Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-11-2011) 22-11-2011, n. 43054

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del dì 8 febbraio 2011 la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma di quella resa dal Tribunale di Lamezia Terme il 22.04.2008, con la quale M.G. era stato condannato alla pena di mesi due e giorni venti di arresto ed Euro 4.444,00 di ammenda, perchè ritenuto colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, per aver concluso contratto di lavoro giornaliero con due cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno, assolveva l’imputato appellante con la formula "perchè il fatto non sussiste".

La Corte distrettuale poneva a sostegno della decisione la circostanza che agli atti non risultava provato uno stabile rapporto di lavoro, essendo stato provato, semplicemente, che i due cittadini extracomunitari, intercettati in seguito ad un controllo effettato su autovettura in transito, avrebbero dovuto svolgere una giornata di lavoro per il trasporto di legname dietro compenso ancora non percepito. Secondo opinare della Corte distrettuale, inoltre, la presenza dei due cittadini extracomunitari sull’autovettura sottoposta a controllo integrava dato probatorio ambiguo.

2. Ricorre per cassazione avverso la pronuncia di secondo grado il Procuratore Generale della Repubblica di Catanzaro illustrando un unico motivo di doglianza.

Denuncia con esso il Procuratore ricorrente violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, in particolare osservando che la norma incriminatrice non distingue periodi di assunzione più o meno incidenti sulla rilevanza penale della condotta descritta dalla norma incriminatrice, dappoichè richiesta, ai fini della sussistenza del reato, la sola conclusione di un contratto di lavoro con cittadini extracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno, contratto di lavoro, ad avviso del procuratore impugnante, ampiamente provato nel processo.

Osserva altresì parte istante che irrilevante ai fini di causa è la circostanza che la prestazione lavorativa, nel concreto non si era ancora realizzata e che il termine "occupa", usato nella norma incriminatrice, fa riferimento alla stipulazione del contratto di lavoro, non richiedendosi la effettiva prestazione lavorativa per il requisito oggettivo del reato.

3. Il ricorso non può essere condiviso.

Va innanzitutto rilevato che la contravvenzione per cui è causa è allo stato prescritta. La condotta contestata è stata infatti accertata in (OMISSIS), di guisa che ha maturato il termine ultimo prescrizionale il giorno 2.3.2011. In costanza, pertanto, di una sentenza assolutoria perchè insussistente la figura criminosa contestata e del ricorso di legittimità attraverso il quale il rappresentante della pubblica accusa contesta l’interpretazione normativa posta a fondamento dell’assoluzione, si pone la questione giuridico-processuale dei modi in cui si ponga in relazione ad essi (la sentenza di assoluzione ed il ricorso di legittimità) la maturata prescrizione del reato. In presenza infatti di una causa estintiva del reato (quale, appunto, l’intervenuta prescrizione), il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p. solo nei casi in cui le circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione " che a quello di "apprezzamento". In altri termini, perchè l’assoluzione nel merito prevalga sulla causa estintiva del reato, occorre l’"evidenza" della prova dell’innocenza dell’imputato (Cass., sez. 5^, 9.11.2006, 39843).

Analogo modulo argomentativo va adottato nella ipotesi contraria e cioè se la prescrizione non già con una sentenza di condanna si confronti, bensì con una sentenza assolutoria impugnata dal P.M..

Anche in questo caso la sussistenza del reato, negata dal giudice e contrastata dal rappresentante della pubblica accusa, può essere affermata dal giudice dell’impugnazione, evidentemente per poi dichiararne l’estinzione per prescrizione, solo quando sussista l’evidenza della prova del reato e di tutti i suoi elementi costitutivi (Cass., Sez. Unite, 28/05/2009, n. 35490).

Nel caso in esame tutto ciò non ricorre, appalesandosi quanto meno dubbia ed incerta l’interpretazione sostenuta dal procuratore ricorrente in ordine all’interpretazione della norma incriminatrice e sul significato da riconoscere al verbo "occupa", descrittivo della condotta penalmente rilevante, di guisa che la questione posta dal contemporaneo concorso tra causa estintiva del reato e proscioglimento nel merito già deciso nelle fasi processuali precedenti deve essere risolto, in costanza di impugnativa del P.M., anche sulla base del principio del favor rei (SS.UU. innanzi citate;

Cass., sez. 4^, 13.1.2011, n. 13746).

Si impone pertanto il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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