Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-06-2012, n. 8833

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 14 dicembre 2009, la Corte d’Appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame svolto dalla Cisalfa Sport s.p.a. contro la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente la domanda proposta da P.M.I. nei confronti della predetta società per differenze retributive e danno da omissione contributiva; rigettava il gravame svolto dalla P. e dichiarava inammissibile il gravame incidentale svolto dalla società. 2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– P.M.I., assunta come commessa dalla s.r.l.. La Cicogna, poi confluita nella Cisalfa Sport s.p.a., per molti anni aveva lavorato in nero ed in seguito sottoscritto una serie di contratti di collaborazione, volti a dissimulare un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

– nel 1983 era stata convenuta in giudizio dal datore di lavoro, che aveva adito il giudice per ottenere l’accertamento della natura autonoma del rapporto di lavoro, domanda respinta, con sentenza del 1985, a seguito dell’accertamento della natura subordinata del rapporto a decorrere dal 1968;

– la società, inibita alla lavoratrice la ripresa del lavoro fino a dicembre 1987, all’esito della conferma in appello della sentenza del primo giudice assegnava la dipendente alla direzione del negozio di (OMISSIS);

– in data 31 agosto 1988 il rapporto di lavoro si era risolto per raggiunti limiti di età della lavoratrice;

– la lavoratrice adiva il giudice del lavoro per l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato anche dal 1962 al 1968; della natura dirigenziale delle mansioni svolte per l’intero periodo lavorativo; per le differenze retributive e accessori, non avendo percepito la sufficiente retribuzione nel periodo dal 1962 al 1968 e da luglio 1983 a dicembre 1987; la condanna della società al risarcimento del danno da omissione contributiva;

– il primo giudice riconosceva le differenze retributive per il periodo da luglio 1983 a dicembre 1987 e dichiarava che nulla era dovuto all’INPS;

– proponevano gravame la società e la lavoratrice; la società proponeva anche appello incidentale.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva:

– l’idoneità dell’atto interruttivo del 30.9.1988 con il quale la lavoratrice manifestava chiaramente la volontà di rivendicare i suoi diritti, anche retributivi, non inficiata dalla riserva di precisare il quantum all’esito dei calcoli non ancora effettuati, sicchè correttamente il primo giudice aveva pronunziato la condanna a decorrere dal quinquennio anteriore;

– la sospensione del rapporto di lavoro (con impegno della società a corrispondere i compensi per tutta la durata del contenzioso giudiziario) era stata prudenzialmente determinata dalla società, in attesa dell’esito dell’accertamento negativo del rapporto di lavoro subordinato, con impegno a corrispondere le relative retribuzioni mensili a seguito del rigetto ottenuto in primo grado;

– la detrazione, da quanto dovuto dalla società, dei minimi pensionistici, pur statuita dal primo giudice ma non introdotta nel dispositivo per errore materiale, passata in giudicato in mancanza di specifico motivo di appello della lavoratrice, onde la relativa statuizione andava rettificata detraendo dal dovuto nel periodo 1983- 1987 quanto dalla lavoratrice percepito a titolo di minimo pensionistico;

– sussistente la preclusione da precedente giudicato sulla base del rilievo che il periodo antecedente al 1968 era deducibile nel precedente giudizio (ed era stato dedotto, tardivamente, nelle note conclusionali del giudizio di primo grado, anzichè tempestivamente con la memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c.);

– quanto alle differenze retributive per le funzioni direttive per tutto il periodo del rapporto, e non solo per il quadriennio 1983- 1987, attesa l’eccezione di prescrizione, la condanna andava limitata al periodo decorrente del 1983;

– quanto alla domanda di condanna al risarcimento del danno per omissione contributiva, il motivo era infondato per essersi formato il giudicato per il periodo anteriore al 1968 al quale viene riferita l’omissione contribuiva dedotta come causa pretendi della pretesa risarcitoria;

– quanto alla domanda di condanna all’integrazione dei contributi e, se prescritti, all’integrazione della quota di rendita vitalizia, a seguito della sentenza di condanna passata in giudicato la società aveva inquadrato la lavoratrice come direttrice di primo livello e versato i relativi contributi per gli ultimi dieci anni, mentre per i contributi eccedenti l’ultimo decennio era stata costituita rendita vitalizia a decorrere dal 1.12.1968 sino al 30.9.1978, data a decorrere dalla quale erano stati versati i contributi non prescritti;

– anche l’interpretazione del motivo con riferimento al preteso inquadramento dirigenziale non era meritevole di accoglimento;

– infine, l’appello incidentale andava dichiarato inammissibile.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, P.M. I. ha proposto ricorso per cassazione fondato su diciassette motivi. L’intimata ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.

Motivi della decisione

5. Così, in sintesi, i motivi di ricorso:

– omesso esame di un punto decisivo della controversia sotto il profilo dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La ricorrente si duole che la corte di merito non abbia considerato come primo atto interruttivo della prescrizione il ricorso depositato dalla società il 28.3.1983 per l’accertamento del rapporto di lavoro autonomo intercorso tra le parti fin dal 1968 (primo motivo);

– violazione e falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver la corte di ravvisato un errore materiale tra motivazione e dispositivo in punto di detrazione dei minimi di ratei pensionistici, pronunciando su una statuizione coperta da giudicato in difetto di gravame sul punto (secondo motivo);

– violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per aver la corte territoriale erroneamente applicato la regola del giudicato che copre dedotto e deducibile a giudizi non accomunati dall’identità dell’oggetto e, in particolare, alla domanda per il periodo 1962-1968 introdotta nel giudizio di primo grado (terzo motivo);

– con tutti i motivi articolati dal quarto al diciassettesimo, la ricorrente, censurando la violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che la corte del gravame non si sia pronunziata: sulla domanda di pagamento di Euro 6.713,94 oltre accessori (quarto motivo, con identica riproduzione nel quindicesimo); sull’eccepita nullità della notifica del ricorso in appello e sull’intempestività dell’appello (quinto motivo); sul passaggio in giudicato della condanna alla regolarizzazione contributiva per il quadriennio 1962-1968 secondo una diversa e superiore qualifica (sesto motivo); sul riconoscimento della qualifica dirigenziale alla stregua della contrattazione collettiva di settore, anche per il periodo dal 1962 al 1968 (settimo motivo); sull’accertamento delle differenze retributive in base alla superiore qualifica, dal 1.4.1962 alla cessazione del rapporto (ottavo motivo); sulla domanda di pagamento delle differenze retributive (nono motivo), anche a titolo di compensi e indennità per ferie non godute, festività non retribuite, lavoro straordinario, trasferte, ecc. (decimo motivo); dell’indennità di fine rapporto e relativo adeguamento in relazione alla superiore qualifica (undicesimo motivo, riprodotto nel medesimo contenuto nel quattordicesimo motivo); degli stipendi ed indennità non corrisposti durante l’illegittima sospensione del rapporto di lavoro (dodicesimo motivo); sulla domanda di risarcimento del danno per inadempienze retributive (tredicesimo motivo); sulla domanda di pagamento delle differenze contributive (sedicesimo motivo); sulla domanda di condanna al risarcimento dei danni ex art. 2116 c.c. (diciassettesimo motivo).

6. Il primo motivo, pur conforme alla regola dell’autosufficienza del ricorso, è tuttavia inammissibile per inadeguatezza della deduzione della censura avverso la sentenza del Giudice del gravame.

7. Invero, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale, ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovvero sia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.

8. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo.

9. Il secondo motivo, che muove dall’assunto che la corte di merito abbia ravvisato un errore materiale tra motivazione e dispositivo, non coglie nel segno ed è pertanto inconferente atteso che la corte territoriale ha ravvisato l’errore materiale nel dispositivo del primo giudice – ove non era stata operata la detrazione dei minimi di ratei pensionistici goduti dalla P. e affermata in motivazione – ma ha ritenuto, in difetto di specifico motivo di gravame della P., la relativa statuizione del Tribunale passata in giudicato c.d. interno, rilevabile d’ufficio, così riformando-rettificando la condanna della società detraendo dal dovuto quanto dalla lavoratrice percepito a titolo pensionistico, con risultato pari alla somma quantificata dalla società e non contestata dalla lavoratrice.

10. Osserva il Collegio che l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr., ex plurimis, Cass., n. 359/2005).

11. Anche il terzo motivo, inerente all’erronea applicazione della regola del giudicato alla domanda relativa al periodo antecedente al 1968 e, in particolare, al periodo 1962-1968 introdotta nel giudizio di primo grado, non coglie nel segno ed è, pertanto, infondato per aver la corte territoriale, muovendo dalla regola secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, pronunziato con riferimento al predetto periodo statuendo che l’accertamento del rapporto di lavoro, anche con riferimento al periodo antecedente al 1968, sarebbe stato deducibile tempestivamente sin dalla memoria di costituzione in giudizio ex art. 416 c.p.c., come dimostrato proprio dalla deduzione tardivamente svolta soltanto nelle note conclusionali.

12. Passando ai motivi articolati dal quarto al diciassettesimo, tutti illustrati censurando la violazione dell’art. 112 c.p.c., ne va dichiarata l’inammissibilità per l’inidonea devoluzione a questa Corte di legittimità, giacchè non prospettano correttamente la mancata pronuncia sulle domande proposte rispetto a quelle accolte.

13. Invero, osserva il Collegio che ove, come nella specie, sia denunciato un errar in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale, non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata (cfr., ex plurimis, Cass. 21621/2007).

14. Coerentemente, con riferimento all’ipotesi in cui sia stata denunciata l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado sulle doglianze mosse in appello, è stato affermato che non viene rispettato il principio di autosufficienza allorchè nel ricorso per cassazione non siano esposte quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, non potendo ottemperarsi a tale principio mediante il mero richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (cfr., Cass., 26693/2006); più in generale, sempre con riferimento ai casi di denunzia del vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è stata reiteratamente affermata la necessità, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione (cfr., ex plurimis, Cass. 21226/2010; Cass. 23420/2011), o in molteplici pagine prodromiche all’illustrazione dei motivi che il Giudice di legittimità dovrebbe porre in correlazione con l’esposizione del relativo motivo.

15. Tali oneri non sono stati ottemperati, nel caso di specie, dalla ricorrente, che si è limitata a rappresentare sinteticamente l’oggetto della propria originaria domanda senza trascriverle negli esatti termini del loro svolgimento, ma riportandosi ad un mero sintetico richiamo.

16. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibili i motivi articolati dal quarto al quindicesimo.

17. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 30,00 per esborsi, oltre Euro 6.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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