Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-06-2012, n. 8855 Pensione di riversibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. N.M., ex coniuge di L.M. il quale, al momento del suo decesso nell’agosto 2005, era titolare di due pensioni I.N.P.S. e di una pensione Enasarco, propose al Tribunale di Firenze domanda nei confronti di R.M., coniuge superstite del L., nonchè dell’INPS e dell’Enasarco, onde ottenere la attribuzione in suo favore, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, e successive modifiche, di una quota delle pensioni e degli altri assegni spettanti alla R. a titolo di reversibilità. Il Tribunale, con decreto del novembre 2006, dispose la ripartizione delle pensioni di reversibilità in questione, dedotta la quota di legge in favore della figlia (allora minore) S. nata dall’unione tra il L. e la R., in ragione del 65% in favore della N. e per il restante in favore della R., distinguendo la decorrenza di tale ripartizione agli effetti del rapporto con gli enti previdenziali e del rapporto tra la ricorrente e la resistente. 2. Proposto reclamo dalla R., e reclamo incidentale da parte della N., la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma delle statuizioni di prime cure, ha disposto, con decorrenza dal 1 agosto 2005, che la ripartizione avvenga, dedotta la quota di legge in favore di L.S., in ragione del 58% in favore della N. e del restante 42% in favore della R.. Ha ritenuto la Corte che il primo giudice, limitandosi in sostanza ad applicare il solo criterio puramente matematico della durata dei rispettivi matrimoni – più le convivenze di fatto – delle parti, non avesse effettivamente tenuto conto dei (pur enunciati) criteri correttivi che le pronunce sia della Corte Costituzionale sia di questa Corte suprema hanno indicato al fine di evitare che l’applicazione del solo criterio della durata possa condurre a conclusioni inique, alla stregua del principio costituzionale di uguaglianza e del principio solidaristico cui è improntata la disciplina normativa della reversibilità. E, in tal senso, pur confermando la individuazione nella N. (per la diversità di età e la differente capacità lavorativa ed economico- reddituale) del soggetto economicamente più debole -e quindi la attribuzione alla medesima della quota maggiore-, ha ritenuto di dover procedere ad una nuova valutazione considerando, oltre alla durata delle rispettive convivenze, anche che, da un lato, le pensioni E.N.AS.A.R.CO. e I.N.P.S. delle quali il L. godeva sono determinate sugli ultimi anni di attività lavorativa (cioè proprio quelli di maggior contribuzione trascorsi dal suddetto a fianco della R.), dall’altro che la N. godeva di un assegno divorzile di L. 750.000 mensili, che la attribuzione disposta dal primo giudice veniva sostanzialmente a raddoppiare.

3. Avverso tale decreto, avente valore decisorio, depositato il 7 marzo 2007, N.M. ha, con atto notificato il 12 giugno 2007, proposto ricorso a questa Corte basato su quattro motivi, illustrati anche da memoria. L’intimato I.N.P.S., a differenza della R., ha notificato controricorso. All’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’E.N.AS.A.R.CO., disposta dal Collegio all’udienza del 20 ottobre 2011, ha regolarmente provveduto la ricorrente con atto notificato il 7 novembre 2011. 4. Il Collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

5. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norma di diritto ( L. n. 898 del 1970, art. 9), nonchè vizio di motivazione. Sostiene che la corte avrebbe acriticamente recepito l’accertamento del Tribunale -che essa ricorrente aveva contestato con reclamo incidentale- circa la sussistenza di un periodo di convivenza more uxorio della R. con il L. prima del matrimonio celebrato nell’aprile 1997, un anno dopo la sentenza di scioglimento del precedente matrimonio.

Convivenza desunta dal solo fatto che, nell’ottobre 1988, i coniugi N. – L. erano stati autorizzati a vivere separati e nel (OMISSIS) dall’unione con la R. era nata S., mentre dal certificato anagrafico prodotto in giudizio risultava che il L. era vissuto da solo sino al gennaio 2000 a (OMISSIS).

5.1. La doglianza, tuttavia, non è pertinente alla ratio decidendi del provvedimento impugnato: la Corte di merito ha invero basato le sue statuizioni -come sopra si è riferito- su alcuni elementi correttivi del mero dato temporale relativo alle rispettive convivenze, elementi correttivi che, a differenza del primo giudice, ha ritenuto essenziali. 6. Con il secondo motivo, la ricorrente N. denuncia il vizio di motivazione sui criteri correttivi utilizzati, deducendo, da un lato, la contraddittorietà tra la individuazione in essa ricorrente del soggetto economicamente più debole e la diminuzione della quota di trattamento previdenziale attribuitale; dall’altro, l’omessa motivazione in ordine alle reali condizioni economiche della R., che sarebbero rese palesi dalla consistenza economica della sua società, dall’usufrutto di un appartamento e dall’acquisto di una vettura di valore.

Inoltre con il terzo motivo la ricorrente censura, sempre sotto il profilo della omessa motivazione, la mancata ammissione delle prove orali da essa articolate sulle reali condizioni economiche della controparte. 6.1. Tali doglianze sono inammissibili, in quanto: a) il secondo motivo si mostra diretto a sollecitare un riesame della valutazione riservata alla discrezionalità del giudice del merito, che ha esposto in modo congruo e logicamente coerente le ragioni del suo convincimento; b) l’esposizione del terzo motivo si conclude con una sintesi a norma dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile nella specie (attesa la data di deposito del provvedimento impugnato) che appare del tutto inadeguata, non evidenziando nè le circostanze di prova non ammesse nè le ragioni per le quali esse sarebbero state decisive.

7. Privo di fondamento è infine il quarto motivo, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per la omessa indicazione, nella intestazione del decreto, tra le parti del giudizio, di L.S. – divenuta nelle more maggiorenne- e dell’E.N.A.SA.R.CO., ai quali il reclamo della R. e quello incidentale della N. era stato da questa notificato, ed erano rimasti contumaci. Invero la carente intestazione del provvedimento si mostra in sè priva di rilevanza, tenendo presente che essa non è causa di nullità (del resto neppure dedotta dalla ricorrente) a norma dell’art. 156 c.p.c., commi 1 e 2. 8. Le spese di questo giudizio di legittimità vengono compensate, attesa la sostanziale carenza di interesse a contraddire dell’unica parte costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti costituite.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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