Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8869 Intermediazione finanziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 12 novembre 2001 i sigg.ri N. e R. G.B. citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari la Banca Popolare di Bari soc. coop. per azioni (in prosieguo indicata come Popolare di Bari) lamentando che questa avesse disposto di fondi loro appartenenti, compiendo operazioni d’investimento finanziario con esito finale negativo, in violazione della normativa che prescrive al riguardo la forma scritta. Chiesero perciò la restituzione di quanto indebitamente investito ed il risarcimento dei danni.

Nel contraddittorio delle parti, dopo aver disposto una consulenza tecnica contabile, il tribunale accolse in parte la domanda, rilevando che solo per sei ordini di acquisto di strumenti finanziari era stata rispettata la prescrizione di forma scritta contemplata nel contratto stipulato tra le parti in base al quale era stato prestato il servizio d’investimento in strumenti finanziari (cosiddetto contratto-quadro) e che i rimanenti ordini dovevano perciò essere considerati nulli. La banca convenuta fu quindi condannata a versare agli attori la somma complessiva di Euro 621.062,81, oltre agli interessi.

Chiamata a pronunciarsi sui contrapposti gravami delle parti, la Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica il 16 novembre 2009, confermò integralmente la decisione di primo grado. La corte, anzitutto, individuò una nuova domanda, perciò inammissibile, nel motivo di gravame con cui i sigg.ri R. avevano sostenuto la nullità, per difetto di forma scritta, non solo di singoli ordini d’investimento di volta in volta eseguiti dalla Popolare di Bari bensì dello stesso contratto-quadro in base al quali – gli ordini erano stati impartiti; ribadì che gli ordini non redatti per riscritto dovevano considerarsi nulli, giacchè tale forma era stata espressamente prevista nel contratto-quadro; escluse che i sigg.ri R. avessero dato prova di aver subito danni da risarcire, in aggiunta alla restituzione delle somme da loro investite; infine disattese la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, formulata dalla Popolare di Bari per un presunto errore in cui il consulente sarebbe incorso nel ricostruire i movimenti dei conti intestati ai sigg.ri R., e ritenne inammissibili i nuovi documenti prodotti in appello a dimostrazione di siffatto errore.

Per la cassazione di tale sentenza i sigg.ri R. hanno proposto ricorso, articolato in quattro motivi.

La Popolare di Bari si è difesa con controricorso ed ha altresì prospettato tre motivi di ricorso incidentale, ai quali i ricorrenti principali hanno, a propria volta, replicato con un controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..

2. Il ricorso principale, come già sopra accennato, consta di quattro motivi, la cui trattazione può essere però in parte accorpata. E’ infatti opportuno trattare congiuntamente il primo ed il terzo motivo, che entrambi vertono sul tema dell’asserita nullità per difetto di forma del cosiddetto contratto-quadro, mentre i motivi rimanenti attengono alle insoddisfatte pretese risarcitorie dei ricorrenti.

2.1. I ricorrenti insistono nel sostenere che la corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare nulli non soltanto i singoli ordini d’investimento impartiti, in difetto di forma scritta, dai sigg.ri R. alla banca, ma anche l’originario contratto in base al quale quest’ultima ha prestato il servizio di negoziazione di strumenti finanziari dando corso ai predetti ordini. Il risvolto concreto di questa tesi è evidente: i ricorrenti vogliono farne discendere la nullità anche dei sei ordini d’investimento impartiti per iscritto, che la corte d’appello ha invece considerato validi, e quindi pretendono la restituzione pure delle somme che furono oggetto di questi ordini. La circostanza che quei sei ordini risultassero da un atto scritto non varrebbe, infatti, a sanare il difetto di forma essenziale del contratto-quadro.

A questa tesi la corte d’appello non ha acceduto per un motivo di natura procedurale: perchè ha ritenuto che in primo grado i sigg.ri R. avessero chiesto la declaratoria di nullità dei singoli ordini d’investimento, e non anche del contratto-quadro in base al quale la banca aveva prestato il servizio di negoziazione e che, pertanto, la domanda di nullità riferita a quest’ultimo contratto non potesse nè esser proposta per la prima volta nel giudizio di gravame, nè esser dedotta come nuova causa petendi della richiesta declaratoria di nullità dei singoli ordini.

I ricorrenti denunciano la violazione di molteplici disposizioni della legge processuale e di quella sostanziale, obiettando: a) che un attento esame delle domande da loro spiegate in primo grado dimostrerebbe invece che sin da allora era stata fatta questione anche della nullità del contratto-quadro, come sarebbe confermato sia dal tenore delle difese svolte dinanzi al tribunale dalla banca convenuta, sia dal dibattito sviluppatosi in sede di consulenza tecnica, sia dal fatto che il medesimo tribunale non aveva mancato di pronunciarsi al riguardo, pur affermando la validità di detto contratto; b) che quest’ultima pronuncia, non impugnata dalla Popolare di Bari, avrebbe comportato il formarsi di un giudicato interno sul punto, onde la corte d’appello non avrebbe più potuto mettere in dubbio che la domanda in questione fosse stata proposta già in primo grado; c) che, in ogni caso, detta corte non avrebbe potuto esimersi dal rilevare anche d’ufficio la violazione di norme inderogabili in tema di forma scritta dei contratti d’investimento finanziario e dal pronunciare la conseguente nullità. 2.2. Il secondo dei surriferiti rilievi appare fondato,, e rende superfluo l’esame degli altri.

Nella pronuncia di primo grado è infatti contenuta un’espressa confutazione della tesi, evidentemente sostenuta dalla difesa dei sig.ri R., secondo cui il più volte menzionato contratto- quadro non rispondeva alle prescrizioni di forma imposte dalla legge, in particolare perchè esso recava la firma del solo sig. G. R.B. e non anche quella del sig. R.N., che tuttavia vi figurava pur egli come contraente. Circostanza che, a giudizio del tribunale, non sarebbe stata tuttavia sufficiente a determinare la nullità del contratto per difetto di forma scritta riferibile a tutte le parti, dal momento che ad entrambi i sigg.ri R. era stato conferito il potere di impartire alla banca ordini d’investimento anche disgiuntamente.

Quale che sia la fondatezza della suddetta conclusione, se ne deve certamente dedurre che, quanto meno per effetto di tale pronuncia, il tema della nullità per difetto di forma del contratto-quadro era ormai entrato nella causa. Solo se la Popolare di Bari avesse proposto appello, per dolersi di un eventuale vizio di extrapetizione del primo giudice al riguardo, lo si sarebbe quindi potuto espungere dal giudizio di secondo grado. Altrimenti, in difetto di un tal mezzo di gravame, la corte d’appello non avrebbe potuto esimersi dall’esaminare le censure che i sigg.ri R. hanno mosso avverso l’anzidetta statuizione del tribunale.

La Popolare di Bari sostiene, nel controricorso, che la questione della nullità del contratto-quadro sarebbe stata affrontata dal primo giudice solo incidentalmente, nell’ambito della discussione sulla nullità dei singoli ordini d’investimento. Ma questo non cambia i termini del problema, perchè resta che di tale questione – appunto al fine di farne discendere la nullità anche dei sei ordini d’investimento impartiti alla banca per iscritto e che sono stati ritenuti validi – la corte d’appello avrebbe dovuto occuparsi. Non v’è dubbio, infatti, che la nullità del contratto-quadro sia destinata a travolgere i singoli ordini, facendone venir meno la causa, e che la forma scritta in cui questi ultimi siano stati redatti non sopperisce al difetto di forma ad substantiam acti del contratto-quadro, non foss’altro perchè gli ordini non rispondono ai requisiti di contenuto occorrenti per detto contratto-quadro.

Il principio da enunciare è allora che, se il giudice di primo grado si sia pronunciato su una domanda o un’eccezione della quale egli ritiene di esser stato ritualmente investito, e la sua pronuncia sia stata impugnata nel merito dalla parte che vi abbia interesse, senza che l’altra parte abbia formulato una contrapposta impugnazione per sostenere che il primo giudice non avrebbe dovuto affatto pronunciarsi perchè la domanda o l’eccezione non erano state proposte (o non lo erano state ritualmente), il giudice d’appello non può omettere di pronunciarsi a propria volta nel merito negando che detta domanda o detta eccezione fossero state effettivamente proposte in primo grado e deducendone che esse non potrebbero perciò trovare ingresso in appello.

3. Gli altri due motivi del ricorso principale trattano del risarcimento del danno.

3.1. La doglianza contenuta nel secondo motivo, volta a denunciare vizi di motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha escluso che gli attori avessero assolto l’onere della prova a loro carico, è inammissibile.

Nel sostenere, infatti, che quella prova si sarebbe potuta ricavare dai documenti prodotti e dai mezzi istruttori la cui ammissione era stata richiesta, i ricorrenti omettono completamente di indicare a quali specifici documenti e mezzi istruttori essi intendano fare riferimento. Donde l’inammissibilità della censura così formulata.

3.2. In parte infondate ed in parte inammissibili sono anche le doglianze contenute nell’ultimo motivo del ricorso principale, volto a denunciare un preteso vizio di omessa pronuncia in cui la corte d’appello sarebbe incorsa non prendendo in considerazione la domanda di risarcimento dei danni proposta dai sigg.ri R. per violazione degli obblighi di comportamento gravanti sulla banca nella prestazione del servizio d’investimento finanziario di cui si discute.

Ma si è invece già ricordato come la corte d’appello si sia pronunciata espressamente sulla domanda di risarcimento dei danni proposta dagli odierni ricorrenti, rigettandola per difetto di prova, e non v’è ragione per ritenere che tale pronuncia non abbia investito la totalità delle pretese risarcitorie di cui si discute.

D’altro canto, il riferimento agli obblighi di comportamento violati dalla banca appare assolutamente generico, salvo per quel che si riferisce alla mancata redazione in forma scritta del contratto- quadro o degli ordini d’investimento conseguenti. Ma nulla i ricorrenti deducono che valga ad evidenziare quali danni essi potrebbero aver subito, una volta che la declaratoria di nullità di detti ordini abbia loro consentito di ottenere la restituzione degli investimenti rimasti privi di un valido supporto giuridico.

4. Il ricorso incidentale della Popolare di Bari ripropone le ragioni per le quali la difesa della banca aveva chiesto alla corte d’appello, senza ottenerla, la rinnovazione delle operazioni di consulenza tecnica.

4.1. Nel primo motivo la banca ricorrente ripercorre i temi dibattuti in sede tecnica e, dopo aver svolto alcune critiche all’operato del consulente – delle quali non è però possibile tener conto in questa sede perchè investono profili di merito ed esulano manifestamente dai limiti del giudizio di legittimità -, imputa all’impugnata sentenza di aver violato l’art. 194 c.p.c. laddove ha escluso che il consulente tecnico potesse prendere d’ufficio in esame documenti non ritualmente prodotti in giudizio dalla parte ma comunque messi a sua disposizione.

La medesima doglianza è ripetuta nel terzo motivo del ricorso incidentale, che può essere perciò esaminato unitamente al primo.

La censura appare però manifestamente infondata, giacchè non offre alcun motivo per modificare il consolidato orientamento di questa corte, puntualmente richiamato anche dal giudice d’appello, secondo cui il consulente tecnico di ufficio può tener conto di documenti non ritualmente prodotti in causa solo con il consenso delle parti (Cass. 19 agosto 2002, n. 12231; e Cass. 14 agosto 1999, n. 8659); e, se è vero che, in determinate circostanze ed in relazione alle particolari esigenze dell’indagine, egli può talvolta anche svolgere direttamente indagini e verifiche per meglio accertare i fatti sottoposti al suo vaglio, resta che siffatte iniziative sono rimesse al suo prudente apprezzamento – e poi, naturalmente, a quello del giudice di merito del quale egli funge da ausiliario – non trattandosi quindi di un comportamento imposto da una qualche regola di procedura. La mancata assunzione di tali iniziative non implica perciò una qualche violazione di legge censurabile con ricorso per cassazione.

4.2. Parimenti privo di fondamento è il secondo motivo del ricorso incidentale, che denuncia l’asserita violazione dell’art. 345 c.p.c..

Del tutto correttamente, infatti, la corte d’appello ha negato che nel giudizio di secondo grado potessero essere prodotti documenti nuovi, in conformità ad un principio di diritto enunciato dalle sezioni unite di questa corte con la sentenza 20 aprile 2005, n. 8203, già in base alla normativa vigente prima delle modificazioni da ultimo apportate al testo del citato L. n. 69 del 2009, art. 345. 5. In relazione al motivo di ricorso accolto, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Bari, la quale, in diversa composizione, la riesaminerà attenendosi al principio di diritto dianzi enunciato sub 2.2 e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il terzo ed inammissibile il secondo;

rigetta sia il quarto motivo del medesimo ricorso principale sia il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, demandandole di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

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