Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-10-2011) 22-11-2011, n. 42971

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 29/12/2010, la Corte di Appello di Catanzaro confermava la sentenza pronunciata in data 20/12/2007 nella parte in cui il Tribunale della medesima città aveva ritenuto F. C. responsabile del delitto di rapina aggravata.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo assenza di motivazione in relazione alle censure mosse con l’atto di appello.

Rileva il ricorrente che la Corte si era limitata a motivare riproponendo argomentazioni identiche a quelle esposte dal primo giudice e non aveva indicato un solo elemento serio di natura indiziaria dal quale poter desumere la partecipazione, in termini di concorso, del F. al delitto contestato.

3. Il ricorso, nei termini in cui la censura è stata dedotta è manifestamente infondato.

La Corte territoriale, dopo avere ampiamente illustrato i motivi di appello (pag. 1 – 6 della sentenza impugnata), con amplissima motivazione, ha preso in esame ciascuno di essi e li ha disattesi confutandoli sia sotto il profilo logico sia alla stregua di una valutazione unitaria dei singoli e numerosi indizi puntualmente indicati (cfr pag. 7-22 della sentenza impugnata).

In questa sede, il ricorrente, da pag. 2 a pag. 8, riporta integralmente i motivi di appello, per poi, nella sola pag. 9, dedurre la doglianza nei termini di cui si è detto in parte narrativa.

Sennonchè, la censura è non solo generica ma va ritenuta null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento": infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745;

Cass. 2436/1993 rv 196955. Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SS.UU. 24/1999.

Infine, va rilevato che il tentativo dei ricorrenti di far leva su singoli elementi indiziari e, quindi, di frazionare l’insieme del quadro probatorio al fine di meglio confutarlo, va stigmatizzato.

Infatti, come ha ripetutamente ritenuto questa Corte, la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati.

La Corte territoriale si è correttamente attenuta al suddetto procedimento, sicchè, anche sotto questo profilo, non si ravvisano vizi censurabili in sede di legittimità.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3 per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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