Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8876 Quota di partecipazione sociale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 27 dicembre 1999 i sigg.ri V., A., Ro., R. e L.D. citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani la società Siesca di Leone Domenico & C. s.a.s. (poi trasformata in Siesca s.r.l.) per conseguire la liquidazione delle loro quote di partecipazione alla società in conseguenze dell’avvenuto recesso.

Il tribunale accolse la domanda e, sulla scorta di una relazione redatta dal consulente tecnico d’ufficio, determinò in Euro 135.033,32 l’importo spettante a ciascuno degli attori.

La Siesca interpose gravame e nel giudizio di secondo grado intervenne anche il Credito Emiliano s.p.a., al quale erano stati frattanto ceduti i crediti dedotti in causa.

Con sentenza resa pubblica il 28 dicembre 2009 la Corte d’appello di Bari confermò integralmente la decisione di primo grado disattendendo tutte le censure formulate dalla società impugnante, ivi comprese quelle nelle quali erano state avanzate critiche all’operato del consulente tecnico, cui il tribunale aveva prestato piena adesione.

Per la cassazione di tale sentenza propone ora ricorso la Siesca, insistendo nelle proprie critiche alle valutazioni operate dal consulente tecnico e lamentando che la corte distrettuale, che quelle critiche ha disatteso, così facendo abbia violato l’art. 2289 c.c. e l’art. 101, comma 5, del testo unico sulle imposte sui redditi, oltre ad incorrere in vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Ha resistito con controricorso la Jupiter Asset Management s.r.l., quale procuratrice speciale della Jupiter Finance s.p.a., a propria volta mandataria della Zeus Finance s.r.l., che si è qualificata come cessionaria, all’esito di ulteriori trasferimenti, dei crediti originariamente vantati dai sigg.ri L. nei confronti della Siesca.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Nessuna delle norme di legge cui la ricorrente fa riferimento appare essere stata violata. Non l’art. 2289 c.c., essendo state liquidata le quote spettanti ai soci receduti sulla base della situazione patrimoniale della società al tempo del recesso, quale accertata nel giudizio di merito. E neppure l’invocata disposizione della legge fiscale, che non appare pertinente, giacchè la determinazione del patrimonio sociale ai fini della liquidazione della quota spettante al socio receduto va operata in base a parametri valutativi sui quali, ovviamente, l’esistenza di eventuali credito o debiti verso il fisco possono incidere, ma che non per questo sono giuridicamente ancorati alla, normativa fiscale.

Le censure formulate nel ricorso attengono, con ogni evidenza, al merito del giudizio espresso dalla corte d’appello in ordine alla situazione patrimoniale che funge da base per la liquidazione delle quote spettanti ai soci receduti. Si risolvono, quindi, in censure di merito, come tali estranee all’ambito del giudizio di legittimità.

Neppure può d’altronde ravvisarsi, nel ricorso, la corretta ed effettiva deduzione di un qualche vizio di motivazione, riconducibile alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Infatti, le considerazioni sulla pretesa inesigibilità di una parte dei crediti sociali si traducono nell’inammissibile richiesta di rivisitare gli atti di causa e non valgono comunque a superare il decisivo rilievo dell’impugnata sentenza secondo cui "l’incidenza degli insoluti è stata considerata mediante un’operazione contabile … calcolata con un abbattimento spalmato sulle diverse poste considerate a rischio".

Quanto poi alla cosiddetta "fiscalità latente", di cui la ricorrente imputa al consulente tecnico di non aver tenuto conto nel ricostruire il valore patrimoniale dell’azienda sociale, dolendosi poi del fatto che la corte d’appello abbia disatteso le sue censure sul punto, è sufficiente osservare che i rilievi formulati in ricorso appaiono assolutamente teorici – e pertanto privi dell’indispensabile requisito della decisività – nulla essendo indicato, nè nella sentenza impugnata nè nel ricorso stesso, che permetta in concreto di comprendere quali siano le "plusvalenze latenti" alle quali in concreto la società ricorrente fa riferimento, da che elemento siano state ricavate, o le si possa ricavare, e come la loro considerazione abbia (o non abbia) giocato un ruolo nella valutazione finale del valore del patrimonio sociale compiuta in sede di merito.

La reiezione del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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