Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-06-2012, n. 8849 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 30-1-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da M.F.R. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., per il periodo 11-10- 2000/31-1-2001, con il riconoscimento della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e con la condanna della società al ripristino del rapporto e al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate.

Il M. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società appellata si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 14-2-2006, in accoglimento dell’appello, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto de quo con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dall’11-10-2000, "ancora in atto", e condannava la società al risarcimento del danno in favore del M. in misura pari alle retribuzioni spettanti dalla messa in mora (14/6/2002) sino alla scadenza del terzo anno successivo alla cessazione del rapporto a termine (31-1-2004), oltre interessi legali, rivalutazione ed oltre le spese di entrambi i gradi.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con due motivi.

Il M. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un unico motivo.

Il M. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., va rilevata la nullità della procura apposta a margine della "comparsa di costituzione di nuovo difensore" rilasciata dalla società all’avv. Rossana Clavelli, con la conseguente nullità della costituzione in giudizio di quest’ultima.

Nel giudizio di cassazione, infatti, come ripetutamente è stato affermato da questa Corte (nel regime anteriore alla L. n. 69 del 2009), "la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poichè l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica con riferimento al giudizio di cassazione soltanto quelli sopra individuati; ne consegue che se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del cit. art. 83, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata" (v. fra le altre Cass. 9-4-2009 n. 8708, Cass. 20-8-2009 n. 18528).

D’altra parte nella fattispecie, ratione temporis, neppure potrebbe invocarsi il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine o in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso (come la "memoria di nomina di nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato"), in quanto lo stesso "si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2" (v. Cass. 26-3-2010 n. 7241, Cass. 28/7/2010 n. 17604).

Con il primo motivo del ricorso principale la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’accordo 25/9/1997 e i successivi accordi attuativi avrebbero avuto una efficacia limitata temporalmente al 30-4-1998, lamentando violazione dell’art. 1362, e segg., e vizi di motivazione al riguardo e sostenendo, in sostanza, la mancanza di qualsiasi limite temporale nell’accordo del 1997 e la natura meramente ricognitiva degli accordi attuativi successivi, che hanno verificato periodicamente la sussistenza delle ragioni giustificative del termine.

Il motivo è infondato e va respinto.

Osserva il Collegio che, al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2/3/2006 n. 4588, è stato ripetutamele precisato da questa Corte che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali air autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Con il secondo motivo la società denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., in sostanza lamenta che la Corte d’Appello "non ha svolto alcun tipo di verifica" in ordine alla messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore e non ha tenuto "conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente", disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

Il motivo risulta inammissibile in quanto del tutto generico e privo di autosufficienza.

La società, infatti, si limita a lamentare genericamente una "mancanza di verifica" della messa in mora e non riporta il contenuto della comunicazione dell’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione (cfr. Cass. Cass. 28-7-2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710) che secondo il suo assunto non avrebbe integrato la messa in mora, riscontrata dai giudici di merito.

Parimenti, poi, del tutto generica e priva di autosufficienza è la censura relativa alll’aliunde perceptum.

Anche al riguardo la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099).

Nè è censurabile in questa sede il mancato accoglimento della richiesta di esibizione (dei modelli 101 e 740) avanzata dalla società.

Come questa Corte ha più volte precisato "l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio (v. fra le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943).

Così risultato inammissibile il secondo motivo non può la società invocare nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare ne giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (cfr. Cass. 4-1-2011 n. 80, Cass. 26-7-2011 n. 16266).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Così respinto il ricorso principale (che in effetti neppure investe validamente il capo del risarcimento del danno), osserva il Collegio che pari menti non merita accoglimento il ricorso incidentale, con il quale il M. censura la determinazione del quantum del risarcimento del danno nei soli limiti della retribuzione che va dalla messa in mora (14-6-2002) fino al compimento del triennio successivo alla cessazione del rapporto (31-1-2004).

Al riguardo, infatti, va rilevato che, alla luce del citato ius superveniens – a prescindere dalla correttezza o meno della statuizione impugnata in base alla disciplina previgente, la censura risulta infondata in considerazione del divieto di reformatio in peius, non potendo comunque il ricorrente incidentale ottenere, in base alla nuova disciplina, più di quanto gli è stato già riconosciuto dalla Corte di Appello.

Pertanto vanno così respinti entrambi i ricorsi e, in ragione della soccombenza reciproca, vanno compensate le spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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