Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-10-2011) 22-11-2011, n. 42992

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 28 giugno 2011, il Tribunale di Terni rigettava l’istanza di riesame proposta dal difensore di L.M., con conseguente conferma del provvedimento del GIP in sede con il quale era stato disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni immobili dell’indagata.

Il Tribunale osservava che il decreto, seppur succintamente, era motivato (tenuto conto anche del richiamo alla richiesta del PM); che l’imputazione andava letta nel suo complesso, ivi incluso l’addebito di truffa aggravata per il quale è consentito il sequestro per equivalente; che sussisteva il fumus dei reati addebitati ai capi A, B e C; che, seppure il delitto di appropriazione indebita aggravata (capo C) non consentiva il sequestro per equivalente, nei fatti potrebbe ravvisarsi (dopo la dichiarazione di fallimento o equivalente) il più grave delitto di bancarotta fraudolenta; che comunque sussisteva il fumus del delitto di cui all’art. 640 bis c.p. per essere stata la crisi aziendale gonfiata artatamente con le operazioni di cui alle imputazioni (con possibile concorrenza anche del delitto di falso); che sussisteva l’equivalenza dei valori dei beni (per gli immobili dovendo tenersi conto della rendita catastale) con l’entità del profitto (peraltro la reclamante non ha specificato il valore eccedente del compendio sequestrato); che il sequestro per equivalente nelle ipotesi dell’associazione per delinquere (capo A) deve tener conto anche del complesso dei vantaggi del reati fine;

che, nonostante il difetto di specifica contestazione, in relazione al delitto di cui all’art. 416 c.p. è configurabile la sua natura trasnazionale, perchè le società coinvolte hanno un ampio e stabile collegamento con l’estero.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’indagata, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

– violazione di legge processuale penale e segnatamente dell’art. 321 c.p.p. e art. 322 ter c.p. con connesso vizio di motivazione per palese carenza e/o illogicità della stessa, perchè, nonostante con i motivi a sostegno della richiesta di riesame si fosse dedotta la nullità del sequestro per equivalente per insussistenza dei presupposti, perchè disposto solo in relazione al delitto di appropriazione indebita aggravata, il Tribunale, in considerazione del principio di fluidità dell’incolpazione, ha inammissibilmente ipotizzato diverse ipotesi di reato (natura transnazionale del delitto associativo) e così ha finito con l’emettere un diverso e nuovo sequestro;

– violazione di legge processuale penale e segnatamente dell’art. 322 ter c.p. sotto il diverso profilo in ordine alla mancata individuazione del profitto con connesso vizio di motivazione, perchè l’unico profitto che può legittimare il sequestro per equivalente è quello correlato al reato di truffa di cui al capo B, senza peraltro indicare, al fine di verificare il rispetto della proporzionalità, il valore dei beni assoggettati al vincolo cautelare;

– vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del fumus per mancanza assoluta della stessa (sotto il profilo della sua inconsistenza) in relazione alle deduzioni difensive con le quali si era evidenziato da un lato l’alto grado di informazione e professionalità degli organismi preposti alla verifica dei presupposti per la concessione della CIG, dall’altro l’oggettiva sussistenza dello stato di crisi nonchè l’insussistenza del delitto di appropriazione indebita, deduzioni in ordine alle quali la risposta è stata del tutto inadeguata.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato. A prescindere dai riferimenti che l’impugnata ordinanza formula sulla fluidità dell’incolpazione provvisoria e sulla ipotizzata configurabilità dei diversi reati di bancarotta fraudolenta ovvero, per l’ipotesi associativa, la sua natura di reato transnazionale, è dato certo che le condotte di cui è chiamata a rispondere la ricorrente sono quelle indicate al capo B), ed in relazione a tale delitto è stato disposto il sequestro per equivalente.

2. Il secondo motivo di ricorso è anch’ esso infondato perchè, se è vero che con i motivi a sostegno della richiesta di riesame si era fatta questione sulla esatta individuazione del "profitto" e simmetricamente del valore dei beni oggetto di sequestro, in omaggio alla regola della proporzione, la motivazione sul punto è esistente, perchè il capo B dell’incolpazione provvisoria ha determinato l’importo del profitto del reato e per il valore dei cespiti immobiliari è stato fatto riferimento alla rendita catastale.

Ed invero "va annullato con rinvio il provvedimento del tribunale del riesame che, nel confermare un sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, non contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati, necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo consentito differire l’adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca" (Cass. Sez. 3, 7.10.2010 n. 41731). Ma nel caso un criterio valutativo è stato adottato ed esplicitato, essendo stato altresì spiegato che il valore del compendio sequestrato è in difetto rispetto a quello del profitto del reato, in aderenza al canone interpretativo per il quale "in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il sequestro preventivo funzionale alla confisca "per equivalente" non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, imponendosi al riguardo la valutazione del giudice relativamente all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto". (Cass. Sez. 6, 23.11- 27.12.2010 n. 45404; Cass. Sez. 6, n. 2101/2010. 3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

L’art. 325 c.p.p. consente il ricorso per cassazione solo per violazione di legge.

La ricorrente critica le argomentazione del Tribunale e si duole genericamente della loro inadeguatezza. Non ne rileva cioè la mera apparenza, volta che l’ordinanza non sì è limitato a rammentare la condotta "non proprio lineare" del F. e degli altri due indagati nel procedimento per ottenere da parte dell’INPS la Cassa integrazione guadagli in favore dei dipendenti, ma ha messo in rilievo come la crisi aziendale sia stata "artatamente gonfiata con le operazioni di cui all’imputazione", argomento che non è stato oggetto di specifica critica e che quindi resta come valida giustificazione della decisione adottata.

4. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *