Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-06-2012, n. 8845 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.E., dipendente di Poste Italiane dal settembre 1988 con mansioni di portalettere presso l’ufficio postale di (OMISSIS), impugnava la sentenza n. 412/08 del Tribunale di Bergamo con la quale era stato respinto il suo ricorso avverso il licenziamento intimatogli dalla società il 12 gennaio 2005 a seguito di una reiterata serie di infrazioni disciplinari, unitariamente contestategli.

Sosteneva la violazione del procedimento previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, in quanto aveva chiesto di essere sentito a sua difesa durante l’orario di lavoro e presso la sua sede di lavoro, e l’azienda aveva disatteso la sua richiesta; che, inoltre, la contestazione era tardiva perchè la lettera era stata consegnata a mano il 15 giugno 2005 (anche se datata 27 maggio 2005) e gli addebiti risalivano almeno ad un mese prima; lamentava ancora che la datrice di lavoro aveva scelto di contestare gli addebiti non singolarmente ma unitariamente, così determinando un ingiusto aggravio della sua posizione; lamentava infine la violazione dell’art. 53 del c.c.n.l. in quanto il licenziamento era stato irrogato pur in mancanza di gravi danni per la società, cui la lettera di licenziamento non faceva neppure cenno, conseguendone anche la sproporzione della sanzione adottata.

Si costituiva la società Poste Italiane che, richiamando il contenuto della lettera di contestazione delle molteplici violazioni rilevate (insubordinazione, ritardo nelle consegne, accumulo di giacenza, ritardi o assenze sul lavoro), difendeva la legittimità del proprio operato, avendo il ricorrente commesso violazioni tali da giustificarne il licenziamento.

Con sentenza depositata il 1 agosto 2009, la Corte d’appello di Brescia respingeva il gravame, e con esso l’eccezione di violazione della procedura di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, per il resto ritenendo provati e gravi i comportamenti contestati.

Propone ricorso per cassazione il F., affidato a sei motivi.

Resiste la società Poste Italiane con controricorso, poi illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 1175, 1375 c.c., nonchè L. n. 300 del 1970, art. 7, oltre ad un vizio di motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Lamentava in particolare che la corte territoriale ritenne legittima la sanzione applicata, pur essendo pacifico che il lavoratore chiese di essere ascoltato personalmente a sua difesa "durante l’orario di servizio e presso il proprio ufficio di applicazione", laddove la datrice di lavoro lo aveva convocato per le ore 14,30 presso gli uffici di (OMISSIS).

Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha al riguardo correttamente osservato che la convocazione in orario lavorativo e nel luogo di lavoro non rientri tra i diritti del lavoratore, purchè la convocazione in orari o luoghi diversi non si traduca, per le difficoltà della sua attuazione, in una violazione del diritto di difesa. Tale principio risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo, Cass. 31 marzo 2011 n. 7493), secondo cui ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 2, in caso di irrogazione di licenziamento disciplinare, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia, ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore, questi non ha diritto ad un diverso incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poichè l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile.

Nella specie non sono stati evidenziati elementi per ritenere che la convocazione presso gli uffici di Bergamo (preposti, secondo l’incontestato accertamento del giudice di merito, alla gestione del procedimento disciplinare, pag. 4 sentenza impugnata), alle ore 14,30 (e dunque, secondo quanto affermato dalla stesso ricorrente – pag. 4 ricorso – mezz’ora dopo la fine del turno di lavoro), rendessero difficile o gravoso l’esercizio del diritto di difesa.

2. Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 1175 c.c.;

dell’art. 54 del c.c.n.l. di categoria del luglio 2003.

Si duole in sostanza il F. della violazione, da parte della corte territoriale, del principio di immediatezza della reazione disciplinare, essendo decorsi più di due mesi dalle infrazioni alla lettera di contestazione.

Denuncia quindi una omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, l’avere cioè la datrice di lavoro atteso l’accumularsi di vari fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti, contestandoli unitariamente, ciò che a suo avviso costituiva altresì violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 7.

I motivi, che per la loro stretta connessione possono congiuntamente esaminarsi, risultano in parte inammissibili (posto che il c.c.n.l. non risulta depositato nè viene indicata la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), e per il resto infondati. Deve infatti richiamarsi il consolidato principio di legittimità secondo cui il principio di immediatezza della reazione disciplinare ha carattere relativo, ed il relativo apprezzamento è riservato al giudice di merito (ex plurimis, Cass. 1 luglio 2010 n. 15649; Cass. 1 febbraio 2010 n. 2283; Cass. 6 settembre 2009 n. 18711; Cass. 2 febbraio 2009 n. 2580). Deve poi chiarirsi che ben può il datore di lavoro, come affermato nella sentenza impugnata, contestare unitariamente al lavoratore una serie di infrazioni omogenee, e, come nella specie, commesse in un ristretto ambito temporale (due mesi circa) al fine di valutare nel modo più appropriato la natura e gravità della condotta (Cass. n. 2283 del 2010; Cass. n. 2579 del 2009), conseguendone anche la necessità per il giudice di merito di una valutazione complessiva della loro incidenza sul rapporto di lavoro (Cass. 27 gennaio 2009 n. 1890).

Come anzi chiarito da Cass. 14 settembre 2007 n. 19232, allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito deve esaminarli non partitamente, ma globalmente al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia riposta dal datore di lavoro nel dipendente, atteso che la molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che costituisce ulteriore negazione degli obblighi del dipendente ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento degli obblighi stessi.

Ciò premesso deve evidenziarsi che la corte territoriale ha accertato che dall’ultimo episodio disciplinarmente rilevante e la contestazione è trascorso un periodo di solo due settimane (ed in assoluto un periodo di circa due mesi) che, anche considerata la struttura ed organizzazione della datrice di lavoro, non può certamente ritenersi in contrasto col principio dell’immediatezza invocato.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., e segg., lamentando che la corte di merito non aveva formulato ai testi tutte le domande inerenti i capitoli di prova ammessi ed integralmente riportati in ricorso.

Il motivo è infondato.

Deve infatti considerarsi che le formalità relative alla deduzione ed all’assunzione di prove testimoniali sono stabilite non per ragioni di ordine pubblico bensì nell’esclusivo interesse delle parti; pertanto eventuali nullità derivanti dall’inosservanza di tali formalità non hanno carattere assoluto ma relativo e non sono dunque rilevabili d’ufficio dal giudice ma debbono essere immediatamente dedotte dalla parte interessata, dovendosi considerare sanate per acquiescenza, ove la parte stessa non le abbia denunciate con la prima difesa successiva al loro verificarsi, cosicchè non possono neppure essere dedotte come motivo di impugnazione (Cass. n. 10114 del 02/08/2000; Cass. n. 9952 del 13/10/1997; Cass. 30 dicembre 1993 n. 13011; Cass. n. 3693 del 29/03/1995). Ne consegue altresì che ove sia dedotta con il ricorso per cassazione la nullità della assunzione della prova testimoniale per violazione dell’art. 244 c.p.c., il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve integrare la critica alla sentenza con l’indicazione dell’atto processuale con il quale fece opposizione all’assunzione della prova o ne dedusse tempestivamente la nullità (Cass. 12 novembre 1999 n. 12577).

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentando che il giudice d’appello non aveva esaminato compiutamente le risultanze istruttorie, trascurando le dichiarazioni di alcuni testi senza neppure motivare in ordine alla loro inattendibilità, ovvero erroneamente valutando le deposizioni di altri testimoni.

Il motivo è inammissibile richiedendo alla Corte un riesame in fatto delle circostanze di causa, ed istruttorie in particolare (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). Nell’ultima delle sentenze indicate questa Corte ha già osservato che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.

6. Con il sesto motivo il F. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2082 e 2094 c.c., oltre ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la corte di merito adeguatamente considerato che il lavoratore subordinato non è obbligato al raggiungimento di un certo risultato, trattandosi di obbligazione di mezzi, conseguendone l’illegittimità della sanzione irrogata per non avere il ricorrente, nello svolgimento delle sue mansioni di portalettere, recapitato tutta la corrispondenza avuta in consegna.

Il motivo è infondato.

Nella specie, infatti, la corte di merito non ha ritenuto legittimo il licenziamento per violazione di una insussistente obbligazione di risultato, bensì per l’evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente (Cass. 22 gennaio 2009 n. 1632;

Cass. 22 febbraio 2006 n. 3876). La corte di merito ha correttamente ritenuto che i fatti addebitati, correttamente valutati nel loro complesso alla luce dell’istruttoria espletata (v. sopra punto 3), dimostrassero un pervicace ritardo nell’esecuzione della prestazione e delle direttive ricevute da parte del dipendente, connotato anche da un palese ostruzionismo nello svolgimento dei compiti affidatigli, manifestatosi anche attraverso la meticolosa pesatura della corrispondenza con rimozione di missive eccedenti di pochi grammi il peso convenuto (pag. 11 sentenza), causando notevoli disservizi.

Trattasi di accertamento di fatto logico e correttamente motivato, e pertanto insindacabile in questa sede di legittimità, posto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito (Cass. n. 4766 del 2006, e successiva giurisprudenza indicata sub 4). Va inoltre considerato che in tema di licenziamento per giusta causa, spetta unicamente al giudice del merito -e non può essere sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o giuridici – l’accertamento che il fatto addebitato sia di gravità tale da integrare la fattispecie di cui all’art. 2119 cod. civ. (Cass. 11 maggio 2005 n. 9884).

7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del c.c.n.l. di categoria, oltre ad una carenza motivazionale sul punto, per non avere il giudice di merito considerato che in base alla citata norma contrattuale il presupposto per l’irrogazione del licenziamento era costituito dall’avere il comportamento addebitato causato gravi danni alla società o a terzi.

Il motivo è inammissibile, non essendo stato depositato il c.c.n.l. nè indicata la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. sez. un., ord. 25 marzo 2010 n. 7161; Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726).

Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro. 40,00 per esborsi, Euro. 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *