Cass. civ. VI – 1, Sent., 01-06-2012, n. 8912 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto in data 21 dicembre 2009, la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da M. M. ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, sul rilievo che la durata del processo penale, cui si riferiva l’istanza, a partire dall’arresto eseguito nei suoi confronti il 20 luglio 2003 sino alla sentenza d’appello del 18 settembre 2008, risulta pari a circa cinque anni, ed è quindi in linea con i parametri CEDU per il primo ed il secondo grado del giudizio di merito.

Per la cassazione del decreto della Corte d’appello il M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 3 febbraio 2011, sulla base di tre motivi.

L’Amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla effettiva e ragionevole durata del processo presupposto. Il processo è durato, non cinque anni, ma cinque anni, tre mesi e quindici giorni; inoltre l’imputato, condannato in primo grado nel settembre 2003, ha dovuto attendere cinque anni per essere assolto in appello.

Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 3 Cost. e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Sarebbe sbagliato proporre tout court un cumulo automatico tra il primo ed il secondo grado. Essendosi il giudizio di primo grado esaurito in pochi mesi, la Corte d’appello avrebbe dovuto fissare l’udienza dibattimentale in un termine ragionevole, tanto più che l’imputato si trovava in custodia cautelare ed era in condizioni psicofisiche molto precarie.

Il terzo motivo prospetta, ancora, violazione e falsa applicazione della L. n. 39 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU. La sostanziale carenza di motivazione del decreto impugnato non consentirebbe di chiarire, ad avviso del ricorrente, perchè la Corte territoriale abbia comunque ritenuto di non riparare il periodo comunque eccedente quello ritenuto ragionevole di durata.

I motivi – i quali possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione – sono infondati.

Il decreto impugnato – nel giudicare ragionevole, nei due gradi di giudizio, la durata del processo penale, protrattosi per poco più di cinque anni – non solo offre una sintetica, ma sufficiente motivazione, idonea a dar conto dei criteri in base ai quali la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento, ma neppure si è discostato dai parametri tendenzialmente fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (tre anni per il giudizio di primo grado e due per il giudizio di appello) (Cass., Sez. 1^, 5 dicembre 2011, n. 25955), avendo il giudice del merito – con una valutazione ancorata alla ordinaria complessità di quel processo presupposto – sostanzialmente ritenuto non rilevante il modesto superamento di detta soglia complessiva di appena tre mesi e quindici giorni.

D’altra parte, è erronea la prospettiva del ricorrente di considerare isolatamente il giudizio di appello, atteso che la L. n. 89 del 2001, art. 2, delinea in modo unitario il diritto all’equa riparazione, e correlativamente l’azione con cui il diritto è fatto valere, senza autorizzare frazionamenti o scissioni con riferimento a vicende o fasi del processo: pertanto, benchè sia possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, si deve sempre procedere ad una valutazione complessiva, anche quando il processo si è articolato in gradi e fasi e questo può fare escludere, come nella specie, la sussistenza del diritto, qualora il termine di ragionevole durata di una fase risulti violato, senza però che lo sia stato quello concernente l’intera durata del processo, nelle due fasi di merito.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, in base al principio di soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’Amministrazione controricorrente, che liquida in Euro 565 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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