Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8872

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 22 marzo 1985 la signora T. P.F., in proprio e quale rappresentante della figlia minore S.A., nonchè S.M., F. S. e S.B. convenivano dinanzi al Tribunale di Matera l’Enel S.p.A. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da occupazione di un terreno agricolo di loro proprietà, con demolizione dei fabbricati sovrastanti, per la costruzione di un centro operativo di lavoro dell’Enel, senza che fosse poi emesso il decreto di esproprio, nè determinata l’indennità loro spettante.

Costituitosi ritualmente l’Enel eccepiva la sopravvenienza di proroghe legali che rendevano tuttora in corso l’occupazione legittima.

Con sentenza non definitiva emessa il 12 marzo 1998 il Tribunale di Matera dichiarava il diritto delle attrici al risarcimento del danno e nel prosieguo, esperita consulenza tecnica d’ufficio, condannava l’Enel al pagamento della somma di L. 178.211.400, oltre interessi e rivalutazione fino al soddisfo, per l’irreversibile trasformazione dell’area occupata.

Sul successivo gravame della SEI spa, quale mandataria dell’Enel e conferitaria del ramo d’azienda immobiliare interessato dall’opera, la Corte d’appello di Potenza con sentenza 1 agosto 2005 dichiarava inammissibile l’impugnazione avverso la sentenza non definitiva del tribunale e, disposta la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, condannava con sentenza 29 dicembre 2009 la Sei s.p.a. al pagamento della somma di Euro 214.744,24, oltre gli interessi legali e la rifusione dei due terzi delle spese del doppio grado, con compensazione della residua frazione.

Motivava, per quanto ancora controverso in questa sede, che era inammissibile la domanda delle signore S. volta ad ottenere la maggiorazione del risarcimento, perchè non prospettata in un tempestivo atto di gravame, bensì formulata solo nella comparsa conclusionale.

Avverso la sentenza, non notificata, le sigg. S. proponevano ricorso per cassazione, articolato in due motivi e notificato l’8 febbraio 2011.

La parte resistente non svolgeva attività difensiva ma partecipava alla discussione all’udienza dell’11 aprile 2012, in cui il procuratore generale ed i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con motivo formalmente unico le ricorrenti deducono la violazione di legge e la carenza di motivazione nel ritenere preclusa la richiesta del maggior valore dei suoli occupati, in forza delle sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.

Assumono che doveva conseguirne la liquidazione del danno in misura pari al valore di mercato del terreno, in applicazione anche officiosa dello jus superveniens, in ogni stato e grado, in difetto di giudicato interno, nella specie insussistente.

Il motivo è infondato.

E’ corretta la statuizione di inammissibilità della domanda tendente ad ottenere una maggiorazione del risarcimento in relazione all’effettivo valore del fondo ablato, in virtù della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, (Legge Finanziaria 2008), che ha fatto seguito alle sentenze 24 ottobre 2007 numero 348 e 349 della Corte costituzionale. Affinchè i nuovi criteri siano applicabili ai giudizi in corso occorre la pendenza della controversia in ordine all’entità del danno risarcibile; la cui liquidazione sia quindi tuttora sub judice: il che, in grado d’appello, avviene se il proprietario dei terreno espropriato abbia gravato la decisione di primo grado con uno specifico motivo in punto quantum debeatur. Tale evenienza, nella specie, non si è verificata: come rilevato dalla corte territoriale e ammesso, de plano, dalle stesse ricorrenti.

Queste invocano il carattere sopravvenuto della dichiarazione di incostituzionalità del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis nel corso del grado d’appello: implicitamente invocando la scusabilità dell’omesso gravame e la rimessione in termini.

Ma l’argomento non ha pregio.

L’applicazione, anche officiosa, del parametro del valore pieno di mercato sarebbe ammissibile se le signore S. avessero impugnato per qualsivoglia ragione, anche estranea all’applicazione dell’art. 5 bis, la sentenza di primo grado in ordine alla liquidazione del risarcimento; pur senza sollevare, esse stesse, l’eccezione di incostituzionalità della norma. In assenza di tali presupposti, il thema decidendum in secondo grado è rimasto ristretto alle censure sollevate dalla sola SEI, unica appellante:

della cui impugnazione – nella parte in cui contestava l’entità del risarcimento liquidato alle proprietarie – queste ultime non si possono certo giovare, ora, per un’inammissibile reformatio in pejus.

Il ricorso è dunque infondato e deve essere respinto; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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