Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. M. E., dipendente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, inserito nel ruolo dell’ex carriera di concetto della Direzione generale della Motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, ricorreva al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ricordando di essere stato soggetto di un provvedimento di sospensione obbligatoria dal servizio dal 16 ottobre 1980, in quanto imputato e tratto in arresto per il reato di falso per fatti accaduti nei mesi di ottobre e novembre 1979.
Con provvedimento in data 28 giugno 1982, l’Amministrazione ne aveva disposto la sospensione facoltativa in relazione ai medesimi fatti.
A seguito dell’entrata in vigore della legge 7 febbraio 1990, n. 19, egli veniva riammesso in servizio dal 15 marzo 1990. Con decreto del Ministro dei trasporti del 27 dicembre 1990, era quindi inserito nei ruoli della Direzione generale di cui sopra, con decorrenza 1° giugno 1985. Il 16 febbraio 1993 la Corte d’Appello di Napoli dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti. La Corte di Cassazione annullava con rinvio tale sentenza ed il giudice del rinvio condannava l’E., con sentenza 7 luglio 1995, n. 626, passata in giudicato, per il reato di falso continuato in atto pubblico.
1.1 In data 28 maggio 1996 l’Amministrazione iniziava un procedimento disciplinare a suo carico, conclusosi con provvedimento del 29 novembre 1996, n. 2584, di licenziamento senza preavviso del dipendente.
Impugnato l’atto presso il Collegio arbitrale del Ministero, con decreto n. 2820 del 20 ottobre 1997, la sanzione espulsiva veniva annullata con la precisazione che "(…) nulla è dovuto (…) per il pregresso periodo di sospensione patita (…)".
2. Contro il decreto 2820 del 1997 (nella parte in cui disponeva che nulla fosse a lui dovuto) ricorreva l’E. presso il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, eccependo l’erronea sottoposizione del procedimento disciplinare all’articolo 27, comma 7, del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) – Ministeri 1994/1997, non potendo tale norma – entrata in vigore il 17 maggio 1995 – disporre per fatti precedenti tale data.
L’articolo 27, comma 7, ora richiamato prevede che "in caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena, quanto corrisposto nel periodo di sospensione cautelare a titolo di indennità verrà conguagliato con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio".
Egli domandava pertanto l’accertamento del diritto a percepire, per l’intero periodo di sospensione cautelare dal servizio, la retribuzione di cui all’articolo 96 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico impiegati civili dello Stato), norma a suo avviso applicabile al suo caso. In via subordinata, veniva richiesto che fosse quanto meno a lui riconosciuta l’indennità ex art. 27, comma 6, del citato CCNL. Ciò in quanto, avendo egli subito una sospensione cautelare dal servizio maggiore di quella di cinque anni prevista dall’articolo 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, aveva conseguentemente diritto ad una restitutio per il periodo eccedente.
2.1 Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sezione IIIter, con sentenza n. 3238 del 2 maggio 2005 respingeva il ricorso.
Il giudice di primo grado riteneva corretta l’applicazione fatta dall’Amministrazione dell’articolo 27, comma 7, del CCNL Ministeri sopra riportato: solo in caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena, riteneva il Tribunale amministrativo, viene conguagliato al dipendente sospeso quanto corrispostogli come indennità durante la sospensione, con quanto spettantegli se rimasto in servizio.
Dalla ricostruzione dei fatti, a giudizio del Tribunale amministrativo, il ricorrente risultava definitivamente condannato per falso continuato in atto pubblico con sentenza della Corte di Cassazione n. 626 del 7 luglio 1995: successivamente quindi all’entrata in vigore del CCNL della cui applicazione si tratta (17 maggio 1995).
Nemmeno poteva essere applicabile l’articolo 41 del CCNL, che fa salva la disciplina previgente del Testo unico sugli impiegati civili dello Stato per i procedimenti disciplinari in corso, in quanto l’azione disciplinare risultava anch’essa iniziata successivamente all’entrata in vigore del suddetto CCNL, e cioè il 28 maggio 1996.
Da ultimo, il Tribunale amministrativo non riteneva invocabile il comma 6 dell’articolo 27 del più volte richiamato CCNL, relativamente all’erogazione di una indennità pari al 50 per cento della retribuzione fissa mensile più gli assegni familiari dovuti, in quanto da una parte la norma faceva riferimento alle sole sospensioni disciplinate dallo stesso articolo 27 (sospensione cautelare in caso di procedimento penale), e dall’altro la sospensione del ricorrente, legittimamente disposta in base alla normativa precedente l’entrata in vigore della legge 7 febbraio 1991, n. 19, si era integralmente esaurita prima dell’entrata in vigore del CCNL.
3. Contro tale decisione del Tribunale amministrativo regionale veniva proposto appello al Consiglio di Stato.
Il ricorrente riproponeva i motivi già avanzati ed in particolare l’erronea interpretazione data all’articolo 27 del CCNL, che riteneva, come esposto in primo grado, applicabile al suo caso.
3.1 La causa veniva deferita in decisione alla pubblica udienza del 29 marzo 2011.
Ad una valutazione degli elementi che emergevano sia dal fascicolo di primo grado che da quello di appello, sembrava riscontrarsi una carenza documentale che il Collegio riteneva dovesse essere colmata, al fine di addivenire ad una compiuta analisi dei fatti.
Con ordinanza n. 2300 del 14 aprile 2011, la Sezione disponeva di acquisire da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i seguenti atti:
1) il provvedimento disciplinare del licenziamento;
2) il provvedimento del collegio arbitrale costituito presso il Ministero che accolse il gravame dell’Ercolino;
3) eventuali altri provvedimenti disciplinari successivi alla decisione del suddetto collegio arbitrale;
4) i provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio e il provvedimento di riammissione in servizio;
5) la sentenza di condanna penale definitiva.
Veniva altresì richiesta al Ministero una dettagliata relazione da cui risultassero:
a) i motivi della sospensione cautelare dal servizio e il relativo titolo (sospensione facoltativa/obbligatoria) e la durata complessiva della sospensione cautelare;
b) se vi è stata o no corresponsione dell’assegno alimentare durante il periodo della sospensione cautelare dal servizio e, in caso negativo, i motivi della mancata corresponsione;
c) se la condanna penale abbia comportato detenzione e la sanzione penale definitiva inflitta;
d) se vi sono stati misure cautelari nel processo penale, di natura detentiva (custodia cautelare, arresti domiciliari).
All’appellante veniva altresì richiesto di produrre le dichiarazioni dei redditi per gli anni della sospensione cautelare dal servizio.
Il termine per i suddetti adempimenti istruttori veniva fissato al 10 ottobre 2011.
In data 3 giugno 2011 il Ministero delle infrastrutture trasmetteva la documentazione richiesta. L’Ercolino vi provvedeva in data 7 ottobre 2011.
4. La causa veniva nuovamente assunta in decisione presso questa Sezione del Consiglio di Stato nella pubblica udienza del 15 novembre 2011.
4.1 Il ricorso merita di essere accolto nei termini che seguono.
Dalla documentazione acquisita risulta confermata la successione temporale e la ricostruzione dei fatti come sopra riportata.
Emerge poi che l’E., tratto in arresto il 16 ottobre 1980 per falso in atto pubblico su mandato della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, sia stato sospeso dal servizio prima obbligatoriamente dal 16 ottobre 1980, e poi facoltativamente dal 28 giugno 1982 sino al 4 agosto 1990.
Allo stesso non risulta corrisposto, nel periodo in esame, alcun emolumento né assegno alimentare.
In materia il Collegio ricorda il precedente di cui a Cons. Stato, Ad. plen., 2 maggio 2002, n. 4, per cui, in base all’articolo 96, secondo comma, del d.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, un pubblico dipendente, già cautelativamente sospeso dal servizio, condannato in sede penale e sottoposto a procedimento disciplinare definito con una sanzione diversa dalla destituzione dell’impiego, ha diritto alla restituito in integrum per il periodo di sospensione cautelare sofferto in eccedenza rispetto alla durata della sanzione disciplinare. Dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare, va però dedotto l’importo delle retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva, quand’anche questa non sia stata interamente scontata (nello stesso senso: Cons. Stato, VI, 3 febbraio 2009, n. 575): invero, la restituzione inerisce, nella sua sostanza giustificativa, all’immediata emersione della non imputabilità al pubblico dipendente del rapporto di servizio e della prestazione lavorativa cui è tenuto. Nel caso di sospensione facoltativa dal servizio, l’interruzione della prestazione lavorativa è imputabile ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione, con riguardo non solo alla opportunità, ma anche alla durata e al mantenimento della sospensione. Il che rende ininfluente che il dipendente sia stato assoluzione assolto con sentenza definitiva.
Va poi considerato che l’Amministrazione risulta, con evidente contraddittorietà, essersi diversamente comportata rispetto al caso in esame nella vicenda riguardante un altro pubblico dipendente, pur se coimputato del ricorrente e condannato alla stessa pena detentiva, a favore del quale è stata disposta la reintegrazione economica.
Di conseguenza, va riconosciuto all’E. il diritto ad ottenere la restituzione delle retribuzioni non corrisposte per il periodo di sospensione facoltativa dal 28 giugno 1982 sino al 4 agosto 1990. Andranno escluse dal computo le retribuzioni corrispondenti alla pena detentiva complessivamente inflitta, anche se non scontata.
Sussistono sufficienti ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso avanzato nei termini di cui in motivazione.
Compensa le spese dell’attuale fase di giudizio.
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