T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 27-12-2011, n. 10237

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espongono preliminarmente i ricorrenti di essere stati assunti nel ruolo di cassa della Banca d’Italia, con conseguente diritto alla percezione dell’indennità di cassa e di rischio, come da corrispondenti previsioni regolamentari.

A seguito del passaggio nel ruolo amministrativo, effettuato in epoca anteriore al 2002, la retribuzione spettante agli interessati è stata decurtata della voce retributiva di cui sopra.

Insorgono i ricorrenti avverso la sopra indicata perdita dell’indennità di cassa e di rischio – realizzatasi all’atto del passaggio nei ruoli amministrativi – articolando le seguenti doglianze:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 202 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, Parte 2, dell’art. 12 del D.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1079, del principio generale del divieto di reformatio in pejus del trattamento economico percepito, della intangibilità ed irriducibilità della retribuzione. Nullità della procedura relativa al passaggio dal ruolo cassa al ruolo amministrativo prevista ed indicata nei Numeri unici dei diversi anni di riferimento.

A fronte del riconoscimento, durante l’intero arco temporale di permanenza nei ruoli di cassa, dell’indennità di cassa e rischio, rilevano i ricorrenti che la Banca d’Italia, con l’istituzione del Ruolo Unico nel 2002, abbia stabilito che, al momento in cui il dipendente percettore dell’indennità di rischio venga adibito a mansioni diverse da quelle di cassa, abbia nondimeno titolo al mantenimento ad personam dell’indennità di che trattasi, mediante riconoscimento di un assegno non riassorbibile, né suscettibile di variazioni e/o adeguamenti per effetto della dinamica retributiva.

Assume per l’effetto parte ricorrente che;

– mentre per i dipendenti transitati dalla cassa al ruolo amministrativo anteriormente al 2002, l’indennità di che trattasi non è stata ulteriormente riconosciuta

– diversamente, per i passaggi successivi a tale epoca, l’emolumento è stato mantenuto nel complessivo compendio retributivo, sia pure con le limitazioni sopra indicate;

per effetto sostenendo che tale ingiustificata disparità di trattamento infici la condotta nel corso del tempo osservata dall’Istituto intimato.

Né, peraltro, l’emolumento di che trattasi avrebbe carattere stricto sensu indennitario, sì da indurre l’obbligatorietà del relativo riconoscimento al solo svolgimento di mansioni di cassa e riscontro: piuttosto atteggiandosi quale elemento costitutivo della retribuzione.

Afferma quindi parte ricorrente che la decurtazione del trattamento retributivo limitatamente all’indennità di che trattasi, effettuata in occasione del passaggio dal ruolo di cassa a quello amministrativo, avrebbe consumato una violazione del principio di intangibilità della retribuzione e di divieto della reformatio in pejus.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, del principio generale della parità di trattamento. Nullità della procedura relativa al passaggio dal ruolo cassa al ruolo amministrativo prevista ed indicata nei Numeri unici dei diversi anni di riferimento.

Ribadisce parte ricorrente il nucleo argomentativo già articolato con il primo motivo di ricorso, assumendo la nullità della procedura di transito nel ruolo amministrativo, segnatamente sotto il profilo dell’ingiustificata difformità di trattamento riservata ai dipendenti di cassa transitati nel ruolo amministrativo, a seconda che il relativo passaggio sia intervenuto anteriormente, ovvero successivamente, al 2002.

3) Diritto a vedersi computata l’indennità di rischio, come accertata nei precedenti paragrafi, nelle voci utili per il calcolo dell’indennità di anzianità.

Rivendicano dunque i ricorrenti, per effetto di quanto sopra esposto, la titolarità del diritto al mantenimento dell’indennità di rischio per tutti gli anni successivi al passaggio dal ruolo di cassa a quello amministrativo, con riveniente computabilità di tale emolumento ai fini della determinazione dei vari istituti retributivi (tredicesima e quattordicesima mensilità, trattamento di fine rapporto, ecc.).

4) ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

In via sussidiaria, assume parte ricorrente che la denegata conservazione dell’indennità in discorso avrebbe comportato un ingiustificato arricchimento in capo alla Banca d’Italia.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente accertamento del diritto come sopra rivendicato ed accessiva condanna dell’intimata Banca d’Italia alla corresponsione dell’indennità di rischio anche a seguito del transito nei ruoli amministrativi, con liquidazione delle somme al titolo di cui sopra spettanti.

Quest’ultima, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 7 dicembre 2011.

Motivi della decisione

1. Ad integrazione e precisazione di quanto esposto in narrativa, giova osservare come la pretesa avanzata dagli odierni ricorrenti trova fondamento nella decurtazione, operata dall’intimata Banca d’Italia, dell’indennità di rischio, conseguente al transito degli interessati dal ruolo di cassa a quello amministrativo.

Diversamente rispetto alla disciplina regolamentare vigente al momento del transito dei ricorrenti nel ruolo amministrativo, in epoche successive il resistente Istituto ha, tuttavia, diversamente disciplinato i criteri di attuazione dell’osmosi dal ruolo di cassa al ruolo amministrativo: di volta in volta riconoscendo una indennità una tantum non pensionabile, ovvero un assegno ad personam.

In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2003, sulla base di un accordo sindacale sottoscritto nel 2002, l’Amministrazione provvedeva ad abolire i ruoli amministrativo e di cassa e ad istituire un ruolo unificato nel quale far confluire tutti i dipendenti dei due ruoli soppressi.

Il suddetto accordo ha previsto che l’indennità di rischio continuasse ad essere corrisposta agli appartenenti al ruolo cassa alla data del 31 dicembre 2002 "fino a quando essi sono adibiti ad attività di cassa ovvero utilizzati in attività di riscontro".

Lo stesso accordo disponeva, inoltre, che "qualora il dipendente, percettore dell’indennità di rischio, venga assegnato ad attività diverse da quelle di cassa e di riscontro, l’importo percepito viene mantenuto a titolo di assegno "ad personam", non riassorbibile e non suscettibile di variazioni e/o adeguamenti per effetto della dinamica retributiva ovvero di avanzamenti di grado".

2. Come sopra precisato il thema decidendum sottoposto all’attenzione del Collegio – essenzialmente incentrato sull’affermata disparità di trattamento fra classi di dipendenti tutti ab origine inquadrati nel ruolo di cassa (in ragione della collocazione temporale del transito nel ruolo amministrativo); nonché sulla violazione del principio di intangibilità della retribuzione e di divieto della reformatio in pejus – va innanzi tutto osservato che, secondo l’orientamento costantemente espresso dalla Cassazione civile, i regolamenti del personale degli enti pubblici costituiscono "atti di autonomia generale, che, concernendo una collettività di lavoratori, indistintamente considerati e singolarmente non identificati, se non attraverso il loro inserimento nell’organizzazione aziendale, realizzano una uniforme disciplina nell’interesse collettivo di tali soggetti, con l’efficacia normativa generalizzata, che è tipica della contrattazione collettiva anche se limitata ad una sola azienda..", sicché "tali regolamenti, non essendo espressione di autonomia normativa, non possono dettare una disciplina autoritativa del rapporto di lavoro dei dipendenti, ma sono norme, ad efficacia interna, che acquistano valore contrattuale.." (cfr. ex multis, Cassazione civile, sez. lav., 8 maggio 2000 n. 5825).

Secondo la Suprema Corte, costituisce principio consolidato "quello secondo cui, conformemente ai principi regolanti l’efficacia degli atti di autonomia privata, qualora ad una disciplina collettiva ne succeda un’altra di analoga natura, si realizza l’immediata sostituzione delle nuove clausole a quelle precedenti, ancorché la nuova disciplina, sia meno favorevole ai lavoratori, posto che il divieto di deroga in peius posto dall’art. 2077, cod. civ., attiene esclusivamente al rapporto fra contratto individuale e contratto collettivo" (Cass. 2 marzo 1988 n. 228; 25 febbraio 1988 n. 2021).

