Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8857 Sentenze ecclesiastiche di nullità, delibazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza depositata il 7 agosto 2008, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in accoglimento della domanda proposta da M. E. nel maggio 2007, ha dichiarato la efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza – pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Calabro il 27 maggio 2006, confermata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano di Appello e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con decreto del 2 aprile 2007- con la quale è stata dichiarata la nullità – per difetto di discrezione di giudizio da parte dell’uomo – del matrimonio concordatario contratto in Reggio Calabria il 3.4.1982 dall’attore con B.R.R., disponendo l’annotazione di tale sentenza nel registro degli atti di matrimonio ed a margine degli atti di nascita delle parti. La Corte d’appello ha inoltre rigettato la domanda riconvenzionale proposta in subordine dalla B., diretta al riconoscimento in proprio favore di una congrua indennità ai sensi dell’art. 129 bis cod. civ.. Nella motivazione della sentenza, la Corte territoriale, disattendendo le argomentazioni sostenute dalla B. a sostegno della sua opposizione avverso il riconoscimento della sentenza ecclesiastica, ha riscontrato la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 8 n. 2 dell’Accordo del 18.2.1984 di revisione del Concordato Lateranense (reso esecutivo con L. n. 121 del 1985), non solo sotto il profilo relativo alla sussistenza di una sentenza esecutiva resa dal Giudice Ecclesiastico competente a conoscere la causa a seguito di un regolare contraddittorio tra le parti, ma anche sotto il profilo della insussistenza delle altre cause ostative previste dalla legislazione italiana, non risultando, in particolare, l’esistenza di una sentenza del giudice italiano contrastante con quella ecclesiastica o la pendenza davanti a tale giudice di un procedimento, per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, prima dell’avvenuto acquisto di esecutività della decisione ecclesiastica, nè apparendo le ragioni della nullità del matrimonio accertate dalla sentenza del Tribunale Ecclesiastico, e i termini in cui esse sono state accertate, contrarie ai principi di ordine pubblico interno. Su quest’ultimo punto, la Corte, premessa la peculiare costruzione sistematica dell’istituto matrimoniale nel diritto canonico (la cui natura di sacramento di cui gli stessi nubendi sono ministri rende inconciliabile la propria validità con il vizio del consenso anche di uno solo di essi), ha ritenuto infondata la opposizione della B., secondo la quale la sentenza ecclesiastica di declaratoria di nullità, in quanto basata sul solo accertamento che il M. si indusse al matrimonio senza la piena consapevolezza del valore di tale sacramento (ma solo per sottrarsi alle pressioni dei propri genitori e della norma della B., a causa della imminente maternità della donna), senza la verifica che tale vizio del consenso fosse conosciuto o almeno conoscibile dalla B. stessa, si porrebbe in contrasto con il principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, cui sarebbe da attribuire natura di principio di ordine pubblico ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g. Tesi che la Corte territoriale giudica infondata sia in fatto che in diritto. In fatto, perchè dalla istruttoria svolta dal giudice ecclesiastico emerge come la B. fosse cosciente che il M. si sposava solo perchè lei era incinta e che del matrimonio/sacramento non glie ne importava nulla, avendone avuto conferma anche nel prosieguo del loro rapporto (tale consapevolezza, peraltro, esclude la ricorrenza nella B. della buona fede richiesta per il riconoscimento dell’indennità di cui all’art. 129 bis cod. civ.). Infondata, comunque, anche in diritto, perchè nel caso, quale quello in esame, di mancanza di un valido consenso la mancanza di conoscenza dell’altra parte non rileva, neppure nell’ordinamento interno, che considera il consenso pur formalmente espresso tamquam non esset.

2. Avverso tale sentenza B.R.R. ha, con atto notificato il 29 dicembre 2008, proposto ricorso a questa Corte basato su quattro motivi, illustrati anche da memoria. Resiste M.E. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, lett. c) dell’Accordo di revisione del Concordato, ratificato con L. n. 121 del 1985, della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. e ed f) e dell’art. 2909 cod. civ..

Evidenzia che, con sentenza parziale dell’8.2.2008, passata in giudicato, il Tribunale di Reggio Calabria ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti, dichiarando anche inammissibile, ai sensi dell’art. 122 c.c., u.c., la domanda riconvenzionale del M. di annullamento del matrimonio stesso. Sostiene quindi che, dovendo in materia di nullità del matrimonio concordatario applicarsi – a seguito dell’Accordo di revisione del Concordato che ha abrogato la riserva di giurisdizione in favore dei Tribunali ecclesiastici – il criterio della prevenzione per regolare il conflitto tra sentenze del giudice ecclesiastico e del giudice italiano, nella specie la sentenza ecclesiastica non può avere efficacia nel nostro ordinamento, essendo contraria alla suddetta sentenza del giudice italiano passata in giudicato ed emessa a seguito di giudizio iniziato prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera.

Osserva il Collegio che la ricorrente non ha indicato se, ed eventualmente in quale luogo del processo di merito, avrebbe prospettato al giudice della delibazione la questione concernente la causa ostativa costituita dal giudicato formatosi anteriormente in relazione alla decisione di rigetto della domanda riconvenzionale del M. di annullamento del matrimonio contratto dalle parti. Si è limitata ad esporre, nelle premesse ai motivi di ricorso (pag. 4), di aver depositato copia della sentenza italiana di divorzio, emessa nel corso del giudizio di delibazione, unitamente alla comparsa conclusionale relativa a tale giudizio. Il motivo è dunque inammissibile, giacchè introduce per la prima volta nel processo, in questa sede di legittimità, una questione nuova.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g) e dell’art. 122 cod. civ., u.c.. Deduce, sotto il primo profilo, che la declaratoria di nullità emessa dal giudice ecclesiastico, nella misura in cui prescinde dall’accertamento circa la conoscenza o conoscibilità da parte di essa ricorrente della causa di tale nullità, viola il principio di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole ed è quindi contraria all’ordine pubblico interno. Sotto il secondo profilo, sostiene che il riconoscimento della sentenza di nullità anche in presenza di una coabitazione ventennale con due figlie significa introdurre una previsione di una causa di nullità non ammessa dall’ordinamento giuridico interno. Inoltre, con il terzo motivo, denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa l’atteggiamento psicologico di essa ricorrente al momento della celebrazione del matrimonio. Lamenta al riguardo che la Corte d’appello, nonostante fosse tenuta ad accertare tale circostanza di fatto in piena autonomia (pur senza compiere nuova attività istruttoria), si è adagiata sulle conclusioni del giudice ecclesiastico, senza compiere una nuova ed autonoma valutazione delle risultanze istruttorie e formulando deduzioni improprie dalle dichiarazioni rese da essa ricorrente al giudice ecclesiastico.

3. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente stante la loro connessione, non meritano accoglimento.

3.1. La sentenza impugnata ha evidenziato, senza ricevere sul punto censure, come la sentenza ecclesiastica della cui delibazione si controverte abbia – con accertamento il cui riesame nel merito non è consentito al giudice della delibazione – verificato nella specie l’esistenza di una causa di nullità radicale del matrimonio concordatario contratto dalle parti, consistente nella mancanza, nel M., di ("discrezione di giudizio", cioè) effettiva capacità di liberamente intendere il valore del matrimonio/sacramento che andava a contrarre e di determinarsi conseguentemente. Ed ha considerato, in diritto, che tale accertamento, anche se non accompagnato da una compiuta verifica in ordine alla consapevolezza dell’altra parte circa l’accertato vizio del consenso, non è incompatibile con l’ordine pubblico interno, individuato dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. n. 18/1982) nelle regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici, in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo adeguarsi all’evoluzione della società. Il Collegio condivide tale affermazione in diritto. Va al riguardo tenuto presente, in primo luogo, che, in base alle disposizioni del Protocollo addizionale del 18 febbraio 1984 modificativo del Concordato, il giudice della delibazione deve tenere conto della specificità dell’ordinamento canonico ai fini della valutazione in ordine alla causa di impedimento in questione, che quindi (come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 19809/08) può ritenersi sussistente solo nei casi di incompatibilità assoluta, quando cioè i fatti a base della disciplina applicata nella pronuncia di cui è chiesta l’esecutività non siano in alcun modo assimilabili a quelli che in astratto potrebbero avere rilievo o effetti analoghi in Italia, la mera diversità di disciplina non essendo, in generale, sufficiente perchè possa esservi incompatibilità di una pronuncia interna di un ordinamento straniero con l’ordine pubblico dell’altro.

Ciò posto, nella specie si osserva che – come precisato dalla stessa pronuncia delle Sezioni Unite sopra richiamata – la pur non coincidente disciplina del codice civile italiano relativa ai casi di annullamento del matrimonio per vizio di formazione del consenso (art.122) non contempla come elemento essenziale la riconoscibilità di tale vizio per l’altra parte, il che non consente di affermare, in tale ambito, l’esistenza nell’ordinamento interno di un principio generale di tutela dell’affidamento di tale parte. Vero è che la suddetta conoscibilità è stata ritenuta da questa Corte (cfr. n. 3339/03; n. 12738/11) essenziale ai fini del diniego di riconoscimento di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio per apposizione unilaterale di condizioni vizianti il relativo consenso di uno dei nubendi, ma ciò essenzialmente in ragione della specificità dell’elemento accidentale del negozio, quale strumento tipico per dare rilievo ai motivi interni delle parti. Non può quindi affermarsi che la mancata verifica in ordine alla conoscenza o conoscibilità del vizio di consenso accertato dal giudice ecclesiastico costituisca elemento rilevante per affermare la incompatibilità assoluta della sentenza stessa con l’ordine pubblico interno. L’infondatezza della censura ne deriva di necessità, restando assorbite le doglianze relative ad un’erronea ricognizione, nella sentenza impugnata, della suddetta circostanza di fatto.

3.2. Quanto poi alla eccezione di coabitazione tra i coniugi, deve rilevarsi come essa non risulti prospettata ed esaminata in sede di merito, si che deve ritenersi irrilevante nel giudizio di legittimità, non essendo consentita la sua proposizione per la prima volta in questa sede.

4. Inammissibile, infine, è il quarto motivo, con il quale la ricorrente censura il rigetto della propria domanda riconvenzionale ex art. 129 bis cod. civ., denunciando la violazione e falsa applicazione di tale norma di diritto e conseguentemente della L. n. 121 del 1985, art. 8, n. 2. Per consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, il provvedimento con il quale la Corte d’appello, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, disponga misura economiche provvisorie a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, ha funzione strumentale e natura provvisoria ed anticipatoria (a tutela del diritto del richiedente in pendenza del giudizio per farlo valere in via ordinaria), si che deve escludersi l’esperibilità avverso tale provvedimento del ricorso per cassazione, ammissibile soltanto nei confronti di provvedimenti giurisdizionali definitivi ed a carattere decisorio (cfr. ex multis Cass. n. 17535/2003; n. 8387/1998; n. 2852/1998).

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 2.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 10 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *