Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27-12-2011, n. 6841 Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. E’ impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, sede di Bari, 30 dicembre 2010 n.4347, resa in forma semplificata, che ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 1208/2010 ed ha respinto i motivi aggiunti proposti nell’ambito del medesimo giudizio dall’Unione Generale del Lavoro di Bari – UGL – avverso, rispettivamente, i decreti del Presidente della Giunta Regionale n. 871 del 15 luglio 2010 e n. 1213 del 23 novembre 2010, recanti entrambi la esclusione della ricorrente dalle organizzazioni capaci di designare un proprio rappresentante in sede di rinnovo del Consiglio della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Bari.

Con il primo dei citati provvedimenti, l’esclusione era stata disposta per una errata indicazione del numero degli occupati nelle imprese rappresentate, riferito erroneamente al 31 dicembre 2003 anziché al 31 dicembre 2008; a seguito dell’ordinanza cautelare n. 619 del 9 settembre 2010 di accoglimento del giudice di primo grado, la odierna appellante era stata ammessa all’ulteriore corso del procedimento di designazione.

Tuttavia, a seguito di nuova interlocuzione istruttoria, il Presidente della Regione Puglia, con il secondo dei citati decreti, aveva fatto luogo a nuova esclusione della organizzazione ricorrente, questa volta motivata dal mancato riscontro alla richiesta istruttoria dell’autorità regionale procedente di esibizione dei dati relativi al numero degli occupati e delle imprese iscritte (oggetto delle autodichiarazioni presentate).

2. Il Tar ha ritenuto improcedibile la prima impugnativa ed ha rigettato nel merito il ricorso per motivi aggiunti avverso la seconda e definitiva esclusione, ritenendo sostanzialmente infondate le censure di primo grado afferenti:

a) la pretesa disparità di trattamento rispetto ad altre organizzazioni (non destinatarie di analoghe richieste istruttorie);

b) la impossibilità di produrre, in sede di istruttoria procedimentale, i dati relativi alle imprese iscritte, in quanto informazione contenente, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 196 del 2003 dati sensibili e, pertanto, soggetta ad espressa autorizzazione preventiva da parte del Garante per la protezione dei dati personali;

c) la violazione delle regole sulla partecipazione procedimentale.

3. Avverso questa sola parte della sentenza, recante il rigetto dei motivi aggiunti, propone appello la Unione Generale del Lavoro di Bari, rilevando la erroneità della sentenza impugnata in ragione:

a) della violazione dell’art. 60 del cpa, per essere intervenuta la impugnata sentenza in forma semplificata all’esito di un’udienza camerale fissata prima del decorso del termine dilatorio di venti giorni dall’ultima notifica dei motivi aggiunti;

b) della non consentita integrazione della motivazione posta a supporto dell’impugnato provvedimento di esclusione, operata dal giudice di prime cure con il riferimento alla autorizzazione generale del Garante della protezione dei dati personali n. 3 del 2009 nonché alla mancata dimostrazione dell’ulteriore requisito inerente il numero degli occupati nelle imprese complessivamente iscritte;

c) della non corretta valutazione delle censure di primo grado riguardanti: c1) la violazione dell’art. 4 del d.lgs 196/03, avuto riguardo alla natura "sensibile" del dato oggetto della richiesta di documentazione, per tal guisa non ostensibile senza il previo assenso delle imprese interessate ovvero senza l’autorizzazione del Garante della protezione dei dati sensibili; c2) la disparità di trattamento rispetto ad altre organizzazioni, non compulsate con analoghe richieste istruttorie pur a fronte di oggettive incertezze nei dati forniti; c3) l’esiguità del termine concesso per l’esecuzione dell’adempimento, c4) la violazione dei principi in materia di autotutela e di partecipazione procedimentale.

4. Conclude l’appellante per l’annullamento, in accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado ed in riforma della impugnata sentenza, del decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 1213 del 23 novembre 2010 recante la predetta esclusione.

