetto di specifica censura.

25.3. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con limitato riferimento al delitto associativo con rinvio alla Corte d’appello, che, in coerenza con quanto rappresentato e tenendo conto delle emergenze processuali, dovrà in piena autonomia di giudizio, ma con motivazione completa e immune da vizi logici, procedere a nuovo giudizio nei confronti del ricorrente, chiarendone la posizione partecipativa.

Il ricorso deve essere, invece, rigettato per il resto.

26. I ricorrenti A.N., C.A., E. N., G.F. e P.P., i cui ricorsi sono rigettati, devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti da Ar.

G., F.C., Fa.Do., L.D., La.Ra., Li.Al., M.S. e R.F. consegue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali, nonchè di ciascuno – valutato il contenuto dei singoli ricorsi e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P. A., per non avere commesso il fatto.

Annulla, altresì, la sentenza nei confronti di Gr.Gi., di Gr.Um., di L.M., nonchè, limitatamente al delitto associativo di cui al capo S, nei confronti di S., e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Rigetta i ricorsi di A., di C., di E.N., di G. e di P., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Rigetta, nel resto, il ricorso di S..

Dichiara inammissibili i ricorsi di Ar., di F.C., di Fa.Do., di L.D., di La.Ra., di Li., di M. e di R. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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