Cass. civ. VI – 1, Sent., 01-06-2012, n. 8911 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

N.L. ha chiesto alla Corte d’appello di Torino il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo penale innanzi al Tribunale di Massa (RGNR 1599/98) per lesioni personali colpose da incidente stradale, nel quale egli si era costituito parte civile, definito con sentenza di improcedibilità per morte dell’imputato, nonchè del susseguente processo civile promosso, innanzi al Tribunale di Massa, con atto di citazione del 2 ottobre 2002, nel quale era stata riproposta la stessa azione civile.

L’adita Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda con decreto del 29 aprile 2010.

Quanto al processo penale, la Corte territoriale ha rilevato che il N. si è costituito parte civile in data 11 aprile 2000 e che il processo si è definito con sentenza di non doversi procedere per intervenuta morte dell’imputato all’udienza del 9 aprile 2002, con conseguente improcedibilità, in quella sede, dell’azione civile. La Corte di Torino ha considerato il processo penale (che ha avuto, in sè, una durata ragionevole, di appena due anni) non cumulabile con la successiva fase processuale svoltasi in sede civile.

Quanto al processo civile, pendente da sette anni, la Corte d’appello, determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto, ha ritenuto che al ricorrente dovesse essere riconosciuto, per i quattro anni di ritardo, un indennizzo pari ad Euro 3.250, oltre interessi dalla domanda al saldo, sulla base di un importo annuo pari ad Euro 750 per i primi tre anni e ad Euro 1.000 per i successivi anni. L’Amministrazione convenuta è stata altresì condannata al pagamento della metà delle spese processuali sostenute dal ricorrente (liquidate, per l’intero, in Euro 1.100), previa compensazione della restante parte.

Per la cassazione di questo decreto il N. ha proposto ricorso, con atto notificato il 3 dicembre 2010, sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria, cui ha resistito, con controricorso, l’intimata Amministrazione.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU, nonchè vizio di motivazione, là dove il decreto impugnato, pur avendo riconosciuto la sussistenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ha omesso di cumulare tra loro la durata del giudizio penale e quella della causa civile instaurata dal danneggiato.

Il motivo è infondato, perchè il periodo di tempo intercorso tra la costituzione di parte civile nel procedimento penale (nella specie sorto per il reato di lesioni personali da incidente stradale), definito con pronuncia di non doversi procedere per morte dell’imputato, ed il successivo periodo di tempo occorso per la decisione della causa civile promossa dal medesimo danneggiato, onde ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del medesimo evento, non sono cumulabili tra loro (Cass., Sez. 1^, 16 maggio 2006, n. 11493), dal momento che il giudizio civile dovrà tendere, ex novo, all’accertamento dell’an della pretesa risarcitoria. Diverso è il caso che si ha allorquando venga proposta l’azione civile nel giudizio penale e tale giudizio si concluda con una sentenza di affermazione della penale responsabilità dell’imputato e di condanna generica dello stesso (o del responsabile civile) al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile: in tale ipotesi il successivo giudizio civile che venga introdotto per la determinazione in concreto del danno non costituisce un autonomo giudizio, e, stante l’identità della pretesa sostanziale azionata, i due giudizi devono essere sottoposti a una valutazione unitaria (Cass., Sez. 1^, 27 febbraio 2007, n. 4476).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU, nonchè vizio di motivazione, là dove il decreto impugnato ha limitato il diritto all’indennizzo alla sola parte del giudizio civile ritenuta eccedente il termine ragionevole di tre anni.

Il motivo è infondato. In tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, la legge nazionale impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole del processo e non all’intera durata dello stesso; tale modalità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge citata ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana con la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima ( art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) (Cass., Sez. 1^, 19 novembre 2007, n. 23844).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU, nonchè vizio di motivazione, perchè la Corte d’appello avrebbe liquidato l’indennizzo in misura irragionevolmente ridotta rispetto a quanto previsto dalla Corte di Strasburgo, diversificando l’indennizzo per i vari anni di causa in ragione della presumibile minore intensità del disagio.

La censura è infondata. Il giudice del merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (Cass., Sez. 6^-1, 30 luglio 2010, n. 17922).

Anche l’ultimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e vizio di motivazione), attinente alla disposta compensazione per metà delle spese di lite, è infondata, perchè la Corte territoriale ha a tal fine adeguatamente considerato il ridimensionamento delle pretese economiche del ricorrente, attraverso l’esclusione del più ampio periodo indennizzabile e del maggior importo annuale richiesto.

Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’Amministrazione contro ricorrente, liquidate in Euro 495 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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