Si è costituita in giudizio la Regione Puglia per resistere al ricorso in appello e per chiederne il rigetto. Si sono altresì costituite le associazioni di categoria in epigrafe meglio indicate per contrastare il ricorso introduttivo e chiederne la reiezione.

All’udienza del 18 novembre 2011 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

5. L’appello è infondato e va respinto.

5.1. Con il primo motivo l’appellante lamenta la violazione dell’art. 60 del c.p.a., sotto il profilo che la sentenza in forma semplificata sarebbe stata assunta all’esito di un’udienza fissata – peraltro a seguito di una istanza di abbreviazione dei termini proposta dalla stessa ricorrente- prima del decorso del termine dilatorio di 20 giorni dall’ultima notifica del ricorso (nella specie, del ricorso per motivi aggiunti).

5.2. Va al proposito osservato che nel corso della camera di consiglio svoltasi dinanzi al giudice di primo grado, all’esito della quale è stata adottata la impugnata sentenza "breve", non risulta essere stata omessa la segnalazione del Presidente ai difensori delle parti in ordine alla possibilità di definire il giudizio con sentenza resa in forma semplificata, né risulta che gli stessi difensori abbiano eccepito alcunché al riguardo.

In secondo luogo non par dubbio che il rispetto del termine dilatorio di venti giorni dall’ultima notifica del ricorso costituisce un istituto funzionale al rispetto della effettività del contraddittorio della parte intimata (nel caso di specie, in primis la Regione Puglia e quindi gli altri soggetti controinteressati), di talchè sarebbe al più quest’ultima la parte legittimata a dolersi della violazione della suddetta disposizione, secondo il principio processuale desumibile dall’art. 157, secondo comma, del c.p.c. (applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno contenuto nell’art. 39 del c.p.a.).

5.3 D’altra parte, la violazione del suddetto termine dilatorio non integra un’ipotesi di nullità della sentenza rilevabile dal giudice d’appello, né comporta la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a. (posto che alcun vulnus è stato in concreto arrecato al diritto di difesa della Regione Puglia – né delle altre parti controinteressate -che non risulta abbiano mosso rilievi di sorta avverso l’opzione processuale della definizione immediata del giudizio con sentenza in forma semplificata)

6.Quanto alle censure afferenti il merito della causa, va premesso che l’esclusione impugnata in primo grado con motivi aggiunti è stata adottata dalla Regione Puglia per la ragione che l’associazione ricorrente non ha consegnato, nel termine assegnato, l’elenco nominativo delle imprese iscritte adducendo a giustificazione di tale rifiuto la necessità di acquisire l’autorizzazione preventiva del Garante dei dati personali, dovendo qualificarsi dato personale "sensibile", ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 196/03, quello relativo all’appartenenza di un’impresa ad una associazione di categoria professionale.

Nella prospettazione dell’appellante il giudice di primo grado avrebbe fatto erronea applicazione degli artt. 4 e 20 del d.lgs. 196 del 2003, nella misura in cui non avrebbe considerato che il DM 501/96 – laddove all’art.2, lettere b) e c), prevede la comunicazione da parte delle organizzazioni imprenditoriali al Presidente della Camera di commercio competente per territorio del numero delle imprese iscritte e la dichiarazione del numero degli occupati – non ha natura legislativa ma regolamentare e come la stessa Regione Puglia nel provvedimento impugnato non disconosce la necessità della previa autorizzazione del Garante, pur ascrivendo la responsabilità della mancata abilitazione preventiva alla odierna associazione appellante.

7..La censura non scrutinio risulta fondata.

8. Osserva anzitutto il Collegio che il dato relativo all’appartenenza di un’impresa ad una organizzazione imprenditoriale (quale appunto l’odierna appellante) costituisce un dato personale sensibile ai sensi dell’art. 4 lett. d) del d.lgs. 196 del 2003, in quanto idoneo a rivelare l’adesione di un soggetto ad una organizzazione sindacale (al cui novero va ascritta l’associazione ricorrente). Non altrettanto potrebbe dirsi in ordine alla natura del dato (pur richiesto dalla Regione Puglia) relativo al numero degli occupati delle imprese iscritte, per la ragione che quest’ultimo costituisce un dato numerico aggregato neutro ed anonimo, come tale sottratto alla particolare protezione che l’ordinamento riserva ai dati personali sensibili.

