Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8877 Prove nuove

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La ricorrente impugna la sentenza 30.10.2006, n. 4661 della Corte d’Appello di Roma che, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 13.5.2003, n. 15719/03, accolse la domanda di revocatoria fallimentare, proposta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, dal Fallimento C.T.M. s.r.l. e per l’effetto, dichiarata la natura solutoria delle rimesse disposte entro l’anno anteriore alla sentenza di fallimento 14.12.1995 oltre il limite del fido sui conti correnti 12237 (ordinario) e 280259 (speciale) intrattenuti dalla società fallita presso l’attuale ricorrente banca, condannò quest’ultima alla restituzione per Euro 252.543,85, oltre interessi dalla domanda al saldo, compensando in parte e fino ad un quarto le spese di lite di entrambi i gradi e di c.t.u. La sentenza qui impugnata accolse l’appello del Fallimento, che aveva censurato la pronuncia con cui il giudice di primo grado aveva negato ingresso all’azione ritenendo non provata la scientia decoctionis in capo alla banca, rivalutando il materiale probatorio raccolto e conferendo valore decisivo a nuove produzioni documentali, in particolare apprezzando, ai fini predetti, l’andamento del conto, le risultanze di bilancio e le esecuzioni mobiliari della fallita. Quanto all’elemento oggettivo, il giudice di merito riconobbe natura solutoria alle rimesse sul conto per quantità eccedenti il fido bancario, determinandone l’inerenza a rapporto con concessione di finanziamento revocata il 16.11.1995 e per operazioni computate secondo il criterio del saldo disponibile, applicato lo schema del saldo giornaliero ordinato a partire dai versamenti di pari data e pareggiando gli importi per connessioni dirette fra accrediti e addebiti. A tale stregua, il montante revocato, inferiore al petitum originario di Euro 460.773,90, venne determinato in Euro 60.364,39 sul conto ordinario e Euro 192.179,46, su quello speciale di anticipo su fatture.

Il ricorso è affidato a quattro motivi e resistito con controricorso; le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 184 e dell’art. 345 cod. proc. civ. e art. 153 c.p.c., nonchè mancanza e contraddittorietà di motivazione – omesso esame di circostanza decisiva ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, contestandosi l’ammissibilità di nuove produzioni in appello, ritenute decisive dalla sentenza impugnata ai fini della prova della conoscenza dello stato d’insolvenza in capo all’accipiens, ai sensi del requisito dell’indispensabilità. Tali documenti – la prova della partecipazione di BNL, quale terzo, al pignoramento promosso da creditori della CTM s.r.l. su crediti di quest’ultima – avrebbero preteso, per essere introdotti nel processo, l’espressa domanda di parte e non brevi accenni nella narrativa dell’appello, nè la loro indispensabilità si concilia con la relazione logica, in cui sono state poste le relative circostanze, ad altri elementi.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 352 c.p.c., comma 4, in relazione agli artt. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 167 c.p.c., comma 1 e art. 347 c.p.c., comma 1, oltre che omessa motivazione ed omesso esame dei fatti controversi ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, contestandosi che la sentenza avrebbe mancato di dare adeguato e fedele rilievo alle deduzioni difensive di BNL, sacrificate da una prosa sintetica e sottovalutativa del giudice di merito rispetto agli atti difensivi.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 352, comma 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e all’art. 347 c.p.c., comma 1 e alla L. Fall., art. 67, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, oltre che mancanza ed illogicità della motivazione ed omesso esame di fatti controversi decisivi contestandosi ogni valenza sintomatica della scientia decoctionis ascritta allo sconfinamento del fido.

Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. . 352, comma 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, all’art. 167 c.p.c., comma 1 e all’art. 347 c.p.c., comma 1, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3, 4 e 5, oltre che mancanza della motivazione ed omesso esame di fatti controversi decisivi, contestandosi l’esatta individuazione dell’elemento oggettivo dell’azione alfine accolta e criticandosi le conclusioni della CTU, recepite in sentenza con riguardo ai saldi di computo delle rimesse.

La controricorrente avversa la domanda ritenendo inammissibile il ricorso, perchè volto ad una mera rivalutazione dei fatti, riservata al giudice del merito e comunque respingendo, perchè infondati, tutti i motivi.

1. I quattro motivi, da trattare unitariamente per logica connessione, sono in parte inammissibili ed in parte – il primo ed il quarto altresì – infondati. L’inammissibilità consegue innanzitutto ad un impiego improprio del ricorso per Cassazione, con il quale, secondo indirizzo consolidato cui il Collegio intende dare continuità, "il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e … di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultante probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (Cass. 7921/2011). La sentenza impugnata, invero, da un lato ha fondato il proprio convincimento circa la scientia decoctionis in capo all’accipiens banca muovendo da una pluralità di fattori indiziali, valorizzati in un unitario contesto di elementi veicolanti informazioni gravi precise e concordanti e, dall’altro, non si è limitata all’enunciazione di un quadro astratto di presunzioni, bensì ha puntualizzato il concreto collegamento delle condizioni di operatività della banca rispetto ai descritti elementi, secondo un criterio di sufficienza probatoria chiaramente espresso al fine di illustrare l’effettiva conoscenza dello stato di insolvenza di CTM s.r.l., dando così un rilievo prudente allo status professionale del banchiere (Cass. 8827/2011) e tuttavia nemmeno soffermandosi solo su di esso. Tali fattori poggiano invero, e così giustificando la ragionevolezza delle presunzioni, sulle risultanze effettive dei bilanci, secondo il significato rappresentativo dell’andamento finanziario e del ciclo economico della società affidata, in grave sofferenza e con prospettive di recupero collegate a generiche riprese congiunturali, cioè eventi esterni assolutamente ipotetici, e per il loro collegamento con la pendenza – nell’ottobre del 1994, pochi mesi dopo l’approvazione del bilancio 1993 e nel maggio 1995 – di distinte procedure esecutive presso terzi, in cui terzo era appunto la banca ed infruttuoso ne fu il risultato economico- processuale.

2. Il primo motivo è anche infondato laddove contesta la correttezza dell’acquisizione processuale del predetto dato sui pignoramenti (negativi) presso terzi. I relativi documenti, prodotti per la prima volta in appello, sono alla base della motivazione della sentenza, che ne ha compiutamente valorizzato il legittimo ingresso in quanto indispensabili, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo ratione temporis vigente, conformandosi all’orientamento per cui la norma "come modificata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultante istruttorie già acquisite, indispensabili, perchè dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia;

indispensabilità da apprezzarsi necessariamente in relazione alla decisione di primo grado e al modo in cui essa si è formata, sicchè solo ciò che la decisione afferma a commento delle risultante istruttorie acquisite deve evidenziare la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario. Tale facoltà deve essere esercitata in modo non arbitrario, in quanto il giudizio di indispensabilità, positivo o negativo, deve essere comunque espresso in un provvedimento motivato (Cass. 26020/2011). E tale indispensabilità significa capacità "di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado" (Cass. s.u. 8203/2005), come avvenuto nella fattispecie.

Sul punto il Collegio osserva che la motivazione in limine della decisione impugnata da conto proprio ed esaustivamente di tale ritenuta ammissibilità, in conformità all’indirizzo per cui è sufficiente che, come attesta il giudice di merito, con l’atto di appello i nuovi documenti siano depositati dalla parte (Cass. s.u.

8203/2005; Cass. 12731/2001), secondo un’accezione di specificità che appare compatibile, diversamente da quanto contestato dall’appellato qui ricorrente, anche dalla correlazione espositiva che connetta atto difensivo ed elenco dei documenti a corredo. Non appare invero logico pretendere, come invocato nel motivo, una richiesta espressa di autorizzazione alla produzione, che la parte dovrebbe rivolgere al giudice, al fine di potere inserire nel processo i documenti di cui sia predicata l’indispensabilità: al di là dell’applicabilità alla vicenda dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo ratione temporis vigente anteriore alla modifica di cui alla L. n. 69 del 2009 (che ha introdotto identica e più esplicita regola di ingresso anche per i documenti) e dunque osservandosi che, dalla stessa sentenza, emerge una novità – le esecuzioni presso terzi – ricognitiva di eventi riferibili alla debitrice e già quanto meno allegati nel loro complesso in primo grado (ed ivi non correttamente apprezzati), la ricorrente mal intende il citato arresto delle Sezioni Unite ove esso ne tratteggia la produzione, per il condizionamento all’espressa richiesta della parte, da cui potrebbe prescindere il solo giudice del lavoro, rispetto ai pretesi maggiori limiti in capo al giudice ordinario. Proprio Cass. s.u.