Peraltro questo principio deve essere coordinato con l’altro, altrettanto consolidato, secondo cui "le disposizioni del contratto collettivo non si scorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti, sottratti al potere, dispositivo dei sindacati, ma, invece, operano dall’esterno sul singoli rapporti di lavoro come fonte individuale, sicché nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole per il lavoratore" (Cass. 12 luglio 1986 n. 4517; 26 ottobre 1995 n. 11119).

In definitiva, in caso di successione nel tempo dei regolamenti del personale "si realizza l’immediata sostituzione delle clausole precedenti con le nuove, ancorché queste ultime siano meno favorevoli ai lavoratori, senza che, in contrario, possa invocarsi il divieto di "reformatio in pejus" (che opera sul diverso piano dei rapporti tra contratto individuale e contratto collettivo di lavoro) ovvero l’esistenza di diritti quesiti in capo ai lavoratori, atteso che, per un verso, l’esistenza di un diritto quesito presuppone il riconoscimento dell’esistenza ex lege del diritto, il che è configurabile solo in caso di successione di leggi nel tempo, non anche nell’ipotesi di successione di normativa di origine pattizia, e, per altro verso, di diritti acquisiti può parlarsi solo con riferimento a quei diritti già entrati a far parte del patrimonio dei lavoratori, in relazione ad un evento già maturato, e non con riferimento ad aspettative sorte sulla base di regole previgenti o a semplici pretese di stabilità nel tempo di una regolamentazione di origine pattizia".

3. I principi sopra evidenziato trovano applicazione, ad avviso del Collegio, anche ai regolamenti interni della Banca d’Italia, approvati a seguito di accordi sindacali e adottati nell’esercizio della potestà di autoregolamentazione attribuita a tale Istituto dal R.D. 11 giugno 1936 n. 1067, confermata da successive disposizioni (art. 2 del D.Lgs. 29/1993 e art. 3 del D.Lgs. 165/2001: cfr. al riguardo, Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2003 n. 1264).

Ciò premesso, va in primo luogo escluso che possa configurarsi violazione dei principi sanciti dall’art. 36 della Costituzione, per il solo fatto che gli accordi sindacali – e, quindi la regolamentazione interna via via succedutasi nel tempo – abbiano diversamente disciplinato i passaggi dal ruolo di cassa a quello amministrativo, riconoscendo solo in tempi recenti l’attribuzione di una indennità una tantum, ovvero di un assegno ad personam.

Ciò in quanto, come è noto, la particolare garanzia apprestata dall’art. 36 a tutela del lavoratore subordinato non concerne i singoli elementi retribuitivi, bensì il trattamento economico nel suo complesso (Cass. civ., sez. lav., 26 gennaio 2009 n. 1832).

Più in generale, nel rapporto di lavoro subordinato, la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquista una "presunzione" di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto "anche nel rapporto interno tra le singole retribuzioni ivi stabilite: ne consegue che, ai fini dell’accertamento dell’adeguatezza di una determinata retribuzione, non può farsi riferimento ad una singola disposizione del contratto che preveda un diverso trattamento retributivo per altri dipendenti, l’eventuale inadeguatezza potendo essere accertata solo attraverso il parametro di cui all’art. 36 Cost." (Cass. civ., sez. lav., 28 ottobre 2008 n. 25889).

Nel caso di specie, la censura relativa ad una pretesa disparità di trattamento non si solleva dal rango di mera genericità, non avendo parte ricorrente posto a confronto il trattamento giuridico ed economico complessivo derivante dalla regolamentazione, di origine pattizia, vigente nel periodo di interesse per i dipendenti di cassa ed amministrativi dell’Istituto.

