Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8856

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel dicembre 2006 il Tribunale di Ancona, nel dichiarare la separazione coniugale tra Pa.An. e P.C., respingeva le rispettive domande di addebito formulate dai coniugi, affidava la figlia minore A., nata nel (OMISSIS), alla madre, residente in (OMISSIS), regolamentando la facoltà di visita in capo al padre (nel senso che una volta al mese la figlia sarebbe stata accompagnata in Italia per incontrarsi con il genitore, il quale una volta al mese si sarebbe incontrato con la figlia in (OMISSIS)), incaricava i competenti Servizi Sociali territoriali di vigilare sull’andamento dei rapporti fra padre e figlia, poneva a carico del padre un contributo di Euro 400,00 mensili rivalutabili per il mantenimento della figlia, e compensava le spese di lite.

Proponeva appello la Pa., insistendo nella domanda di addebito della separazione a carico dell’altro coniuge; chiedeva inoltre la riformulazione delle statuizioni relative all’esercizio della facoltà di visita della minore da parte del padre (comportante gravosi trasferimenti della medesima dal (OMISSIS) in (OMISSIS)) e la modifica della misura del contributo al mantenimento a carico del padre, che chiedeva elevarsi a Euro 1000 mensili. Resisteva, il P. proponendo anche in via incidentale le stesse domande espresse con il proprio autonomo atto di appello, nel quale insisteva nella richiesta di addebito della separazione alla moglie, nella richiesta di affidamento a sè stesso della minore, o in subordine di affidamento congiunto, in ulteriore subordine la riformulazione delle modalità di visita nei confronti della bambina. Chiedeva infine una riduzione del contributo al mantenimento a suo carico. La Corte d’appello di Ancona, riuniti i procedimenti, in parziale riforma della sentenza di primo grado ha disposto che i trasferimenti della minore A. dal (OMISSIS) in (OMISSIS) avvengano una volta ogni due mesi ed ha esteso i periodi di frequentazione della predetta da parte del padre durante le ferie scolastiche, rigettando nel resto i rispettivi appelli e compensando tra le parti le spese del grado. La Corte ha, quanto al rigetto di entrambe le domande di addebito, condiviso la motivazione del primo giudice che ha giudicato articolata e coerente, osservando in sintesi che, fra le rispettive tendenze elusive dell’uno ed invadenti dell’altra, non risulta possibile individuare una direttrice causale dominante e prioritaria della crisi coniugale riferibile a fatto primario determinante dell’uno o dell’altro coniuge. Ha inoltre escluso un affidamento congiunto della minore, considerate sia la irriducibile conflittualità tra i coniugi (che renderebbe impossibile una paritaria e fattiva collaborazione nelle scelte relative alla cura e formazione della bambina), sia le difficoltà materiali rappresentate dalla grande distanza geografica tra le rispettive residenze. Ha quindi confermato l’affidamento alla Pa. – per la tenera età della bambina (nel cui contesto psicologico tende ad essere prevalente la figura materna) e la ormai consolidata consuetudine di vita quotidiana con la madre- ed il contributo per il mantenimento a carico del padre nella misura stabilita dal primo giudice, ritenuta congrua perchè in ragionevole proporzione con le rispettive disponibilità delle parti. Ha invece parzialmente modificato le modalità di visita in (OMISSIS), limitandole ad una cadenza bimensile ma nel contempo estendendo i periodi di permanenza della minore in Italia durante le vacanze scolastiche, con le modalità che il primo giudice ha stabilito (presso i nonni paterni) in sostanziale coerenza con le indicazioni ricavabili dalla c.t.u. psicologica.

Avverso tale sentenza, depositata l’11 dicembre 2007, P. C., con atto notificato l’1 aprile 2008, ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi, illustrati anche da memoria.

Resiste con controricorso Pa.An..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, il P. censura la valutazione in ordine alla domanda di addebito da lui proposta, deducendo la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ( art. 143 c.c., e segg., art. 151 c.c., art. 155 c.c., e segg., art. 2697 cod. civ.;

art. 112 cod. proc. civ., art. 111 Cost.; art. 228 c.p.c., e segg. e art. 244 cod. proc. civ., e segg.), nonchè vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Sostiene che tale valutazione sarebbe priva di motivazione, o comunque insufficientemente motivata, lamentando anche l’omessa pronuncia -o ancora l’assenza di motivazione- su alcuni fatti che sarebbero stati provati in primo grado (quesito A) e sulle istanze di prova per interrogatorio e testi formulate in primo grado e ribadite in appello (quesito B). Formula anche un quesito C con il quale, estendendo la denuncia rubricata nel motivo alla violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 167 cod. proc. civ., art. 111 Cost., artt. 143 e 155 cod. civ., censura anche la statuizione relativa all’affidamento della minore alla madre per omessa pronuncia e omessa valutazione di prove documentali (sentenze penali su infondate accuse e denunce della moglie in ordine a pretesi abusi sulla bambina).

1.1. Tali doglianze non meritano ingresso in guesta sede di legittimità.

Innanzitutto, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., si configura esclusivamente -secondo il consolidato orientamento di questa Corte-con riferimento a domande o eccezioni che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, non anche in relazione ad argomentazioni o ad istanze istruttorie delle parti, il cui omesso esame è denunciabile semmai sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. ex multis Sez. 3 n. 3357/09; S.U. n. 15982/01). In secondo luogo, la denuncia del vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, nel provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una o più norme di legge, e quindi implica necessariamente un problema interpretativo delle norme stesse, che il ricorrente deve porre mediante specifiche argomentazioni intese a motivatamente dimostrare se, e per quali ragioni, nel provvedimento impugnato siano contenute determinate affermazioni in diritto che debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie (cfr. ex multis Sez. 1 n. 5353/07; Sez. 3 n. 5076/07). Nel motivo in esame non è dato individuare simili argomentazioni, sì che la denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si limita inammissibilmente alla indicazione delle norme che si assumono violate. Ciò che in effetti caratterizza le critiche riassunte nei tre quesiti riepilogativi è l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, allegazione che non riguarda l’esatta interpretazione delle norme di legge indicate e inerisce invece alla valutazione riservata al giudice di merito, la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Anche sotto questo profilo, d’altra parte, il motivo in esame non coglie nel segno. In esso l’omissione -o l’assoluta insufficienza- di motivazione risulta prospettata evidenziando l’assenza, nella sentenza d’appello, di specifiche considerazioni su taluni fatti allegati dal ricorrente e sulle relative istanze di prova orale, già disattese dal primo giudice. Ma la Corte territoriale ha, con riguardo al rigetto delle contrapposte domande di addebito, espressamente fatto rinvio alla motivazione esposta dal Tribunale giudicandola articolata, coerente e condivisibile ed indicando le ragioni di tale suo convincimento, che non appaiono illogiche nè intrinsecamente contraddittorie. Ciò anche perchè i fatti che il ricorrente assume non considerati non appaiono decisivi al fine di superare l’ostacolo evidenziato dalla Corte territoriale, consistente nella impossibilità di accertare a quale dei rispettivi comportamenti dei coniugi sia da attribuire una priorità o preponderanza quale fattore di causa efficiente della crisi coniugale. Una motivazione per relationem così configurata si sottrae alle critiche rivoltele, che si risolvono in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito. Al quale neppure può imputarsi d’avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacche nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione la circostanza che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (cfr. ex multis n. 4178/07; n. 15096/05; n. 996/03).

2. Con il secondo motivo il P., censurando ancora la valutazione in ordine all’affidamento della minore alla madre, si duole del diniego dell’affidamento congiunto, sotto il profilo sia della violazione degli artt. 143 e 155 cod. civ. (quesiti D, E, F) sia della motivazione incongrua. Si duole anche dell’omessa pronuncia sulla dedotta impossibilità giuridica e fattuale di esso ricorrente di recarsi in (OMISSIS), denunciando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e in subordine il difetto assoluto di motivazione (quesito G). Lamenta anche (quesito H) la violazione degli artt. 101, 112 e 115 cod. proc. civ. e art. 111 Cost., per: a) omessa pronuncia sulla eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio e delle relative operazioni per difetto del contraddittorio, non avendo il c.t.u. consentito la partecipazione dei consulenti di parte a tutte le operazioni peritali, ivi compresi gli incontri tra i genitori e la bambina e tra quest’ultima ed il c.t.u.; b) omessa pronuncia e valutazione circa le precedenti consulenze d’ufficio redatte presso il Tribunale per i Minori ed il Giudice penale, nonchè circa le relazioni del Consultorio Familiare redatte negli ultimi quattro anni.

2.1. Anche tali censure non meritano ingresso. Va infatti osservato:

a) che le denuncie di violazione di legge riassunte nei quesiti D) e F) si mostrano inammissibili giacchè, anche qui, mancano specifiche argomentazioni intese a motivatamente dimostrare se, e per quali ragioni, nel provvedimento impugnato siano contenute determinate affermazioni in diritto che debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; b)che la denuncia di violazione di legge riassunta nel quesito E) muove da un presupposto errato, atteso che, diversamente da quanto assume il ricorrente, la sentenza impugnata non ha escluso l’affidamento congiunto soltanto in base alla forte conflittualità esistente tra i coniugi: ha invece indicato anche altre rationes decidendi, quali l’età della minore e la ormai consolidata consuetudine di vita; c) che la denuncia afferente alla insufficienza della motivazione è inammissibile ex art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie, essendo impugnato un provvedimento depositato nel periodo di vigenza della norma), in difetto della sintesi riassuntiva, omologa del quesito di diritto, richiesta da detta norma (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008); d) che, quanto al quesito G), la omessa disamina specifica di alcune argomentazioni delle parti non configura -come già rilevato- violazione dell’art. 112 c.p.c., e la denuncia del vizio di motivazione risulta del tutto generica, oltre che priva della sintesi riassuntiva di cui sopra.

Quanto infine all’articolato quesito H), deve da un lato ribadirsi quanto già rilevato in ordine alla non configurabilità della violazione dell’art. 112 c.p.c., nella omessa statuizione su istanze istruttorie; dall’altro, il motivo si mostra inammissibile anche per la mancanza di ogni indicazione specifica circa il concreto pregiudizio che il ricorrente ritenga derivato al suo diritto di difesa dalla dedotta violazione processuale (cfr. sez. 3 n. 4340/10;

Sez. 1 n. 4435/08), in particolare il collegamento tra la mancata partecipazione dei consulenti di parte e le censurate statuizioni della sentenza relative al diritto di visita ed all’affidamento della minore.

3. Inammissibile è anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente censura la statuizione circa la misura del contributo al mantenimento della minore, denunciando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.c., e segg., art. 155 c.c., e segg., e dell’art. 2697 cod. civ.; dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 111 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Invero, la denuncia di violazione di legge si limita alla indicazione delle norme che si assumono violate (cfr. sopra) e quella di difetto o insufficienza della motivazione risulta priva della sintesi riassuntiva a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

4. Quanto infine alle critiche rivolte nel quarto motivo alla pronuncia di compensazione delle spese del grado, esse, benchè prospettate in termini di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè di difetto di motivazione, si risolvono in una richiesta di riesame nel merito della valutazione discrezionale compiuta dalla Corte territoriale, e ad essa riservata.

La loro inammissibilità ne deriva dunque di necessità. 5. Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 3.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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