8203/2005 menziona il "distacco temporale tra il momento della produzione di documenti e quello della loro ammissione, come è significativamente attestato dall’art. 87 disp. att. c.p.c. che, per i documenti offerti in comunicazione dalle parti (dopo la loro costituzione), dispone il deposito in cancelleria con la comunicazione del relativo elenco alle altre parti ex art. 170 c.p.c., u.c., non certo per escludere un giudizio sulla loro ammissibilità, la cui richiesta è implicita nella stessa produzione, ma per consentire che anche su di essa venga assicurato un effettivo contraddittorio", in adesione all’assunto "secondo cui la distinta menzione dei "documenti" (oggetto di produzione) e "mezzi di prova" (oggetto di richiesta di ammissione) (cfr. artt. 184 e 345, questo nel testo anteriore alla L. 14 luglio 1950, n. 581) ed il parallelismo con cui questi strumenti vengono disciplinati (parallelismo presente anche nell’art. 416, comma 3) sono di fatto determinati dal particolare meccanismo che la richiesta di prova per documenti comporta: la produzione dell’atto, come fatto che materialmente precede, e necessariamente implica e formalmente esprime, questa richiesta" (v. anche Cass. 11346 e 21561/2010). La motivazione censurata è dunque congrua e logica, anche in punto di ammissione del documento, allorchè connette un quadro indiziario esterno alla banca ad una circostanza storica – i pignoramenti presso terzi – ad essa riferibile in via diretta.

3. Il quarto motivo è altresì infondato laddove, contestando l’idoneità del criterio del saldo disponibile a fissare le date di effettiva acquisizione delle rimesse della società debitrice, ha rilevato l’assenza in capo ad essa banca di qualsivoglia onere di contrasto rispetto alla presunzione così raggiunta dagli elementi istruttori acquisiti nel giudizio di merito. Anche invero a voler riconoscere nella generica prosa enunciativa del quesito una (alternativa) regula juris per cui la banca non avrebbe alcun onere probatorio nel dimostrare una diversa data di utilizzabilità dei pagamenti per i quali è convenuta in revocatoria, si tratta di un principio di diritto del tutto errato, poichè evita di confrontarsi con l’effetto di traslazione della prova che normalmente, ed anche in questo caso, opera una volta qualificata la citata molteplicità di circostanze, da parte del giudice di merito, quali presunzioni semplici (Cass. 391/2010; 4277/1998). La sentenza di merito ha adeguatamente individuato le rimesse revocabili in quelle extra fido e ne ha computato, secondo l’ipotesi meno severa delle due formulate dal C.T.U., una data di utilità economica siccome coincidente con quella del saldo disponibile fissato, per convenzione, con la data di registrazione di alcune operazioni in avere del correntista e con la data di valuta per accredito di assegni, sconto di effetti e anticipazioni salvo buon fine. Una diversa rideterminazione del saldo via via disponibile, invocata dalla ricorrente come criterio correttivo, non risulta essere stata opposta puntualmente mediante specifica allegazione di circostanze idonee a supportare probatoriamente la differente datazione dell’incasso, operazione per operazione ed indicando in quale atto ciò avvenne, con quale mezzo probatorio, per quale difesa sostenuta avanti al giudice di merito ed asseritamente pretermessa (dunque violando il motivo anche il principio della necessaria autosufficienza del ricorso, su cui v.

Cass. 1716/2012).

Quanto al regolamento delle spese, se ne dispone la liquidazione, nella misura indicata in dispositivo, secondo le regole della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente B.N.L. s.p.a. alle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente, che si liquidano in Euro 6.200,00, di cui 6.000,00 per onorari e 200,00 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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