Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-06-2012, n. 8850 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 165/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Sondrio, in accoglimento della domanda proposta da S. A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti, il primo dei quali concluso per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 e acc. 25-9-97 e succ. per il periodo 6-7-2000/30-9-2000, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

Lo S. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 28-7-2006, confermava la pronuncia di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con otto motivi.

Lo S. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con i primi quattro motivi la ricorrente censura sotto vari profili, la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine finale apposto al primo contratto: in particolare con il primo motivo la società lamenta contraddittoria motivazione laddove da un lato viene affermata l’ampiezza della delega alla contrattazione collettiva nella individuazione delle ipotesi legittimanti il contratto a e dall’altro viene richiesta l’introduzione di un limite temporale di validità; con il secondo motivo si deduce la mancanza di un tale limite temporale e con il terzo motivo si nega che un siffatto limite sia stato previsto dagli accordi collettivi succedutisi, i quali avrebbero avuto natura soltanto ricognitiva del perdurare della situazione in cui si trovava l’impresa e si lamenta violazione dei criteri ermeneutici nell’interpretazione degli stessi; con il quarto motivo si deduce insufficiente motivazione sul punto.

Sui detti primi quattro motivi osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 eh.).

In applicazione di tale principio vanno quindi respinti i primi quattro motivi, considerati unitariamente.

Con il quinto motivo si denuncia, poi, violazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni e si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha considerato quale atto di messa in mora la notificazione del ricorso introduttivo, che non conteneva alcuna offerta della prestazione di lavoro.

Con il sesto motivo si deduce che la sentenza impugnata, "confermando la condanna al pagamento delle retribuzioni perdute "sino all’effettivo ripristino del rapporto" (così la sentenza di primo grado) ha violato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, applicando tale norma al caso di specie, sebbene al signor S. non sia mai stato intimato alcun licenziamento illegittimo" e si lamenta che la condanna in sostanza si è riferita a "pretesi danni ipotetici e futuri", laddove lo S. neppure aveva richiesto il pagamento delle retribuzioni pretesamente maturate dopo la data della sentenza.

Con il settimo motivo si lamenta vizio di motivazione sul punto della avvenuta messa in mora della società.

Con l’ottavo motivo si deduce che il risarcimento del danno deve essere comunque proporzionalmente ridotto, considerando, da un lato, l’aliunde perceptum e, dall’altro, l’eventuale inerzia del lavoratore nell’omettere di ricercare una nuova occupazione.

Osserva il Collegio che, in particolare, il sesto motivo, con il relativo quesito (ex art. 366 bis applicabile ratione temporis), risulta sufficientemente specifico e ammissibile, in quanto solleva e sviluppa chiaramente la questione della natura e dell’entità del risarcimento del danno richiesto come conseguenza della nullità del termine.

Orbene su tale danno è intervenuto, lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, i quali dispongono che: "5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 32, commi 5, 6 e 7. 6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà. 7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per lutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ.".

Tale ius superveniens, applicabile anche nel giudizio pendente in cassazione, semprechè "il motivo di ricorso con cui è investito anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo la disciplina sua propria" (anche ex art. 366 bis c.p.c., ratione temporis) (v. Cass. 26-7-2011 n. 16266, Cass. 31-1-2012 n. 1409), come è stato da ultimo precisato da questa Corte (v. Cass. 29-2-2012 n. 3056) "configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale "ex lege" a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale "aliunde perceptum"), trattandosi di indennità "forfetizzata" e "onnicomprensiva" per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto "intermedio" (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione)".

Così interpretata, la nuova normativa – risultata "nell’insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi" – ha superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

Orbene tale normativa va applicata nel caso in esame, essendo questa Corte investita al riguardo, come sopra, da un valido e pertinente motivo di ricorso.

Pertanto, nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, va accolto il sesto motivo, risultando nel contempo assorbiti i restanti motivi (riguardanti in sostanza la messa in mora e l’aliunde perceptum, la cui rilevanza, peraltro, è esclusa nel nuovo regime risarcitorio) e la impugnata sentenza va cassata, in relazione al motivo così accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, la quale provvederà nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito dal comma 7 del citato art. 32, statuendo altresì sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi, accoglie il sesto, assorbiti gli altri, cassa la impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

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