Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-06-2012, n. 8851 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 2872/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano rigettava la domanda proposta da A.B.M. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per il periodo 8-7-2002/30-9-2002, con la conseguente conversione del rapporto e con la condanna della società al ripristino del rapporto e al pagamento delle retribuzioni maturate oltre accessori.

Con altra sentenza n. 2575/2003 il detto giudice accoglieva analoga domanda proposta da D.S.D. nei confronti della s.p.a.

Poste Italiane, relativamente al contratto concluso tra le parti per il periodo 9-7-2002/30-9-2002.

L’ A.B. proponeva appello avverso la prima sentenza e la società resisteva al gravame.

La società proponeva appello avverso la seconda sentenza e il D. S. resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Milano, riuniti i procedimenti (insieme con altri), con sentenza depositata l’11-4-2006, in riforma della sentenza n. 2872/2003 dichiarava che tra l’ A.B. e la società intercorreva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dall’8-7-2002 e condannava la società a riammettere in servizio il lavoratore e a pagargli la retribuzione globale di fatto dalla data di costituzione in mora oltre rivalutazione monetaria e interessi dalle scadenze. In parziale riforma, poi, della sentenza n. 2575/2003 condannava la società a pagare al D.S. la retribuzione globale di fatto dalla data di costituzione in mora, oltre rivalutazione monetaria e interessi dalle scadenze confermando nel resto.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con cinque motivi.

Il D.S. e l’ A.B. hanno resistito con controricorso (il secondo proponendo anche ricorso incidentale con un unico motivo, sul capo delle spese).

La società, dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale dell’ A.B. ed entrambi hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando contraddittoria motivazione, in sostanza lamenta che la Corte d’Appello da una lato ha ammesso e dall’altro ha negato "la pienezza della autonomia delle parti sociali, giudicando che la causale di cui all’art. 25 ccnl 2001 relativa ai contratti per cui è lite sarebbe valida (in quanto è pacifica la sussistenza del processo di ristrutturazione e di riorganizzazione), ma – al tempo stesso – invalida (o, comunque, insufficiente a determinare la legittimità della menzionata assunzione a termine).

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 25 ccnl 2001, nonchè D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11, deduce che erroneamente la sentenza impugnata, presupponendo la "necessità di un ancoraggio alla reale esistenza di specifiche esigenze temporanee per poter apporre legittimamente un termine finale al contratto" ha ritenuto altresì la genericità delle causali apposte ai contratti in causa, laddove gli stessi, conclusi a norma dell’art. 25 citato, in virtù della disciplina transitoria di cui all’art. 11 del D.Lgs. citato, erano esentati "dal sindacato circa la loro presunta genericità in ragione della delega in bianco conferita dalla legge alla contrattazione collettiva".

Entrambi i motivi, strettamente connessi, risultano in parte inconferenti e in parte infondati.

In primo luogo osserva il Collegio che, come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito (v. Cass. 13-7-2010 n. 16424) "in materia di assunzioni a termine del personale postale, l’art. 74, comma 1, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste Italiane s.p.a. stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo. Ne consegue che i contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 – che aveva previsto il mantenimento dell’efficacia delle clausole contenute nell’art. 25 del suddetto c.c.c.n.l., stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti".

Orbene i contratti in esame, conclusi in data successiva alla citata scadenza del detto c.c.n.l., risultano stipulati (per l’ A. B. per il periodo 8-7-2002/30-9-2002 e per il D.S. per il periodo 9-7-2002/30-9-2002) "per esigenze tecniche, organizzative e produttive…..congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie…" (in tal senso vedi ricorso e controricorsi).

La sentenza impugnata, seppure con una trattazione unitaria (anche relativamente ad altre lavoratrici non intimate in questo giudizio), dopo aver svolto alcune argomentazioni sui (non meglio precisati) "contratti stipulati con la causale di cui all’art. 25 del c.c.n.l.