Né le previsioni indiziate di "sintomaticità" con riferimento alla sostenuta disparità di trattamento (ovvero, quelle adottate in vista dell’unificazione degli uffici di cassa e riscontro) assurgono ad idoneo tertium comparationis, posto che, le stesse hanno riguardato, diversamente dai pregressi processi di "osmosi" realizzati su base volontaria, un processo di complessiva ristrutturazione e riorganizzazione dell’Istituto, sostanzialmente "imposto" ai dipendenti coinvolti.

E’ quindi logico (come correttamente evidenziato dalla difesa dell’Istituto) che la Banca abbia definito con le organizzazioni sindacali un peculiare trattamento economico per i dipendenti coinvolti nel processo di ristrutturazione.

4. Neppure condivisibili appaiono le argomentazioni relative ad un preteso "demansionamento", con la conseguente richiesta di disapplicazione della disciplina pattizia asseritamente contrastante con l’art. 2103 c.c, ovvero, secondo una prospettazione di tipo pubblicistico, di applicazione analogica del c.d. divieto di reformatio in pejus del trattamento retributivo dei dipendenti statali desumibile dall’art. 202 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3.

In entrambi casi, appare dirimente la natura dell’indennità c.d. di rischio, la quale non appartiene al novero degli elementi "fissi e continuativi" delle retribuzione (si confronti, al riguardo, l’art. 1, comma 226, della legge 23 dicembre 2005 n. 266, che reca l’interpretazione autentica dell’ art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993 n. 537), ai quali, esclusivamente, si applica il suddetto principio di trascinamento della retribuzione (cfr. Cons. Stato, Adunanza plenaria, decisione n. 14/2006).

Nel caso in esame, non è contestato che presupposto per il riconoscimento dell’indennità di rischio sia l’inquadramento formale nel ruolo di cassa, con conseguente attribuzione delle relative mansioni e responsabilità.

Detta indennità risulta, invero, del tutto analoga a quella erogata nel settore creditizio privato ed è volta a compensare le peculiari responsabilità collegate al maneggio di denaro e valori, o comunque a mansioni a queste strettamente connesse.

In pratica, si tratta di indennità erogata esclusivamente a fronte del "rischio" connaturato a tale attività (Cassazione civile, sez. lav., 23 novembre 1995 n. 12119): sì da consentire di escludere che il fondamento giustificativo della riconoscibilità dell’emolumento possa essere legittimamente ravvisato in attività di lavoro che non comportino l’esposizione ad omologhe connotazioni prestazionali.

Analoghi principi sono stati espressi dalla Cassazione civile, secondo cui (cfr. Cass., sez. lav., 19 febbraio 2008 n. 4055) il principio dell’irriducibilità della retribuzione, dettato dall’art. 2103 c.c., riguarda le sole voci della retribuzione compensative di qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni, ma non si estende a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa, e cioè caratteristiche estrinseche non correlate con le prospettate qualità professionali della stessa, e, come tali, suscettibili di riduzione una volta venute meno, nelle nuove mansioni, quelle modalità di effettuazione che ne risultavano compensate.

5. Né, da ultimo, parte ricorrente adduce alcun condivisibile fondamento alla pretesa indennitaria dedotta, ancorchè in via sussidiaria, con riferimento alla previsione dettata dall’art. 2041 c.c.

Ribadito che l’indennità di rischio trova fondamento nello svolgimento di peculiari prestazioni lavorative (delle quali l’Istituto resistente non si è giovato, perlomeno a decorrere dal passaggio di ruolo cassaamministrativo), non si dimostrano configurabili gli elementi costitutivi della fattispecie dell’ingiustificato arricchimento, con riferimento alla locupletazione di utilità economicamente valutabili in capo al datore di lavoro con corrispondente depauperamento del prestatore.

6. L’esclusa fondatezza delle esaminate doglianze impone la reiezione del gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di giudizio in favore della Banca d’Italia per complessivi Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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