Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8863 Opposizione a dichiarazione di fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con sentenza del 7.11.2001 il Tribunale di S. Maria C.V. dichiarò il fallimento della s.a.s. "Taberna La Rustica da Peppe" e della socia accomandataria D.M. e, con successiva sentenza dell’11.2.2003, su istanza del curatore fallimentare, estese il fallimento a C.G., socio accomandante ingeritosi nell’amministrazione della società.

Quest’ultimo propose opposizione che fu respinta dal tribunale ma, con sentenza del 23.9.2008 la Corte di appello di Napoli dichiarò la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento del socio accomandante per violazione della L. Fall., art. 15 Sentenza impugnata per cassazione dal fallito perchè sosteneva essere decorso il termine di cui alla L. Fall., art. 10; ricorso al quale il C. ha rinunciato.

Nelle more del giudizio di cassazione e prima della rinuncia, il Tribunale di S. Maria C.V., su istanza del curatore, con sentenza del 2.4.2009 dichiarò nuovamente il fallimento in estensione del C. e la Corte di appello, dopo avere sospeso il procedimento per la pendenza del giudizio di cassazione, intervenuta l’estinzione per rinuncia di questo, con sentenza in data 1.2.2011 respinse il reclamo proposto dal fallito.

La corte di merito – ritenuta preliminarmente infondata l’eccezione di inammissibilità del reclamo sollevata dalla curatela sul rilievo della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del curatore del fallimento individuale, stante l’identità fisica del curatore del fallimento della società, ritualmente costituito osservò che a) non avendo il C. proposto istanza di ricusazione del giudice delegato, era infondata la censura di nullità della sentenza impugnata; b) era infondata la censura con la quale era dedotta l’impossibilità della nuova dichiarazione di fallimento in pendenza del ricorso per cassazione contro la sentenza dichiarativa di nullità della prima sentenza di fallimento in quanto la corte di appello aveva sospeso il giudizio fino all’esito di quello di cassazione e, d’altra parte, non essendo stata impugnata dalla curatela, era passata in giudicato la revoca del fallimento di cui poteva, se mai, essere modificata la motivazione; c) l’istanza di estensione L. Fall., ex art. 147 non deve essere notificata ai creditori, litisconsorti solo nel giudizio di opposizione e non nel procedimento prefallimentare; d) trattandosi di estensione di fallimento dichiarato nel 2001 non era richiesta l’autorizzazione del comitato dei creditori alla proposizione dell’istanza L. Fall., ex art. 147; e) non era decorso il termine annuale perchè il termine L. Fall., ex art. 10, non decorre dalla dichiarazione di fallimento della società ma dal recesso del socio, nella specie insussistente;

f) il C. si era difeso nella fase prefallimentare, beneficiando anche di un rinvio; g) erano utilizzabili le dichiarazioni rese al curatore dal reclamante e dalla moglie in sede prefallimentare e non erano state travolte dalla dichiarazione di nullità della sentenza; h) sussistevano le condizioni per l’estensione della dichiarazione di fallimento perchè il C. si era effettivamente ingerito nell’amministrazione della s.a.s..

2.- Contro la sentenza della corte di merito il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso il curatore del fallimento della s.a.s.

"Taberna La Rustica da Peppe" società, il quale ha, altresì, proposto ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

3.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 352 e 276 c.p.c., degli artt. 2288, 2323 c.c., L. Fall., artt. 10 e 147, deducendo la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per incompatibilità del giudice delegato al fallimento della società, il quale aveva presieduto il collegio in occasione sia della prima che della seconda sentenza di fallimento.

3.1.1.- Il motivo è infondato perchè correttamente la corte territoriale – avendo escluso che il reclamante avesse presentato istanza di ricusazione – ha applicato il principio per il quale la pretesa incompatibilità del giudice non determina nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto la stessa incompatibilità può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 cod. proc. civ. (C. n. 13433/2007 e, in relazione al giudice delegato, C. n. 7980/2011 e C. n. 13212/2003 nonchè, in relazione alla decisione dell’opposizione contro sentenza dichiarativa di fallimento da parte dello stesso collegio che aveva dichiarato il fallimento, C. n. 10900/2010). Giova, peraltro, evidenziare – per l’analogia con la concreta fattispecie – che questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 528 del 18/01/2002) ha già avuto modo di precisare che in difetto di tempestiva ricusazione, la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi nell’ipotesi prevista dall’art. 51 c.p.c., n. 4 non comporta la nullità della sentenza, al di fuori del caso in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella posizione sostanziale di parte. Nè su tale principio è idonea ad incidere la Legge Costituzionale n. 2 del 1999, risultando il valore della terzietà del giudice già acquisito tra i principi costituzionali attraverso gli artt. 25 e 101 cpv. Cost., la cui attuazione nel processo civile resta affidata agli istituti correlati dell’astensione e della ricusazione. Principio affermato in una fattispecie nella quale, uno dei soci illimitatamente responsabili di una società dichiarata fallita, cui era stato esteso il fallimento della società stessa, aveva eccepito una situazione di incompatibilità dei giudici che avevano dichiarato il suo fallimento, i quali erano gli stessi che, in sede di revoca del suo precedente fallimento per violazione del diritto di difesa a causa della mancata sua preventiva audizione, avevano sollecitato il curatore a proporre la richiesta di estensione del fallimento, poi accolta.

3.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., L. Fall., artt. 10 e 147, lamentando che la prova dei requisiti per l’estensione del fallimento sia stata tratta da sentenza – non passata in giudicato perchè impugnata per cassazione – travolta dalla dichiarazione di nullità.

L’istanza di estensione era inammissibile perchè non era ancora passata in giudicato la sentenza dichiarativa di nullità della prima dichiarazione di fallimento. 3.2.1.- La censura è infondata non soltanto perchè – come ha evidenziato la corte di merito – al momento della pronuncia della sentenza in sede di reclamo la precedente sentenza dichiarativa di nullità del fallimento era passata in giudicato e, peraltro, alla stessa il curatore fallimentare aveva fatto acquiescenza, ma soprattutto perchè, mentre il passaggio in giudicato della sentenza che revoca il fallimento, per l’accertamento negativo dei suoi presupposti sostanziali, osta alla emissione di una nuova pronuncia dichiarativa del fallimento dello stesso soggetto, sulla base di una rivalutazione dei medesimi elementi di fatto, tale preclusione non si verifica per effetto della sentenza che affermi la nullità della dichiarazione di fallimento per vizi di natura processuale (nella specie, mancata convocazione del debitore), in quanto quest’ultima pronuncia ha portata limitata al rapporto processuale in cui è emessa, Jr quindi, ancorchè definitiva, è inidonea ad assumere autorità di giudicato in senso sostanziale (C. n. 1221/1977; C. n. 3202/75).

La sentenza che pronuncia la nullità della dichiarazione di fallimento per vizi di natura processuale ha portata limitata al rapporto processuale in cui è emessa e, non essendo idonea ad assumere autorità di giudicato in senso sostanziale, non osta alla emissione di una nuova dichiarazione di fallimento dello stesso soggetto, sulla base di una rivalutazione dei medesimi elementi di fatto (C. n. 5642/1978).

3.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 147. La corte di merito avrebbe errato nel ritenere inesistente l’obbligo di notificazione dell’istanza di estensione ai creditori che avevano chiesto la dichiarazione di fallimento essendo essi contraddittori necessari nel giudizio di opposizione. Lamenta anche che non sia stato ritenuto necessario il parere del comitato dei creditori, trattandosi di atto eccedente l’ordinaria amministrazione.

3.3.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto ripete le censure mosse in sede di reclamo senza confutare le argomentazioni poste a sostegno del rigetto da parte della corte di merito. 3.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2288 e 2308 c.c. e della L. Fall., art. 147. Deduce che erroneamente la corte di merito ha ritenuto non decorso l’anno per la dichiarazione di fallimento perchè, essendo la società fallita composta di due soli soci, una volta dichiarato il fallimento della società e dell’accomandatario si era prodotto lo scioglimento della società, non essendo stata ricostituita la pluralità dei soci nei sei mesi. Il recesso non era necessario perchè la società si era già sciolta e dal fallimento decorreva l’anno per l’estensione. Deduce che sono irrilevanti le operazioni poste in essere dopo la dichiarazione di fallimento della società. 3.4.1.- Il motivo è infondato perchè questa Corte ha più volte evidenziato che, ai fini del decorso dell’anno per la dichiarazione di fallimento in estensione di socio illimitatamente responsabile è irrilevante la data del fallimento della società perchè l’evento fallimentare non scioglie il vincolo fra socio e società, e quindi la fissazione di un termine diverso da quello indicato del legislatore o da quello risultante da pronunce della Corte Costituzionale, nella sua istituzionale attività di sindacato della compatibilità con il dettato costituzionale della legislazione sottoposta al suo esame, sarebbe arbitrario (Sez. 1, Sentenza n. 10268 del 28/05/2004; Sez. 1, Sentenza n. 5764 del 10/03/2011).

Il ricorrente sviluppa la censura argomentando dal venir meno della pluralità dei soci a seguito del fallimento dell’unico altro socio, quale accomandatario (la moglie del ricorrente stesso).

Ma anche questo argomento non è nuovo nella giurisprudenza della S.C. la quale, proprio in relazione all’estensione del fallimento al socio accomandante ingeritosi nell’amministrazione, dopo avere ribadito il principio che la disciplina del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 147, in tema di estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, si riferisce non soltanto ai soci illimitatamente responsabili per contratto sociale, ma anche a quegli altri soci che, pur non essendo tenuti per contratto sociale a rispondere illimitatamente, abbiano assunto responsabilità illimitata e solidale verso i terzi in tutte le obbligazioni sociali, e, pertanto, il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all’accomandante che si sia ingerito nell’amministrazione della società stessa, lo ha disatteso sul rilievo che lo scioglimento non comporta anche l’estinzione della società (Sez. 1, Sentenza n. 19736 del 2008).

3.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e L. Fall., art. 15.

Deduce l’inutilizzabilità di elementi di giudizio tratti da processo dichiarato nullo. Deduce che il curatore, dopo l’autorizzazione del g.d., avrebbe dovuto incaricare un "difensore tecnico". Sarebbero nulli gli atti posti in essere dal curatore personalmente. Il collegio non poteva ammettere documenti nuovi.

3.5.1.- Il motivo è infondato, quanto alla dedotta inutilizzabilità degli elementi tratti dal precedente procedimento per gli argomenti già esposti sub 3.1.1, per la ragione, cioè, che la pronuncia la nullità della dichiarazione di fallimento per vizi di natura processuale ha portata limitata al rapporto processuale in cui è emessa e, non essendo idonea ad assumere autorità di giudicato in senso sostanziale, non osta alla emissione di una nuova dichiarazione di fallimento dello stesso soggetto, sulla base di una rivalutazione dei medesimi elementi di fatto (C. n. 5642/1978). Nel resto la censura è inammissibile sia per difetto di specificità non contenendo alcuna confutazione della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui ha accertato il pieno rispetto del diritto di difesa del ricorrente nel procedimento prefallimentare sia per difetto di autosufficienza in relazione all’asserita produzione documentale. Infine, manca l’indicazione del dato normativo dal quale desumere l’onere, per il curatore, di presentare l’istanza di estensione per mezzo di un difensore.

3.6.- Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2314 e 2320 c.c., dell’art. 324 c.p.c., L. Fall., artt. 10 e 147. Deduce l’inesistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento in estensione.

3.6.1.- Il motivo – che denuncia solo violazione di norme di diritto – è infondato perchè non è censurata la congrua e logica motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è giustificato l’accertamento in fatto per il quale il ricorrente gestiva effettivamente di fatto la società insieme alla moglie, intrattenendo rapporti con i clienti ed i fornitori, come dichiarato espressamente al curatore dalla moglie del C., la quale aveva affermato testualmente che, in effetti, era il marito a gestire l’attività della società. Dichiarazioni riscontrate con altri elementi probatori, dall’inserimento del soprannome P. nella ragione sociale (con chiara funzione di influire sull’affidamento dei terzi) alla prestazione di garanzie per debiti societari nei confronti di vari istituti di credito, oltre alla stipula di un mutuo insieme alla moglie, alla riscossione di prezzi delle prestazioni e all’acquisto di e materie prime. Si che sussistevano tutti i presupposti per l’applicabilità degli artt. 2314 e 2320 c.c..

A.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato il curatore controricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento, in relazione agli artt. 102 e 331 c.p.c., L. Fall., art. 18 e 147.

Deduce che il C. non ha notificato il reclamo al proprio Fallimento neppure nel termine ottenuto per la rinotifica, così determinando l’inammissibilità dello stesso ai sensi degli artt. 331 e 102 c.p.c. Nè la circostanza che i due Fallimenti siano rappresentati dalla medesima persona fisica come dispone L. Fall., art. 148, vale ad evitare il vizio di integrità del contraddittorio (e così la violazione dell’art. 111 Cost., comma 2), perchè nel giudizio di reclamo l’Avv. F.S.M. non ha mai acquistato la qualità di parte nella veste di Curatore del Fallimento di C.G..

4.1.- Il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito per effetto del rigetto del ricorso principale.

5.- Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200, per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2012

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