Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-05-2012, n. 8692

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso all’allora Pretore del lavoro di Venezia, il signor G.L. ha esposto: di essere dipendente della ACTV; di avere svolto mansioni di conducente di linea sino al 31 marzo 1995 in turno notturno non avvicendato, ossia prestando servizio esclusivamente nel turno compreso tra le 22 e le 5; di avere percepito un compenso per lavoro notturno corrispondente alla maggiorazione del 20% della paga normale, prevista dal CCNL per i turni avvicendati; che, in realtà, egli avrebbe avuto diritto di percepire una maggiorazione del 30%, essendo stato adibito a turni non avvicendati; che dal 1 aprile 1995 e sino al 1996 (anno in cui cessò il rapporto) egli era stato rimosso dal turno notturno non avvicendato, dal momento che l’azienda aveva adottato un sistema di rotazione degli addetti; che dopo un mese essa aveva ristabilito la precedente situazione, adibendo ai turni non avvicendati altro personale, scelto tra coloro che aveva rinunciato alla maggiorazione del 30%; che la propria rimozione dal turno era illegittima per violazione del contratto aziendale.

Chiese quindi la condanna della ACTV al pagamento della maggiorazione del 30%, nonchè alla relativa incidenza sugli istituti di retribuzione differita ed indiretta, oltre alla condanna al versamento all’INPS dei corrispondenti contributi previdenziali. La ACTV si costituiva contestando la fondatezza della domanda e chiedendone il rigetto.

Il Tribunale di Venezia accertò l’illegittimità del provvedimento aziendale con cui il ricorrente venne rimosso dal turno notturno, condannando la ACTV al pagamento della somma ivi indicata a titolo risarcitorio, rigettando la domanda di condanna al pagamento dei relativi contributi previdenziali e delle incidenze delle maggiorazioni per lavoro notturno sulle mensilità aggiuntive, ferie e t.f.r..

Proponeva appello la ACTV; resisteva il G. proponendo appello incidentale.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 17 novembre 2009, rigettava entrambi gli appelli, compensando le spese di causa.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il G., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste la ACTV con controricorso.

L’I.N.P.S. si è costituito con delega in calce al ricorso notificato.

Motivi della decisione

1. Debbono pregiudizialmente respingersi le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente.

In primo luogo ex art. 360 bis c.p.c., per avere il provvedimento impugnato deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte. L’eccezione è infondata posto che, come di seguito esposto, la pronuncia impugnata risulta, almeno in parte, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità. In secondo luogo per essere stato il ricorrente vittorioso sia in primo che in secondo grado, con conseguente suo difetto di interesse nell’attuale impugnazione. Osserva di contro la Corte che la domanda attorea venne solo in parte accolta dal Tribunale, ed il relativo appello incidentale venne respinto dalla Corte territoriale.

In terzo luogo per difetto di autosufficienza, per non essere in tesi indicati i capi della sentenza impugnata.

Anche sotto tale profilo, come emerge dalla superiore esposizione in fatto e dalle considerazioni svolte appresso in diritto, l’eccezione è infondata, risultando sufficientemente chiare le statuizioni oggetto di censura.

Venendo pertanto al merito si osserva.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1218, 1223 e 1224 c.c. Violazione e falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 applicabile ratione temporis, nonchè degli artt. 2115 e 2116 c.c. Omessa, o quanto meno insufficiente e/o contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su di un punto decisivo della controversia, cioè sull’assoggettamento a contribuzione previdenziale degli importi riconosciuti. Lamenta che il giudice di secondo grado non aveva tenuto conto delle regole che governano la risarcibilità del danno contrattuale: si duoleva in particolare che la Corte veneta ritenne che le somme riconosciute a titolo risarcitorio non dovessero essere assoggettate a prelievo contributivo, laddove il danno da commisurare alle retribuzioni doveva ritenersi imponibile previdenziale. Il motivo è fondato.

Questa Corte ha affermato (ex plurimis, Cass. 6 ottobre 1999 n. 11148) che le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per la violazione dei molteplici obblighi facenti carico al datore di lavoro, hanno natura retributiva – e sono quindi da computare nella retribuzione imponibile ai fini contributivi – solo quando derivino da un inadempimento, il quale, pur non riguardando direttamente l’obbligazione retributiva, tuttavia immediatamente incida su di essa in quanto determini la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente; viceversa le attribuzioni patrimoniali che il lavoratore riceve a titolo di risarcimento del danno per la violazione degli altri obblighi del datore, sebbene siano anch’esse "dipendenti dal rapporto di lavoro" non hanno natura retributiva, così come tale natura non aveva l’obbligazione primaria rimasta inadempiuta, e quindi non sono computabili nella retribuzione imponibile ai fini contributivi, L. 30 aprile 1969, n. 153, ex art. 12 ed D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, ex art. 6.

