Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-05-2012, n. 8693

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di La Spezia, in accoglimento del ricorso presentato da S.G. nei confronti della società Poste Italiane, dichiarava illegittimo il licenziamento a lui intimato in data 15 novembre 2001 per superamento del periodo di comporto di dodici mesi (367 giorni dal 10 novembre 2000 al 10 novembre 2001), con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Riteneva il Tribunale che l’art. 40 del c.c.n.l. di categoria, pur prevedendo, in via generale, il diritto alla conservazione del posto per 12 mesi, elevava tuttavia tale periodo di comporto a 24 mesi per le "assenze dovute alle patologie di particolare gravita, quali la malattia oncologica, la sclerosi multipla, la distrofia muscolare e la sindrome da immunodeficienza acquisita"; che tale elencazione non aveva carattere tassativo, sicchè in essa doveva ricomprendersi anche l’insufficienza renale cronica, da cui lo S. era affetto, patologia paragonabile per gravità a quelle esemplificativamente – e non esaustivamente – previste dalla norma contrattuale collettiva.

L’appello proposto contro tale sentenza veniva respinto dalla Corte di Genova con sentenza del 6 maggio 2005. La Cassazione, con sentenza n. 6366 del 2008, cassava quest’ultima pronuncia, ritenendo che il giudice di merito non aveva adeguatamente valutato i canoni di ermeneutica contrattuale e segnatamente quello del comportamento complessivo delle parti, rinviando alla medesima corte territoriale per un nuovo esame.

Quest’ultima, con sentenza depositata il 22 luglio 2009, respingeva l’appello e condannava la società Poste al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Poste Italiane, affidato a tre motivi.

Resiste lo S. con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 40 del c.c.n.l. del 1994, nonchè dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. Denuncia, inoltre omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Lamenta che l’elencazione delle patologie contenuta nell’art. 40 del c.c.n.l., per le quali le parti sociali previdero un periodo di comporto raddoppiato (da 12 a 24 mesi), aveva evidentemente carattere tassativo, come del resto si evinceva, nel rispetto dei principi enunciati dalla S.C. in sede rescindente, dalla circostanza che in sede di rinnovo del c.c.n.l. (luglio 2003), le parti collettive avevano integrato la disposizione con la seguente espressione:

"potranno inoltre essere valutate ulteriori ipotesi di patologia di particolare gravita", integrazione che non avrebbe avuto senso se l’elencazione prevista nel c.c.n.l. del 1994 avesse avuto carattere esemplificativo. Il motivo è infondato.

La sentenza rescindente ha rilevato che la Corte territoriale aveva ritenuto che il significato letterale delle espressioni usate nella clausola all’esame, pur facendo propendere per la non tassatività dell’elencazione delle malattie ivi contenute, non era sufficiente a dirimere la questione interpretativa, così da rendere necessario il ricorso ad altri elementi di giudizio al fine di ricercare la comune intenzione delle parti.

Tuttavia, prosegue la pronuncia rescindente, la corte di merito non ritenne di dover far ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici indicati dall’art. 1362 c.c., comma 2, e segg. – ed in particolare alla valutazione del comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto. Rilevava questa Corte che, sotto tale profilo, "il giudice di appello aveva completamente omesso di prendere in considerazione gli elementi di possibile riscontro della comune volontà delle parti ritualmente dedotti in causa, in particolare la disamina della condotta tenuta dalla parte datoriale (asseritamente senza opposizione o doglianze da parte delle oo.ss.) nell’applicazione della norma in parola, la possibile valenza interpretativa delle pattuizioni collettive, e segnatamente la normativa sul comporto introdotta con il C.C.N.L. del 2003. 3. Alla luce del principio di diritto enunciato da questa Corte, il giudice del rinvio ha congruamente motivato, anche alla luce della successiva pattuizione collettiva del 2003, il carattere esemplificativo delle patologie elencate nella precedente clausola contrattuale. Ha infatti ritenuto che l’inserzione della espressa possibilità di valutare ulteriori patologie di particolare gravità corroborava l’interpretazione della non tassatività dell’elencazione contenuta nell’art. 40 del precedente c.c.n.l., ove l’espressione "patologie di particolare gravità" risultava certamente ambigua, intendendo le parti sociali meglio chiarire ed esplicitare ciò che era già inserito nella previsione originaria, e cioè consentire l’applicazione del comporto "lungo" in presenza di patologie connotate da particolare gravità, da valutarsi ad opera del datore di lavoro e necessariamente, in caso di contestazione, da parte del giudice.

Trattasi di motivazione congrua, rispettosa del principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente, come tale insindacabile in questa sede.

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 61-62 e 414 c.p.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamenta al riguardo che le richieste avversarie (in ordine alla malattia patita) erano sfornite di prova, cui non poteva supplire la richiesta c.t.u., che peraltro era stata contestata dalla società, a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale. Il motivo è inammissibile, sia per richiedere alla Corte un giudizio di fatto, sia per non considerare che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (nella specie la c.t.u. e le note critiche alla stessa), indicandone la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1375 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 18.

Deduce la ricorrente che in ogni caso il licenziamento dello S., in tesi di sussistenza del periodo di comporto e dunque di temporanea inefficacia del recesso sino alla scadenza dello stesso, sarebbe stato possibile allo scadere dei 24 mesi di assenza, riconducendo il pregiudizio lamentato a causale meramente economica, con la conseguenza che la corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere quanto alla richiesta reintegrazione.

Si duole inoltre che il giudice d’appello ritenne che non poteva sostenersi ex posi che, trascorsi i 24 mesi di comporto, il lavoratore non sarebbe stato nelle condizioni di riprendere l’attività lavorativa; lamentava che il c.t.u. aveva invece accertato che lo S. rimase nell’impossibilità di riprendere l’attività lavorativa sino al luglio 2003.

Anche tale motivo è inammissibile, sia per richiedere alla Corte un esame diretto delle risultanze di causa, sia perchè la declaratoria di cessazione della materia del contendere risulta domanda nuova, non proposta nella fase di merito (nè la ricorrente, in contrasto col principio dell’autosufficienza, chiarisce in quale sede e quando tale domanda sarebbe stata proposta). La corte territoriale ha peraltro accertato che in base al principio di immutabilità dei motivi di licenziamento (nella specie aver superato lo S. i dodici mesi di comporto), il giudice non avrebbe potuto esaminare l’ulteriore questione della licenziabilità del dipendente per assenze in tesi protrattesi oltre i 24 mesi.

Tale ratio decidendi non risulta censurata, sicchè il motivo deve in definitiva respingersi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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