9. Un principio basilare in materia di trattamento dei dati personali sensibili da parte di soggetti pubblici è che il trattamento è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge, nella quale siano specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite (art. 20 cit.).

In caso contrario anche il soggetto pubblico incontra, nel trattamento dei dati sensibili, gli stessi limiti di carattere generale cui vanno incontro gli altri soggetti: e cioè la necessità, nella maggior parte dei casi e salvo espresse deroghe, del consenso scritto dell’interessato e della autorizzazione del garante (art. 26 d.lgs. cit.).

10. Si tratta quindi di verificare se, nel caso di specie, il trattamento dei dati richiesti dalla Regione Puglia (soggetto pubblico) e che l’associazione Unione generale del lavoro -servizi di Bari ha rifiutato di esibire (quantomeno prima dell’acquisizione dell’autorizzazione del Garante) avesse una copertura legislativa e se i dati richiesti fossero sufficientemente descritti nella fonte normativa; da ultimo, se in tale fonte fossero individuabili le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite.

10. Ai quesiti il Collegio ritiene debba darsi risposta affermativa.

11. L’art. 12 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (recante il riordino delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), a proposito della costituzione del consiglio camerale, stabilisce che i componenti del consiglio sono designati dalle organizzazioni rappresentative delle imprese appartenenti ai settori di cui all’articolo 10, comma 2, nonché dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti e dalla Consulta di cui all’articolo 10, comma 6; e che le designazioni da parte delle organizzazioni di cui al comma 1, per ciascuno dei settori di cui all’articolo 10, comma 2, avvengono in rapporto proporzionale alla loro rappresentatività in ambito provinciale, sulla base degli indicatori previsti dall’articolo 10, comma 3.

Gli elenchi degli associati delle organizzazioni di cui al comma 1 sono depositati presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai fini dello svolgimento delle opportune verifiche; anche in caso di apparentamento le organizzazioni presentano i dati disgiuntamente.

Il d.m. 24 luglio 1996, n. 501 (recante il regolamento di attuazione dell’art. 12 della legge 29 dicembre 1993, n. 580), nell’ambito delle procedure per la determinazione della consistenza delle organizzazioni imprenditoriali stabilisce che:

"1.Il presidente della camera di commercio duecentodieci giorni prima della scadenza del consiglio camerale dà avvio alle procedure previste dal presente decreto pubblicando apposito avviso all’albo camerale, dandone contestuale comunicazione al presidente della giunta regionale.

2. Entro cinquanta giorni dalla pubblicazione dell’avviso le organizzazioni imprenditoriali di livello provinciale aderenti ad organizzazioni nazionali rappresentate nel CNEL, ovvero operanti nella circoscrizione da almeno tre anni prima della pubblicazione, comunicano al presidente della camera di commercio, ai fini della ripartizione dei seggi di cui al comma 1 dell’art. 10 della legge: a) le informazioni documentate in merito alla propria natura e alle proprie finalità di tutela e promozione degli interessi degli associati, nonché all’ampiezza e alla diffusione delle loro strutture operative, ai servizi resi e all’attività svolta nella circoscrizione, nonché per il settore delle società in forma cooperativa il numero dei soci aderenti alle stesse; b) la dichiarazione del numero delle imprese iscritte a norma del loro statuto ed in regola con i pagamenti delle quote associative alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di pubblicazione dell’avviso; c) la dichiarazione del numero degli occupati nelle imprese di cui alla lettera b), ivi compresi gli occupati per frazione di anno solare, sulla base di dati forniti secondo lo schema di cui all’allegato A al presente decreto, con riferimento alla situazione dell’anno precedente a quello di pubblicazione dell’avviso, indicando la fonte da cui sono stati tratti".