Nello stesso senso Cass. 12 dicembre 2007 n. 26078, secondo cui "in ragione dell’autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo, l’obbligazione contributiva non è esclusa dall’inadempimento retributivo del datore di lavoro, neppure ove questo sia solo parziale e sebbene la originaria obbligazione sia trasformata in altra di natura risarcitoria". 3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218; 1219; 1223 e 1224 c.c.; dell’art. 2099 c.c., e dell’art. 11 del c.c.n.l. Autoferrotranvieri del 12 marzo 1980. Omessa, o quantomeno insufficiente e/o contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su di un punto decisivo della controversia, cioè sull’inclusione del risarcimento nella tredicesima e quattordicesima mensilità e nelle ferie.

Si duole in particolare che la Corte veneta, sempre erroneamente applicando le regole comuni sul risarcimento del danno, abbia negato al sig. G. il computo delle maggiorazioni per lavoro notturno non avvicendato, non sulle mensilità aggiuntive e sulle ferie. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte osservato, anche con riferimento alla stessa maggiorazione retributiva per lavoro notturno (nel caso di specie riconosciuta sotto forma di risarcimento), che la circostanza che il lavoro notturno sia prestato con regolarità secondo turni periodici – e cioè con modalità che, a norma dell’art. 2108 c.c., comma 2, escluderebbero la necessità di una maggiorazione retributiva – non comporta la necessaria incidenza della maggiorazione retributiva spettante per il lavoro notturno nel computo di quei trattamenti economici – quali le mensilità supplementari – per i quali la legge non impone il riferimento ad una nozione omnicomprensiva di retribuzione (Cass. 17 ottobre 2001 n. 12683), salva diversa disposizione contrattuale collettiva od individuale: Cass. 23 febbraio 2007 n. 4270; Cass. 7 febbraio 2008 n. 2872).

La norma contrattuale collettiva la cui violazione è direttamente censurata in questa sede, stabilisce pacificamente che le percentuali di retribuzione per lavoro notturno debbono calcolarsi "sulle quote orarie della retribuzione normale, aumentate dei ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità", prevedendo dunque che tali maggiorazioni sono già comprensive di tali ratei, sicchè risulta in contrasto con la volontà contrattuale collettiva che tali maggiorazioni debbano nuovamente incidere sulle mensilità aggiuntive, per le quali peraltro gli artt. 18 e 19 fanno riferimento alla retribuzione normale e dunque non ad un criterio omnicomprensivo.

Lo stesso discorso vale, come già visto, per l’incidenza della maggiorazione de qua (sia pur erogata a titolo risarcitorio) sulla retribuzione per ferie.

Questa Corte ha più volte osservato (Cass. n. 2791/03; n. 7707/03;

n. 12920/03; n.l7769/03; n. 4270/07) che ai fini del riconoscimento del diritto dei lavoratori subordinati al computo nella base di calcolo della retribuzione per il periodo feriale della maggiorazione per lavoro notturno, non esistendo nel nostro ordinamento il principio dell’omnicomprensività della retribuzione, non è sufficiente l’accertamento della sistematicità e non occasionalità delle prestazioni notturne, occorrendo verificare se la contrattazione collettiva faccia riferimento ad esse, stabilendone la computabilità nel calcolo della retribuzione spettante durante le ferie.

Ne consegue che in mancanza di una nozione omnicomprensiva della retribuzione feriale, che il G. neppure deduce, la censura non può essere accolta.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 1218; 1219; 1223 e 1224 c.c., dell’art. 2099 c.c., dell’art. 2120 c.c., nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omessa pronuncia sulla parte di domanda riguardante il trattamento di fine rapporto.

Lamentava che le domande proposte erano rivolte ad ottenere la condanna della ACTV non solo al pagamento delle maggiorazioni di lavoro notturno, ma anche all’incidenza di esse sul t.f.r., e che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi in merito a tale ultima domanda, così concretando una palese violazione dell’art. 112 c.p.c..

La domanda, soggiunge il ricorrente, avrebbe dovuto essere accolta, posto che le maggiorazioni per lavoro notturno, in quanto emolumenti non aventi natura occasionale, debbono essere necessariamente computati ai fini del calcolo del t.f.r.

Il motivo è fondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 1 settembre 2003 n. 12760; Cass. 12 settembre 2003 n. 13455), le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno non occasionali, costituiscono parte integrante dell’ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali, concorrono alla composizione della base di computo dell’indennità di anzianità o del trattamento di fine rapporto – ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli art. 2120 e 2121 cod. civ., ed in assenza di dedotte deroghe successivamente all’entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297. 5. Debbono conseguentemente accogliersi il primo ed il terzo motivo del ricorso; la sentenza impugnata cassarsi, con rinvio, anche per le spese, ad altro giudice in dispositivo indicato per l’ulteriore esame della controversia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trieste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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