Cass. civ. VI – 1, Sent., 01-06-2012, n. 8914 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto in data 17 novembre 2010, la Corte d’appello di Torino ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da Z. A. ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, sul rilievo che la durata del procedimento penale, cui si riferiva l’istanza, a partire dal 22 gennaio 2007 (data della notificazione di decreto di perquisizione e di informazione di garanzia, nonchè di ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari) fino al 23 aprile 2009 (data in cui il GIP aveva emesso ordinanza di archiviazione), risulta pari a due anni e tre mesi, e quindi non può considerarsi irragionevole.

Per la cassazione del decreto della Corte d’appello lo Z. ha proposto ricorso, con atto notificato il 26 gennaio 2011, sulla base di due motivi.

L’Amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, commi 1 e 2 e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3. Avrebbe errato la Corte territoriale a considerare del tutto irrilevante il periodo trascorso prima che l’indagato venisse a conoscenza della pendenza del procedimento, omettendo quindi di tenere conto del fatto che il ricorrente venne iscritto come indagato nel registro delle notizie di reato già nel 2005 e che nell’ottobre 2005 vennero disposte intercettazioni telefoniche. Inoltre erronea sarebbe l’affermazione secondo cui il termine di ragionevole durata del processo penale non avrebbe nulla a che vedere con quello di durata massima delle indagini del pubblico ministero. E’ lo stesso codice di procedura penale, infatti, a prevedere dei limiti cronologici per la fase delle indagini preliminari, e questi debbono essere considerati e valutati ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2.

Il secondo mezzo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

I motivi – i quali possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione – sono infondati.

E’ esatto che in tema di equa riparazione, la nozione di causa, o di processo, considerata dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cui ha riguardo la L. n. 89 del 2001, art. 2, s’identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuova o subisca, in tale novero comprendendosi anche quello relativo alla fase delle indagini che precedono il vero e proprio esercizio dell’azione penale, la quale perciò, ove irragionevolmente si sia protratta nel tempo, ben può assumere rilievo ai fini dell’equa riparazione (tra le tante, Cass., Sez. 1^, 15 settembre 2005, n. 18266). Sennonchè, occorre considerare che il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del procedimento decorre dal momento in cui l’indagato ha conoscenza diretta dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti (Cass., Sez. 1^, 8 novembre 2010, n. 22682; Cass., Sez. 1^, 27 ottobre 2011, n. 22461). Nella valutazione della durata del processo penale si deve tener conto, cioè, della fase delle indagini preliminari solo dal momento in cui l’indagato abbia avuto concreta notizia della pendenza del procedimento nei suoi confronti: pertanto, in mancanza di altri elementi, qualora l’indagato sia stato raggiunto da notifica di decreto di perquisizione e di informazione di garanzia e, contestualmente, da ordinanza cautelare nella fase delle indagini preliminari, è dalla data di detta notifica e di esecuzione di tale provvedimento che la pendenza del procedimento deve ritenersi conosciuta (Cass., Sez. 1^, 20 settembre 2010, n. 19870).

E nella specie a tale principio si è attenuta la Corte territoriale, giudicando irrilevante ai fini del computo della durata irragionevole il periodo delle indagini anteriore alla notifica del decreto di perquisizione e all’esecuzione dell’ordinanza cautelare, perchè non conosciute dall’indagato.

Cade, pertanto, la premessa dalla quale muove il ricorso, che invece vorrebbe vedere computato e calcolato l’intero periodo di durata delle indagini preliminari, anche anteriore al momento in cui l’indagato ne ha avuto concreta conoscenza.

Per il resto, nel considerare congrua la durata di due anni e tre mesi, la Corte del merito neppure si è discostata dai parametri tendenzialmente fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (tre anni per il giudizio che si svolge in un unico grado: Cass., Sez. 1^, 5 dicembre 2011, n. 25955), a-vendo il decreto impugnato evidentemente effettuato una valu-tazione ancorata alla ordinaria complessità delle indagini, relative a reati contro la pubblica amministrazione.

Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’Amministrazione controricorrente, che liquida in complessivi Euro 565 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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