12. Dal combinato disposto delle richiamate disposizioni normative, si desume che:

a) il dato relativo al numero degli associati di ciascuna organizzazione imprenditoriale è un dato stabilmente in possesso di soggetti pubblici (le Camere di commercio) in base ad una espressa previsione di legge;

b) tale dato è funzionale al meccanismo del rinnovo dell’organo consiliare camerale, nella misura in cui è un indice rilevatore del grado di rappresentatività di un’organizzazione imprenditoriale capace di incidere sul sistema delle designazioni dei componenti del consiglio camerale (stante il criterio di proporzionalità adottato dalla legge);

c) vi è sicuramente un rilevante interesse pubblico alla acquisizione di quel dato da parte dei soggetti pubblici coinvolti nel procedimento di designazione (e quindi della Camera di commercio e della Regione, cui spetta il potere finale di designazione dei componenti dell’organo camerale nonché il potere di controllo, ai sensi dell’art. 5 del d.m. n. 501/1996, sui dati rivelatori della rappresentatività delle organizzazioni legittimate alla designazione);

d) la comunicazione dell’elenco degli associati posta a carico delle organizzazioni imprenditoriali dall’art. 2 del d.m. citato in occasione delle operazioni di rinnovo dell’organo consiliare camerale, poiché la legge prevedere in via ordinaria che gli elenchi degli associati siano depositati per le opportune verifiche presso le CCIA, costituisce adempimento funzionale all’aggiornamento periodico degli elenchi, necessario anche al fine di escludere le imprese non in regola con i pagamenti dei contributi associativi al 31 dicembre dell’anno precedente.

13.Le considerazioni appena svolte inducono il Collegio a ritenere privo di sostanziale giustificazione il rifiuto della appellante associazione di fornire agli organi regionali i dati istruttori richiesti in funzione di una verifica sul grado di rappresentatività della organizzazione imprenditoriale; per conseguenza, va ritenuto legittimo il decreto regionale (impugnato con motivi aggiunti in primo grado) di esclusione della ricorrente dal novero dei soggetti legittimati a designare i componenti dell’organo camerale barese, in occasione del suo rinnovo.

14. In contrario avviso non potrebbe deporre il riferimento alla necessità dell’autorizzazione previa del Garante che, nella prospettazione della parte appellante, anche il Presidente della Giunta regionale, nel decreto impugnato in primo grado, avrebbe ritenuto come dovuta.

Anche a voler tralasciare il rilievo secondo cui un eventuale errore dell’organo amministrativo, compiuta nel corpo motivazionale del provvedimento, in sede di ricostruzione giuridica della fattispecie, non potrebbe far propendere per la illegittimità dell’atto, a fronte di una determinazione comunque corretta nel dispositivo, va osservato che il passaggio motivazionale richiamato dall’appellante rappresentava, nell’economia del provvedimento, una considerazione sovrabbondante, come tale neutrale ai fini decisori; l’autorità amministrativa, in sostanza, intendeva soltanto precisare che – ove mai una autorizzazione del Garante fosse stata nella specie necessaria – questa era comunque stata emessa, avendo il Garante adottato un atto a portata generale (autorizzazione n. 3 del 2009) relativo al trattamento dei dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo e delle fondazioni.

Il Collegio ritiene pertanto che anche tale passaggio motivazionale del decreto impugnato, per quanto nel merito non condivisibile nella misura in cui sembra legittimare, seppur in via subordinata, l’autorizzazione del Garante in una materia in cui la legittimità del trattamento (e della correlativa comunicazione) discende ex se dalla legge, vada ritenuto immune dalle censure sul punto articolate dall’appellante, non avendo in ogni caso portata viziante sulla determinazione decisoria finale.

15. Considerazioni analoghe in ordine alla irrilevanza, nella fattispecie in esame, della autorizzazione generale del Garante n. 3 del 2009 valgono a superare la ulteriore censura d’appello avverso la sentenza di primo grado, nella parte in cui la stessa avrebbe attribuito valore determinante a tale atto abilitativo generale, andando ben al di là – e così inammissibilmente integrando la motivazione dell’atto impugnato – di quanto al proposito rilevato dall’autorità regionale nel decreto avversato.

Si è già osservato che il richiamo alla predetta autorizzazione generale (da chiunque operato, sia essa l’Amministrazione regionale ovvero il giudice di primo grado) risulta nella specie ininfluente per la ragione che l’autorizzazione del Garante di cui all’art. 26 del d.lgs. cit. ha giocoforza una sfera applicativa distinta e complementare rispetto alla portata scriminante che l’art. 20 del d.lgs. attribuisce alla legge in relazione al trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici: se l’elenco delle imprese associate deve essere per legge disponibile da parte dei soggetti pubblici (Camere di commercio e Regioni) cui sono affidati importanti compiti di amministrazione attiva e di controllo in sede di rinnovo dell’organo consiliare camerale, non risulta compatibile con tale disciplina il meccanismo di tutela dei dati personali sensibili, che l’art. 26 d.lgs. affida al consenso scritto degli interessati ed alla autorizzazione specifica previa del Garante.

Per il soddisfacimento delle finalità di interesse pubblico connesse al meccanismo di rinnovo dell’organo consiliare camerale gli elenchi degli iscritti devono essere esibiti (peraltro nell’interesse stesso delle organizzazioni imprenditoriali ostendenti) ai soggetti pubblici attributari di funzioni infungibili nella designazione dei componenti del consiglio camerale.

Il riferimento alla rilasciata autorizzazione del Garante contenuto nella sentenza impugnata appare, in definitiva, un elemento non condivisibile di argomentazione, richiamato dal giudice di primo grado malgrado già risultasse decisivo e assorbente il rilievo della espressa previsione normativa (art. 20 cit.) abilitante il trattamento dei dati sensibili, e perciò non influente sulla sua ratio decidendi.

Quanto al richiamo, che pur si rinviene nella sentenza impugnata, alla mancata dimostrazione di idonee ragioni per confutare la legittimità della richiesta di acquisizione del dato relativo al numero degli occupati, il Collegio osserva che neanche tale argomento integra una ipotesi di inammissibile integrazione postuma della motivazione. La sentenza di primo grado non fonda le ragioni del decidere sulla carenza di specifiche censure sulla mancata allegazione dei dati sul numero degli occupati, limitandosi soltanto ad evidenziare incidentalmente (anche ai fini dell’interesse a ricorrere, la cui sussistenza o meno spetta al giudice ex officio accertare) che del tutto immotivato sarebbe in ogni caso rimasto (a tutto concedere riguardo alle sorti della impugnativa del provvedimento di esclusione nella parte relativa al mancato invio dell’elenco delle imprese associate) il rifiuto della odierna appellante di corrispondere alla Regione i dati afferenti il numero degli occupati delle imprese iscritte.

20. Tali considerazioni comportano anche la reiezione degli ulteriori profili di censura inerenti la asserita necessità, anche in costanza della autorizzazione del Garante, del previo consenso di ciascuna impresa interessata alla propalazione dei dati relativi alla associazione, come anche il legame di stretta pertinenzialità tra i dati rilevati e le finalità perseguite.

Si è osservato che del consenso degli interessati si doveva nella specie prescindere, dato che il trattamento dei dati sensibili si svolgeva nell’ambito di un circuito informativo predeterminato dalla legge per il soddisfacimento di preminenti interessi pubblici.

21. Quanto all’ulteriore motivo secondo cui l’appellante non avrebbe mai rifiutato la produzione dell’elenco degli associati, ma ne avrebbe soltanto postergato l’esibizione all’ottenimento della autorizzazione del Garante, va osservato che tale comportamento dell’appellante si è rivelato in ogni caso ostativo alla finalizzazione della procedura di designazione dei componenti del rinnovato organo camerale nella misura in cui ha di fatto impedito alla Regione Puglia di verificare i dati di rappresentatività dell’organizzazione.

Né appare ragionevole ritenere che l’appellante sia stata impedita ad adempiere a tale incombente a causa del termine esiguo assegnatole, trattandosi di adempimento facilmente eseguibile anche in un ridotto arco temporale. D’altra parte, l’appellante non ha mai palesato impedimenti di ordine materiale alla esibizione di quanto richiesto dalla Regione (né ha rappresentato ll’esigenza di ottenere una proproga del termine), ma ha piuttosto evidenziato ostacoli di ordine giuridico alla esecuzione dell’adempimento istruttorio richiestole dalla Regione.

22. Anche le restanti censure relative alla stessa ammissibilità dell’esercizio dei poteri istruttori da parte della Regione non appaiono pertinenti e meritevoli di accoglimento.

Non par dubbio, infatti, che la Regione avesse il potere/dovere di verificare i dati sulla rappresentatività delle organizzazioni imprenditoriali legittimate alla designazione dei componenti l’organo camerale, e ciò anche a prescindere dal riferimento a tale facoltà contenuto nell’ordinanza cautelare del giudice di primo grado resa nel giudizio avverso la originaria esclusione.

Si tratta di legittima attività di controllo che la Regione ha inteso esercitare nei confronti della odierna appellante (e di alcune altre associazioni partecipanti alla medesima procedura di designazione) al chiaro scopo di accertare la effettiva rappresentatività delle organizzazioni (stante la rilevanza di tale elemento in base al meccanismo proporzionale di determinazione dei seggi spettanti a ciascuna organizzazione).

Né il fatto che non siano state compulsate tutte le organizzazioni imprenditoriali in sede di verifica è una circostanza rilevante, come assume l’appellante, in quanto sintomatica di violazione del precetto di imparzialità; è chiaro infatti che il controllo sui dati autodichiarati, per evidenti ragioni di speditezza procedimentale, si svolge (salvo tassative ipotesi contrarie espressamente previste dalla legge) quasi sempre a campione, senza che ciò possa ridondare nel vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento.

Né vale osservare che l’Amministrazione fosse già in possesso di tutti i dati rilevanti, atteso che comunque l’Amministrazione regionale non avrebbe potuto attingere, ove mai in suo possesso, al materiale relativo ai precedenti rinnovi dell’organo consiliare, stante la risalenza nel tempo di quei dati e la consequenziale loro irrilevanza ai fini delle nuove designazioni nell’organo camerale.

23. Da ultimo, riguardo alla censura di violazione degli istituti partecipativi, il Collegio condivide quanto affermato dai primi giudici in ordine alla dubbia qualificazione in termini di atto di secondo grado del provvedimento impugnato in primo grado.

L’ammissione con riserva della appellante era stata infatti disposta in esecuzione della citata ordinanza cautelare del Tar, ma in relazione a una precedente e distinta esclusione, disposta con una motivazione (v. sul punto quanto osservato al paragrafo n. 1) tutt’affatto difforme rispetto a quella qui oggetto di scrutinio. E’ indubbio pertanto che la esclusione impugnata in questa sede incide sulla efficacia della precedente ammissione con riserva, ma non con gli effetti propri dell’atto adottato in autotutela. Il che vale ad escludere, nella fattispecie, l’applicabilità degli istituti partecipativi, posto che l’esclusione è maturata a causa del mancato adempimento da parte della odierna appellante, nel termine all’uopo assegnato dalla Regione, dell’incombente istruttorio di cui si è più volte detto.

E ciò anche a voler tralasciare le pur assorbenti considerazioni in ordine alla irrilevanza causale, ai sensi dell’art. 21 octies della legge n.. 241/90 ed alla luce di quanto già dedotto in diritto, dell’apporto collaborativo procedimentale della associazione appellante sulla determinazione dei contenuti del provvedimento finale, ed alla consequenziale intangibilità dello stesso per tale ipotizzato vizio del procedimento (per quanto esposto, da ritenere insussistente).

24..In definitiva, l’appello va respinto e va confermata la impugnata sentenza.

Le spese del secondo grado di lite possono essere compensate tra le parti, avuto riguardo alla particolarità della vicenda trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 165/11), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate del secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *