Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-11-2011) 22-11-2011, n. 43052 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte di Appello di Messina con sentenza del giorno 8 luglio 2010 confermava quella pronunciata il 7 aprile 2009 dal tribunale della stessa sede, all’esito di giudizio abbreviato condizionato, e con essa la condanna di R.C., R.F., R.B. e C.G. in relazione ai seguenti reati: R.C.: a) violazione di domicilio pluriaggravata, lesioni personali, danneggiamento aggravato in danno dei coniugi C.M. e D.B.C.; del reato di tentata estorsione aggravata in danno di C.M., commessi in (OMISSIS), il (OMISSIS); b) porto ingiustificato di coltello, sempre in (OMISSIS) il (OMISSIS); R.C., F. e B., in concorso: tentato omicidio aggravato da futili motivi in danno di C.A., commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS);

C.G.: detenzione illecita e priva di autorizzazione di una pistola cal. 45, con matricola abrasa, quindi clandestina, e completa di caricatore e cartucce; ricettazione della stessa;

detenzione illecita di un caricatore supplementare e di una canna supplementare di detta pistola; detenzione illecita, perchè priva di autorizzazione, di 90 cartucce per pistola cal. 45; condotte accertate in (OMISSIS).

2. Le sintetizzate imputazioni riguardano tre diversi episodi, ricostruiti dai giudici di merito come segue.

2.1 Il 12 giugno 2007, verso le ore 15, R.C. irrompeva nell’abitazione degli anziani coniugi C.- D.B., contro la loro volontà e minacciandoli gravemente. Il R., in particolare, dopo aver accusato i coniugi C. di averlo preso in giro per non aver procurato, come promesso, la carta di lavoro necessaria per consentire al padre detenuto il godimento di benefici penitenziari, aveva ripetutamente minacciato di morte le pp.oo., aveva scaraventato il C. a terra ed aveva colpito la D. B. con una bottiglia di olio, accanendosi poi nel danneggiamento e nella distruzione di suppellettili, arredi e utensili di vario genere. A sostegno delle imputazioni contestate all’imputato per tale episodio, i giudici di merito valorizzavano le concordi accuse delle due pp.ll., il verbale di sopralluogo redatto dai CC. intervenuti subito dopo i fatti, i referti medici attestanti le lesioni patite dalle medesime pp.ll., la irreperibilità del ricorrente protrattasi per un giorno prima della sua costituzione ai CC, la non credibilità, giudicata palese, del racconto giustificativo dei fatti offerto in questa sede dal ricorrente.

2.2 Il 17 luglio 2007, intorno alle ore 20,35, i CC. di Alì Terme intervenuti in seguito ad una segnalazione, constatavano la presenza di C.A., riverso sulla strada ed in gravi condizioni, il quale riferiva di essere stato aggredito, colpito con una mazzotta ed accoltellato da R.C., B. e F..

Trasportato in ospedale, il C. veniva operato per emendare lesioni al fegato provocate con un coltello.

A carico dei tre imputati i giudici di merito valorizzavano le dichiarazioni accusatorie della p.l., i referti medici e la perizia medico legale, le testimonianze di G.M.A., commessa del bar ove il litigio tra C. e R.B. aveva avuto inizio, G.G. e D.N., presenti sul posto nel corso dello svolgimento dei fatti, ed in forza degli esiti delle relative dichiarazioni, avevano ricostruito l’episodio affermando che R.B. e F. avevano iniziato a provocare la vittima all’interno del bar, per poi colpirlo, R. B., alla testa con una mazzotta ed al volto con pugni ripetuti;

sul posto arrivava da ultimo R.C., nipote dei primi due, il quale minacciando di morte la vittima e mentre gli altri due lo trattenevano, aveva colpito con due coltellate alla pancia il C., il quale a questo punto aveva tentato una fuga resa vana dagli aggressori, i quali lo avevano ulteriormente percosso.

Il movente della violenta aggressione era stato individuato dai giudicanti di merito nei fatti avvenuti il precedente mese di giugno ai danni dei coniugi C. e nella denuncia che ne era conseguita a carico di R.C..

2.3 Il 21 ottobre 2007, verso le ore 5,30, i CC. di Alì Terme, dovendo dare esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare a carico di C.G., procedevano a perquisizione domiciliare del luogo ove questi dimorava, qui ritrovando la pistola, le munizioni e gli accessori di cui alle contestazioni in atti.

A sostegno del giudizio di colpevolezza i giudici di merito richiamavano il verbale di perquisizione e sequestro redatto nell’occasione dagli operatori di polizia.

3. Avverso la sentenza di secondo grado propongono ricorso di legittimità tutti gli imputati.

3.1 R.C., a mezzo del difensore di fiducia, illustra due motivi di impugnazione.

3.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto ed illogicità della motivazione in ordine al giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte distrettuale in relazione all’episodio che ha visto come pp.ll. i coniugi C.- D.B., in particolare osservando che:

– i giudici di merito hanno individuato il movente dei fatti imputati al ricorrente nell’inerzia del C.M. a procurare la carta di lavoro in favore del padre di R.C., detenuto in carcere ed in attesa di quella documentazione per fruire di discipline di favore;

– tale movente risulta smentito dalla testimonianza dibattimentale di Ca.An., il quale già dal 31.5.2007, eppertanto due settimane prima dei fatti di causa, aveva formato un documento con il quale manifestava la sua volontà e la sua disponibilità ad assumere R.A., padre del ricorrente;

– sul punto la Corte distrettuale ha motivato nel senso della non decisività della circostanza, in quanto, verosimilmente, R. A., al momento dell’aggressione, non aveva ancora beneficiato della dedotta disponibilità del Ca., di guisa che l’imputato aveva riferito ai C. la responsabilità del ritardo;

– l’esposto argomento confligge inesorabilmente con le motivazioni esposte dalla p.l. C. per individuare il movente dell’aggressione, giacchè mai indicata da nessuno la circostanza del ritardo della magistratura nell’esame della documentazione redatta dal Ca.;

– ciò priva di sostegno la motivazione illustrata dalla Corte di merito.

3.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente ancora difetto ed illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione della sua condotta contestatagli in danno di C.A. nei termini delle lesioni volontarie, al riguardo assumendo, in particolare, che:

– nel caso di specie non è provato l’animus necandi in capo all’imputato, tenuto conto delle circostanze che la ferita all’addome non è penetrata in profondità, nonostante l’arma utilizzata lo avrebbe consentito sol che si fosse impresso al colpo una forza maggiore che l’agente, evidentemente, non intese imprimere; che la vittima non corse pericolo di vita; che difettano pertanto nella fattispecie elementi sintomatici della volontà omicida dell’imputato, viceversa ritenuta sussistente dai giudici di merito, i quali sono incorsi, per questo, in una palese contraddittorietà motivazionale.

3.2 R.F., assistito dal difensore di fiducia, illustra quattro motivi di impugnazione.

3.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente contraddittorietà della motivazione, in particolare deducendo che:

– la Corte di secondo grado ha negato credito alla tesi difensiva secondo la quale R.F. non era presente alla fase in cui vi sarebbe stato l’accoltellamento della p.l. perchè nel frattempo allontanatosi dai luoghi del litigio, con l’argomento che non sarebbe plausibile l’allontanamento dell’imputato in costanza di un litigio che vedeva coinvolti i suoi familiari;

– la tesi dei giudicanti è però smentita dalle risultanze dibattimentali;

– dette risultanze dimostrano che i fatti di causa si svilupparono in due fasi distinte, la prima all’interno del Bar nel corso della quale C. venne alle mani con R.B. alla presenza di R.F., conclusasi la quale R.F. si allontanò con la sua moto dai luoghi, e la seconda, successiva, a distanza di pochi minuti, tra lo stesso C.A. e R. C., nel frattempo arrivato presso il Bar del primo scontro, nel corso della quale la p.o. fu colpita da quest’ultimo con una coltellata all’addome;

– tale ricostruzione confligge con quella accreditata dai giudicanti di merito e trova sostegno negli esiti dibattimentali delle prove testimoniali ivi raccolte;

– D.N., anche in sede di prime dichiarazioni, nell’immediatezza dei fatti ha dichiarato di non aver notato R.F., ed esclude che questi abbia inseguito C. A. insieme a R.B. e R.C.;

– la testimonianza del D. smentisce altresì la ricostruzione degli accadimenti riferita da C.A., giacchè se R.F. non inseguì la vittima, non poteva neppure trattenerlo con il fratello B. quando il nipote C. colpiva il C., versione questa esclusa altresì dalla natura delle ferite cagionate, come accertato per nulla profonde e comprovanti che la vittima era di fronte all’aggressore che lo colpiva con il coltello mentre lui si difendeva;

– le dichiarazioni testimoniali di G.M.A., secondo cui C.A. uscì dal bar inseguito dai tre coimputati R., sono smentite dalla stessa vittima che riconosce tranquillamente che C. intervenne in un secondo momento e che era assente nella fase consumatasi all’interno del bar;

– i testi R.S., G.F., A.V., G.G. escludono concordemente la presenza di R. F. quando sul luogo dei fatti giunse R.C.;

– il teste D. nel corso dell’udienza di prime cure ha riferito esplicitamente che R.F. si è allontanato dai luoghi di causa a bordo della sua motocicletta.

3.2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione all’art. 530 c.p.p., comma 2, in particolare osservando che:

– attese le risultanze processuali R.F. avrebbe dovuto essere assolto ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, giacchè non raggiunta la prova della sua partecipazione alla fase dell’accoltellamento della vittima;

– i giudici di appello hanno negato la sussistenza di una prova non adeguata della colpevolezza del ricorrente, ma gli hanno però esplicitamente riconosciuto un ruolo più attenuato, tanto da giustificare con questo argomento una più favorevole decisione sanzionatoria, con ciò incorrendo in una palese contraddittorietà, giacchè o l’imputato ha partecipato alla fase dell’accoltellamento o non vi ha partecipato, 3.2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. ed all’art. 49 c.p., comma 2, in particolare osservando che:

– nessuna volontà omicida animò mai l’imputato, il quale già nella prima fase si adoperò per calmare il fratello B.;

– il C. non ha corso pericolo di vita;

– il colpo non fu sferrato con particolare violenza;

– R.C. non reiterò i colpi;

– le modalità dell’azione e la materialità della condotta escludono l’intento omicida di R.C..

3.2.4 Col quarto ed ultimo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 62 bis c.p. in relazione all’omessa concessione delle circostanza attenuanti generiche, sul rilievo che l’esclusione della recidiva da parte dei giudici di prime cure e la risalenza nel tempo dei non gravi precedenti a carico dell’imputato, avrebbero consentito il riconoscimento dell’invocato beneficio.

3.3 R.B., assistito dai suoi difensori di fiducia, ha proposto distinti ricorsi difensivi. Con quello a firma dell’avv. Salvatore Zingale vengono illustrati due motivi di ricorso.

3.3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione nella sentenza impugnata, in particolare deducendo che:

– illogicamente la Corte di merito ha dedotto l’intento omicida degli imputati dalla descrizione delle lesioni patite dalla vittima e descritte al momento del suo ricovero ospedaliero;

– tanto perchè disattese le conclusioni del perito medico-legale, il quale ha riferito che la vittima non ha mai corso pericolo di vita, che la lesione epatica era relativamente superficiale, che dalla documentazione non si evincerebbe una perdita emorragica importante tanto da richiedere un intervento rianimatorio, e che la parte attinta dall’arma era lontana da organi vitali;

– non sussistono pertanto, nella fattispecie, dati sintomatici attraverso i quali accreditare con certezza l’intenzione omicida dell’agente, il quale certamente non volle affondare i colpi;

– il secondo colpo fu di taglio a dimostrazione che non v’era nell’agente volontà omicida, la quale, se sussistente, avrebbe portato a reiterare il colpo di punta;

– l’offeso potè fuggire;

– non è stato accertato con la necessaria certezza nè la direzione del colpo inferto, nè la posizione dell’aggressore rispetto all’aggredito.

3.3.2 Col secondo motivo di ricorso l’avv. Zingale denuncia difetto di motivazione in ordine alla conferma della entità della pena da parte del giudice di secondo grado.

3.4 L’avvocato Giuseppe Donato, sempre nell’interesse di R. B., illustra anc’egli due motivi di impugnazione.

3.4.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 56, 575, 577 c.p. e art. 192 c.p.p., comma 2, in particolare osservando che:

– principale fonte probatoria a carico dell’imputato è stata riconosciuta nelle dichiarazioni accusatorie della stessa p.l., la quale, peraltro, ha reso versione dei fatti tra esse contraddittorie su punti salienti degli accadimenti per i quali è causa, come la circostanza relativa ai colpi di mazza, dapprima dalla p.o. attribuiti a R.B. e poi dalla stessa p.o. attribuiti a R.F.;

– R.B. è stato assolto dall’uso della mazza di ferro e questo dimostra l’inattendibilità della p.o.;

– non v’è stata da parte della Corte distrettuale una adeguata giustificazione motiva delle contraddizioni dette, a parte l’assunto immotivato che le prime dichiarazioni devono ritenersi più vicine alla verità in quanto rese nell’immediatezza dei fatti;

– è questa una motivazione apodittica ed apparente e non spiega perchè, nonostante esse, l’accusatore debba essere considerato credibile in sè;

– tra le famiglie della p.o. e degli imputati era in atto una forte ostilità e questo non può essere trascurato ai fini della riconosciuta attendibilità delle accuse contraddittorie articolate dal C.;

– il medico legale non ha riscontrato lesioni alla teca cranica, nonostante il C. abbia accusato R.B. di averlo colpito con una mazza alla testa;

– anche la rottura del setto nasale è stata dal perito imputata, con elevata probabilità, ai pugni ricevuti dalla p.o. e non già ad una mazza di ferro;

– sul punto pertanto, sull’uso della mazzotta cioè, palese appare la contraddittorietà della motivazione impugnata, vieppiù aggravata dall’assoluzione del ricorrente dall’accusa di averne fatto uso;

– del pari illogica si appalesa la motivazione impugnata là dove trova argomenti probatori a carico nelle dichiarazioni dei testi D., N., G. e G., i quali mai hanno riferito di aver assistito all’accoltellamento.

3.4.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia l’avv. Donato violazione dell’art. 116 c.p. in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2 e difetto di motivazione sul punto, in particolare osservando che nel caso di specie è stata chiesta in sede di appello l’applicazione della disciplina di cui all’art. 116 c.p. dappoichè, a tutto concedere, l’accoltellatore fu R.C. e R.B. non solo non intendeva attentare alla vita della p.o., ma mai avrebbe potuto prevedere un analogo intento nell’azione del nipote, del quale ignorava del tutto la partecipazione alla rissa armato di coltello.

Sul punto, secondo avviso difensivo, la Corte avrebbe opposto una motivazione apparente.

4. Anche C.G. ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, all’uopo illustrando due motivi di ricorso.

4.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente la manifesta illogicità della motivazione impugnata in particolare osservando che:

– nel caso di specie non ricorre il reato di cui all’art. 648 c.p. giacchè l’imputato ha ammesso di essere l’autore dell’abrasione riscontrata sulla pistola in sequestro, circostanza questa che eliminerebbe il presupposto del reato in parola, la ricezione dell’arma, cioè, di provenienza furtiva;

– nella determinazione della pena la Corte di merito ha articolato una motivazione valida per tutti gli imputati, nonostante l’evidente differenza di posizione processuale tra il ricorrente e gli altri imputati;

– di qui la particolare severità della pena inflitta al ricorrente immotivatamente;

4.2 Col secondo motivo di impugnazione lamenta la difesa ricorrente violazione di legge sul rilievo che la condotta contestata in termini di ricettazione più correttamente andava qualificata illegale ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 23, comma 4. 5. Sul ricorso di R.C..

5.1 La doglianza illustrata nell’interesse di R.C. col primo motivo di impugnazione è infondata.

La esatta individuazione del movente non è infatti decisiva ai fini del sostegno probatorio del giudizio di colpevolezza, che, nella fattispecie, trova ampia piattaforma negli esiti dell’intervento immediato dei CC. presso l’abitazione dei coniugi C., nell’accertamento diretto ed immediato sia dei danni cagionati dall’imputato a mobili e suppellettili sia dell’olio sparso sul pavimento sia dello stato di grave agitazione degli anziani coniugi sia nel loro immediato racconto, coerente e concordate, nonchè nelle attestazioni dei referti medici redatti nell’immediatezza dei fatti.

Nè privo di significato indiziario univoco e concordante appare la circostanza – opportunamente valorizzata dal giudice a quo – che a recarsi presso gli anziani coniugi fu l’imputato, il quale era evidentemente portatore di un interesse, di una esigenza in tal senso, che non può logicamente individuarsi nel malanimo di chi riceve una visita inaspettata bensì in chi quella visita ha perseguito, voluto e cercato.

Ciò posto non può che riconoscersi la coerenza logica dell’argomentare impugnato, dalla quale consegue la natura di merito delle esposte doglianze e con essa la inammissibilità delle censure delibate 5.2 Anche il secondo motivo di ricorso illustrato dalla difesa di R.C. appare manifestamente infondata. Con essa, in particolare, ripropone la difesa ricorrente le medesime censure da essa sottoposte al giudice dell’appello e da questi correttamente confutate con motivazione ampia e coerente, rimasta in questa sede priva di apprezzabili repliche difensive. I giudici di merito hanno infatti dedotto la volontà omicida dell’imputato nei termini del dolo alternativo da elementi sintomatici della condotta di oggettiva significatività, secondo lezione ermeneutica di questa Corte di legittimità, quali: la natura del mezzo usato per colpire, la distanza tra gli aggressori e l’aggredito, la direzione dei colpi e la loro reiterazione, la parte del corpo attinta dalle coltellate, la gravità delle ferite cagionate. Quanto poi in particolare al pericolo di vita, hanno i giudici di secondo grado richiamato gli esiti peritali medico-legali, secondo i quali la morte della vittima fu evitata dall’intervento chirurgico resosi necessario per emendare le lesioni al fegato cagionate da una delle coltellate inferte alla vittima.

Di qui pertanto la evidente genericità delle doglianze difensivamente prospettate, volte ad accreditare una situazione di fatto diversa da quella motivatamente ricostruita dai giudicanti ed a sostituire giudizi di valore proprii rispetto a quelli, anch’essi argomentati adeguatamente, dei giudici territoriali.

6. Sul ricorso di R.F.;

6.1 Le doglianze di cui al primo ed al secondo motivo di ricorso di R.F., omogenei per contenuto e sostanza giuridica, sono manifestamente infondati Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Di qui l’ulteriore corollario, anch’esso costantemente affermato da questa Corte, secondo cui ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata. Ed invero la Corte ha ritenuto provata la presenza ai fatti di causa di R. F., dal momento dell’aggressione nel bar a quello dell’accoltellamento fuori di esso, in forza delle dichiarazioni della vittima, delle testimonianze rese da G.G. e da G.M.A., e dalle stesse dichiarazioni dell’imputato, il quale ha ammesso la sua presenza quanto meno nel momento dell’aggressione consumatasi nel bar, ancorchè rivestendola di intenti pacificatori in verità rimasti del tutto privi del benchè minimo riscontro probatorio. A ciò ha aggiunto la Corte l’argomento logico che appariva inverosimile l’allontanamento dell’imputato nel pieno di un violento scontro che vedeva impegnati il fratello ed il nipote e che i testi invocati dalla difesa in realtà non hanno escluso la partecipazione dell’imputato ai fatti di causa. La tesi difensiva, inoltre, trova la sua essenziale coerenza giustificativa nella ricostruzione dei fatti di causa con essa presupposti, ricostruzione secondo cui, dopo l’aggressione nel bar, i contendenti sarebbero stati separati ed avrebbero posto termine allo scontro, ripreso soltanto pochi minuti dopo con l’arrivo di R. C.. Ma anche questa versione non risulta corroborata da alcun riscontro probatorio, nè a sostegno richiama la difesa istante risultanze processuali, secondo le quali, viceversa, la violenta lite tra gli imputati e la p.l. ebbe inizio nel bar e proseguì fuori senza soluzione di continuità, circostanza questa che, da un lato, priva di sostegno logico la tesi difensiva dell’allontanamento dai luoghi della lite di R.F. prima che essa avesse avuto termine, e dall’altra, giustifica la condivisione prestata dai giudicanti alle testimonianze a carico dell’imputato. I giudici di merito, inoltre, hanno correttamente richiamato il tentativo dell’imputato di incidere sulla testimonianza a sè non favorevole di G.G. attraverso una lettera indirizzata dal carcere al fratello G.F. e logicamente motivato in ordine alle lesioni presenti sulle braccia della vittima (che per la difesa ne contraddirebbero la ricostruzione accusatoria a danno di R. F., il quale non avrebbe potuto trattenere col fratello la vittima mentre il nipote colpiva con il coltello) accreditando un dipanarsi dell’aggressione dapprima caratterizzata dalla difesa con le braccia della vittima e poi dalla sua soccombenza totale. Palese, in conclusione, la natura di merito delle censure prospettate dal difensore.

6.2 Il terzo motivo di ricorso proposto sempre dalla difesa di R.F. è manifestamente infondato per le ragioni già esposte a margine del secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R.C. (par. 5.2 al quale si rimanda).

I giudici di merito hanno infatti adeguatamente indicato i fatti sintomatici dai quali, in piena coerenza con i principi giurisprudenziali reiteratamente affermati da questa Corte di legittimità, è stato logicamente desunto l’intento omicida degli aggressori.

6.3 Quanto, infine, alla censura di cui al quarto motivo del ricorso proposto da R.F., trattasi di doglianza infondata.

E’ noto infatti l’insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificagli connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2^, 22/02/2007, n. 8413;

Cass., Sez. 2^, 02/12/2008, n. 2769) giacchè il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2^, 23/11/2005, n. 44322).

Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento la gravità dei fatti giudicati, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell’irrogazione della pena (Cass., Sez. 5^, 06/09/2002, n. 30284;

Cass.,Sez. 2^, 11/02/2010, n. 18158).

Nel caso di specie la Corte ha dapprima illustrato le ragioni della doglianza e ad esse ha poi opposto la motivazione di prime cure, ribadendo non solo la estrema gravità dei fatti, ma anche le modalità delle condotte giudicate.

Palese pertanto, in applicazione dei principi innanzi scrupolosamente esposti, la manifesta infondatezza della censura in esame sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge.

7. Sul ricorso di R.B..

7.1 Il primo motivo illustrato dall’avv. Zingale e l’analogo primo motivo proposto dall’avv. Donato nell’interesse di R.B. sono infondati per le stesse ragioni di cui alla simile doglianza di R.C. (par. 5.2 cui si rimanda) e R.F..

Va peraltro precisato, attesa la specifica argomentazione sull’assoluzione di R.B. dall’accusa di aver colpito con una mazzotta la p.o., (ricorso a cura dell’avv. Donato) che la relativa circostanza non può inficiare il robustissimo quadro probatorio a carico dell’imputato, il quale, alla presenza di più testimoni oculari, colpì violentemente con pugni al viso la p.o. nel bar, proseguendo l’azione delittuosa fuori di esso spalleggiato dal nipote armato di coltello ed inseguendo la vittima che tentava di fuggire. Rispetto, pertanto, al quadro complessivo degli accadimenti ed all’articolazione di essi in vari segmenti strettamente connessi tra loro ma concretizzatisi in luoghi diversi (il bar, l’area antistante, la fuga da essa, il luogo ove la fuga fu interrotta) ed in tempi non istantanei, il segmento consumatosi nel bar e la circostanza dell’uso della mazzotta, esclusa dai giudici, rappresenta parte minore dell’insieme fattuale giudicato.

7.2 Manifestamente infondata è poi la doglianza dell’avv. Zingale (secondo motivo illustrato da detto difensore) in ordine alla entità della pena, espressione tipica della valutazione discrezionale del giudice di merito, rispetto alla quale, proprio per questo, deve ritenersi sufficiente una motivazione che si limitati a sottolinearne l’adeguatezza rispetto alla fattispecie concreta (Cass., Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713) 7.3 E’ infondato, altresì, il secondo motivo illustrato dall’avv. Donato.

La motivazione impugnata ha correttamente qualificato infatti la condotta dell’imputato a titolo di concorso nel tentato omicidio, dappoichè provato, secondo i giudici di merito i quali al riguardo hanno richiamato testimonianze dirette, che R.B. inseguì con entrambi i coimputati ed in particolare con il nipote armato di coltello, la vittima, sulla quale i tre infierirono contestualmente nei modi innanzi descritti.

Di qui il rigetto implicito della tesi difensiva del concorso anomalo riproposta con la censura di legittimità.

In sede di legittimità, infatti, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass., Sez. 2^, 19/05/2004, n.29434).

8. Sul ricorso di C.G..

8.1 Quanto, infine, alle doglianze prospettate dalla difesa del C., trattasi di censure sovrapponigli, entrambe infondate.

Ed invero la circostanza che l’imputato abbia ammesso e confessato di essere proprietario dell’arma e di aver egli stesso provveduto all’abrasione della matricola identificativa, non esclude affatto, come difensivamente opinato, la ricorrenza dei requisiti previsto dalla legge per il concretizzarsi del reato di cui all’art. 648 c.p., per il quale la legge richiede, al fine di profitto (qui non posto in discussione) che l’agente riceva ovvero occulti cose provenienti da delitto. Nel caso di specie la circostanza che l’imputato abbia avuto l’esigenza di nascondere la matricolazione dell’arma costituisce la dimostrazione concreta che la stessa aveva al momento della sua acquisizione una provenienza delittuosa, giacchè, diversamente opinando, non trova giustificazione l’abrasione del numero identificativo.

Di qui il principio di diritto che detenere un’arma sapendo che essa non presenta quei segni distintivi idonei ad identificarla, configura il reato di ricettazione, perchè la provenienza da delitto dell’arma è in re ipsa, dato che l’agente opera direttamente l’operazione della cancellazione dei relativi segni distintivi per nasconderla, irrilevante dovendosi ritenere, ai fini della configurabilità del reato detto, che l’abrasione sia stata eseguita materialmente da terzi ovvero dal possessore.

Di qui l’irrilevanza dell’argomento difensivo secondo il quale l’imputato non avrebbe mai disconosciuto la paternità dell’abrasione.

8.2 Quanto poi al rapporto tra il delitto di cui all’art. 648 c.p. ed il reato in tema di armi clandestine di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23, rammenta la Corte che essi, secondo insegnamento di legittimità, costituiscono figure criminose autonome e possono tra loro concorrere quando l’agente, a qualsivoglia titolo, abbia il possesso o comunque detenga, sia pure temporaneamente, una arma considerata clandestina dalla legge, mancando dei segni o contrassegni di identificazione. (Cass., Sez. 2^, 13/06/1990;

Tavolato).

9. Alla stregua di quanto sin qui esposto i ricorsi proposti da R.C., R.F., R.B. e C.G. vanno rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali a mente dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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