2001", ha considerato la nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, ed in particolare ha affermato che "nel caso di specie la società si è limitata a dedurre motivi di carattere generale, offrendo di provare circostanze organizzative generiche senza alcun cenno alla riconducibilità in concreto delle assunzioni alle esigenze produttive e organizzative: nulla di specifico viene dedotto sulla situazione dell’ufficio di adibizione nè sulla posizione professionale attribuita al lavoratore".

A ben vedere, quindi, la Corte di merito ha incentrato la decisione sulla applicazione della nuova disciplina che, come precisato da questa Corte (v. fra le altre Cass. 27-4-2010 n. 10033) "impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa".

Ne consegue che le censure della società neppure colgono nel segno, in quanto in effetti si fondano sull’erroneo presupposto che il decisum sia fondato sulla applicazione dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001.

Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in sostanza la ricorrente sostiene che "ai fini della legittimità delle assunzioni a termine effettuate ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. 11-1-2001 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, è sufficiente la prova della sussistenza delle esigenze di carattere generale dedotte nelle causali dei contratti individuali, senza che sia necessario fornire la dimostrazione del nesso eziologico tra dette esigenze generali ed ogni singola assunzione".

Anche tale motivo non merita accoglimento.

A parte la confusione della deduzione che accomuna la vecchia e la nuova disciplina, nettamente diverse tra loro, osserva il Collegio che, poichè la sentenza impugnata ha semplicemente affermato la genericità delle causali, di per sè sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, senza entrare nel merito della dimostrazione del nesso tra tali causali e le assunzioni de quibus, la censura risulta inconferente con il decisum.

Con il quarto motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, 2099 c.c., lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa "nella violazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni", in particolare in quanto la Corte territoriale ha disposto il pagamento delle "retribuzioni dalla data di costituzione in mora", nonostante le relative lettere non contenessero "alcuna offerta della prestazione di lavoro".

La ricorrente formula, quindi, ex art. 366 bis c.p.c., che va applicato nella fattispecie ratione temporis, il seguente quesito di diritto: "Se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 cod. civ., e segg.".

Tale quesito risulta del tutto generico, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80, Cass. 29-4-2011 n. 9583). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche precisato che "è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie" (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Mancando tali elementi il quesito in esame deve ritenersi inammissibile.

Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente riporti il contenuto delle lettere genericamente richiamate.

Per la stessa ragione risulta infine inammissibile il quinto motivo, con il quale la ricorrente lamenta vizio di motivazione sul punto, senza riportare il contenuto delle lettere che secondo il suo assunto non avrebbero integrato la messa in mora ravvisata dalla Corte di merito.

Così risultati inammissibili gli ultimi due motivi, riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v, fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso principale va pertanto respinto.

Fondato è invece il ricorso incidentale proposto dall’ A. B., con il quale si censura la determinazione delle spese di causa operata dalla Corte di merito, senza distinzione di voci e al di sotto dei minimi di tariffa.

Come è stato ripetutamente affermato da questa Corte e va qui ribadito, "in tema di spese processuali, il giudice, nel pronunciare la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese e degli onorari, in favore della controparte, deve liquidare l’ammontare separatamente; ne consegue l’illegittimità della mera indicazione dell’importo complessivo e della mancata specificazione degli onorari e delle spese, in quanto non consente il controllo sulla correttezza della liquidazione, anche in ordine al rispetto delle relative tabelle" (v. Cass. 10-3-2008 n. 6338, Cass. 26-7-2006 n. 17028, Cass. 25-11-2011 n. 24890).

Nella fattispecie, con riferimento all’ A.B., la Corte di merito, operando una liquidazione globale e unica per entrambi i gradi, ha disatteso del tutto tale principio.

Il ricorso incidentale dell’ A.B. va così accolto. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche per le spese di legittimità tra la società e l’ A.B., alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Infine, in ragione della soccombenza la società va condannata al pagamento delle spese in favore del D.S..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale dell’ A.B., cassa la impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese di legittimità tra la società e l’ A.B. alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione; condanna la società a pagare al D.S. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali I.V.A. e C.P.A..
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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