Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-10-2011) 22-11-2011, n. 43049

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa dalla corte d’assise di appello di Roma, in data 4.11.2010, veniva ribadita la colpevolezza di A.G. per il reato di omicidio aggravato e sequestro di persona, ai danni di P.M., nonchè di reati in materia di armi; la sentenza di primo grado del gip del Tribunale di Latina, veniva riformata solo in punto pena, nel senso che alla pena perpetua inflitta in primo grado veniva sostituita la pena ad anni venti di reclusione, a seguito della concessione delle circostanze attenuanti generiche, valutate con giudizio di equivalenza all’aggravante della premeditazione ritenuta.

L’omicidio occorse il (OMISSIS), a seguito dell’esplosione di due colpi di arma da fuoco; il cadavere della vittima venne peraltro trovato solo quattro giorni dopo e soltanto a distanza di un mese dal fatto, si giunse ad individuare i colpevoli.

Veniva appurato, grazie alle indicazioni confessorie dell’imputato e di Pi.Ga., che l’omicidio seguì alla mancata consegna del bottino di una rapina che venne consumata dal P. e da An.Fa., proprio per disporre del denaro necessario per coprire un debito contratto con il Pi. per forniture di stupefacenti, rapina che venne perpetrata sotto il controllo a distanza di A. e Pi., interessati al buon esito dell’azione delittuosa. Veniva sottolineato che il movente andava ricondotto al fatto che il bottino si disperse e non entrò nella disponibilità dei due concorrenti morali. Però se da un lato, il Pi. assunse che a sparare fu l’ A., quest’ultimo attribuì invece l’esecuzione al Pi., aggiungendo che per quanto fossero entrambi armati egli ebbe un ripensamento sull’opportunità di uccidere il P., la cui scelta omicidiaria andava ricondotta in via esclusiva al Pi.. Tale prospettazione non convinse i giudici di merito perchè: 1) A. era portatore di un interesse personale, tanto è vero che partecipò alla spedizione punitiva; 2) A. ammise di avere minacciato con la pistola, armata, di sua titolarità la vittima; 3) Pi. ammise la sue responsabilità, sia a livello ideologico che materiale e chiamò in causa anche l’ A.; 4) A. confessò che il Pi. gli aveva comunicato l’intenzione di uccidere il P.. In tale cornice non solo l’omicidio veniva ricondotto ad entrambi, ma veniva ritenuto aggravato dalla premeditazione, atteso che venne pianificata un’azione che aveva di mira l’eliminazione dell’uomo e che doveva essere eseguita il 4 agosto, ma venne rinviata al 7 agosto successivo, per la presenza di testimoni. La corte assumeva che anche stando alla versione dell’imputato, poichè egli era a conoscenza del progetto omicidiario, poichè si recò armato all’appuntamento del 7 agosto, poichè concorse nel sequestro della vittima, poichè minacciò con la pistola, quand’anche all’ultimo si fosse defilato, la sua condotta non avrebbe fatto venire meno il considerevole apporto causale all’azione omicidiaria offerto, anche in termini di rafforzamento della deliberazione omicidiaria del complice. La tesi dell’ A. in ogni caso non veniva ritenuta credibile per il semplice fatto che il Pi. non avrebbe mai agito in presenza del complice diventato improvvisamente potenziale testimone e che l’impegno fosse stato comune era dimostrato anche dal fatto che l’arma del delitto venne trovata presso il Pi., circostanza questa che dimostrava come questi non avesse alcun timore di essere esposto nei confronti dell’ A..

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa, sviluppando quattro motivi con cui è stato dedotto:

2.1 violazione dell’art. 125 c.p.p., per erronea e mancata applicazione della norma e per motivazione carente, illogica, contraddittoria ed apparente. Sarebbe del tutto illogica la motivazione quanto alla sussistenza del reato di sequestro di persona, non ricorrendo alcun elemento che accrediti che il P. sia stato sequestrato. Non vi sarebbe stata alcuna costrizione per farlo rimanere in auto, atteso che la vittima indossò addirittura la cintura di sicurezza;

2.2 violazione dell’art. 125 c.p.p., per erronea e mancata applicazione della norma e per motivazione carente, illogica, contraddittoria ed apparente in relazione all’aggravante della premeditazione: non vi sarebbe prova della consapevolezza dell’ A. sul fatto che il Pi. volesse far del male al P., per cui difetterebbero i presupposti cronologico ed ideologico, per vedere integrata l’aggravante. Non vi sarebbe prova alcuna sul concerto criminoso, tanto che non era neppure stato individuato il luogo dove si sarebbe dovuto dare una lezione al P.. Dunque non vi sarebbe traccia di determinazione ferma e irrevocabile. Viene poi sostenuto che l’imputato non aveva armi e non nutriva acredine contro la vittima.

2.3 nullità della sentenza per violazione art. 125 c.p.p., per erronea e mancata applicazione della norma e per motivazione carente, illogica, contraddittoria e apparente in relazione agli artt. 114 e 116 c.p.. La difesa insiste sul fatto che il contributo dell’ A. fu di minima importanza, poichè nell’economia generale dell’iter criminoso la sua presenza non avrebbe avuto alcuna efficacia causale, tale da non giustificare l’applicazione dell’art. 114 c.p. e sul punto viene lamentato il difetto di motivazione. Anche in relazione alla diminuente di cui all’art. 116 c.p., la corte di merito non avrebbe ritenuto – erroneamente – la tesi difensiva di successivo scostamento dell’ A. rispetto all’azione omicidiaria.

2.4 nullità della sentenza per violazione art. 125 c.p.p. per erronea e mancata applicazione della norma e per motivazione carente, illogica, contraddittoria ed apparente in relazione all’art. 81 c.p.:

viene contestato l’aumento di pena per ciascuno dei due reati satellite, in misura di anni tre di reclusione per ciascun reato, senza motivare sul punto, laddove l’aumento avrebbe dovuto essere poco più che simbolico, attesa che significativa ha da essere la pena per il reato più grave.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Sul primo motivo va detto che la corte territoriale ha ampiamente motivato sulla base delle stesse indicazioni dell’imputato, secondo cui il P. fu costretto, sotto la minaccia della pistola caricata, a salire sull’auto dei suoi interlocutori e che durante il viaggio, quando ricevette una telefonata, gli venne ingiunto di interrompere la conversazione e di spegnere il telefono (circostante queste che trovano riscontro nei tabulati telefonici): da tale base inferenziale non poteva che essere desunta la volontà dell’imputato e del concorrente Pi. di limitare la libertà personale della vittima, sottoposta ad un accompagnamento coatto in (OMISSIS), costretta a seguire passivamente i due antagonisti, senza alternative, comportamento questo che deve essere inquadrato, senza forzatura alcuna, nell’ipotesi prevista dall’art. 605 c.p.: l’ipotesi alternativa che la vittima abbia seguito spontaneamente la coppia A. – Pi. è davvero difficilmente argomentabile, se solo si consideri che l’intervento armato del 7 agosto seguiva di pochi giorni un precedente tentativo di sequestro, interrotto per la presenza di testimoni, il che esclude una adesione volontaria all’invito a seguire i due menzionati; nè può portare ad opinare diversamente la sola circostanza che la vittima abbia in auto allacciato la cintura di sicurezza, poichè il dato non ha alcuna attitudine dimostrativa nel senso prospettato dalla difesa.

Quanto al secondo motivo, va detto che la sentenza impugnata presenta un solido apparato argomentativo anche in relazione alla ritenuta aggravante della premeditazione, avendo sottolineato i giudici di merito che sempre stando alle dichiarazioni dello stesso imputato, l’aggressione a mano armata al P. avrebbe dovuto avvenire il (OMISSIS), ma venne rinviata alla sera del (OMISSIS) successivo, per ragioni di cautela: tale lasso di tempo è stato correttamente valorizzato in chiave dimostrativa della premeditazione, in perfetta aderenza con i principi del diritto vivente, secondo cui gli elementi costitutivi della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso e la ferma risoluzione criminosa, perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (cft. cass. Sez. Unite n. 337/2009).

Nella sentenza impugnata risultano adeguatamente apprezzate le ragioni della concreta individuazione di entrambi gli elementi (cronologico e ideologico), reciprocamente integrati nella corretta ricostruzione dei fatti, per cui non è ravvisarle alcun deficit motivazionale, nè sotto il profilo della carenza, nè sotto il profilo dell’intrinseca razionalità. Non può condurre ad opinare diversamente il fatto che l’ A. non avesse avuto ben presente ab initio la volontà di uccidere, volontà di cui sarebbe stato animato solo il correo che avrebbe sparato con un fucile a canne mozze, posto che tale realtà è stata ritenuta smentita dal fatto che sia il (OMISSIS) l’ A. era armato e che la sera del 7 fece scarrellare l’arma, puntandola in faccia alla vittima, in un contesto in cui lo stesso imputato ammise che il Pi. gli disse senza reticenze di voler uccidere il P.. In tali circostanze non poteva essere ritenuto l’imputato all’oscuro delle finalità dell’azione a cui a pieno titolo partecipò con due interventi a mano armata, distanti tra loro temporalmente e quindi significativi della perduranza del proposito criminoso.

Nè la sentenza impugnata si espone a censure per difetto di motivazione per non avere i giudici di merito ritenuto insussistenti le diminuenti di cui agli artt. 114 e 116 c.p.: è la dinamica degli atti così come ricostruita che ha correttamente portato a ritenere l’ A. perfettamente a giorno della volontà omicidiaria del Pi. e quindi ad aver partecipato nella piena consapevolezza dell’obiettivo prefissatosi dal complice e perfettamente compatibile con la potenzialità offensiva delle armi che lo stesso mise a disposizione per raggiungere l’obiettivo. Quindi correttamente il concorso è stato ritenuto pieno, ai sensi dell’art. 110 e non già dell’art. 116 c.p.. La partecipazione poi dell’ A. nello sviluppo dell’azione non poteva essere apprezzata in termini di minima importanza, essendo stata non solo significativa, ma soprattutto indispensabile, visto che uno dei due aggressori guidava l’auto e l’altro dovette tenere a bada l’ostaggio nel percorso verso la morte e considerato che – lo spessore criminale della stessa vittima, l’agguato necessitava del corredo di almeno due uomini e due armi, come correttamente opinato dai giudici di merito, indipendentemente dal fatto che sia stato l’uno o l’altro a premere il grilletto. La versione dell’imputato, tesa a sminuire la sua partecipazione, è stata dunque correttamente valutata assolutamente inaffidabile.

Quanto infine alla determinazione della pena per i reati satellite, va evidenziato che è stato fatto riferimento dai giudici di merito al criterio dell’equità per dare ragione delle scelte, criterio di sintesi che da spiegazione dell’orientamento logico e valutativo del ragionamento seguito: l’accenno all’equità esaurisce l’obbligo della motivazione in ordine alla intervenuta determinazione degli aumenti di pena per i reati satellite, aumenti che non sono censurabili in detta sede nella loro misura.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in Euro 2000,00 oltre spese generali, IVA, CPA, come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile che liquida in Euro 2.000,00 (duemila), oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *