Cass. civ. Sez. V, Sent., 01-06-2012, n. 8829 Detrazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Lanciano della Agenzia delle Entrate venivano recuperate, nei confronti della ditta Alfino Ettore esercente la impresa di rivendita autoveicoli, maggiori imposte per complessivi Euro Euro 695.505,00 dovute per l’anno 2004 a titolo IRPEF, IRAP ed IVA, nonchè irrogate sanzioni pecuniarie per Euro 698.965,00.

L’Ufficio contestava al contribuente: a) la indebita detrazione dell’IVA versata su operazioni di cessione soggettivamente inesistenti intrattenute con la società Autoimport di Minno Pardo;

b) la indebita deduzione di costi non inerenti per spese di viaggio;

c) la omessa regolarizzazione ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, di fatture emesse dalla società Stemacar per la cessione "omaggio" di accessori radio per auto con annotazione "prezzi e condizioni sono calcolati come da contratto".

La opposizione proposta dal contribuente era accolta in primo grado con decisione integralmente riformata in appello dalla Commissione tributaria della regione Abruzzo con sentenza 21.1.2011 n. 22.

I Giudici territoriali premesso che la società Autoiport, come emergeva dalla verifica fiscale, era da ricondursi tra le società di comodo o cartiere, ritenevano raggiunta la prova (fondata sulla entità dei rapporti intrattenuti dalla Autoimport con la ditta Alfino -tali da assorbire quasi completamente la attività della prima, sui rapporti commerciali di fatto instaurati direttamente dalla ditta Alfino con la tornitrice francese AT.CAR. -attestati dalla consistente documentazione rinvenuta presso la ditta del contribuente- nonchè sulla sistematica rivendita sottocosto dei veicoli da Autoimport alla ditta Alfino) che la ditta del contribuente ordinasse ed acquistasse le auto direttamente dalla società francese, mediante la apparente interposizione della società Autoimport, alla quale la ditta Alfino forniva le somme occorrenti al pagamento del prezzo, e dalla quale successivamente otteneva fattura per un prezzo, con addebito IVA, inferiore a quello praticato dalla società fornitrice, ottenendo in tal modo un risparmio di imposta corrispondente alla differenza tra i due prezzi di vendita, mentre l’IVA applicata in fattura non veniva versata all’Erario dalla società Autoimport. Ritenevano, quindi, i Giudici territoriali che mediante la indicata triangolazione, la ditta Alfino -che i predetti indizi dimostravano consapevole della frode- da un lato poteva portare in detrazione l’imposta applicata in fattura -non versata da Autoimport a Fisco-, dall’altro poteva praticare sul mercato prezzi maggiormente competitivi.

I Giudici di appello, inoltre, confermavano la legittimità dell’avviso nella parte in cui recuperava la imposta per la omessa regolarizzazione delle fatture emesse dalla società Stemacar.

La sentenza è stata impugnata dal contribuente con ricorso affidato a due motivi.

Ha resistito la Agenzia delle Entrate con controricorso

Motivi della decisione

1. I Giudici di appello dopo aver riferito che all’esito delle indagini svolte dai funzionari della Agenzia era emerso che la ditta Autoimport (da cui il contribuente acquistava le vetture) agiva come società c.d. cartiera, fittiziamente interposta tra i due soggetti tra i quali veniva conclusa realmente la operazione commerciale, in quanto era risultata priva di adeguata struttura aziendale, non aveva mai occupato personale dipendente nè aveva tenuto libri o scritture contabili, fiscali od amministrative, hanno ritenuto provata la indebita detrazione dell’IVA su operazioni soggettivamente inesistenti per interposizione fittizia di tale società nei rapporti effettivamente intrattenuti tra la ditta Alfino e la società francese AT. CAR., sulla scorta dei seguenti elementi indiziari:

– la società Autoimport aveva intrattenuto nel corso dell’anno 2004 con la ditta Alfino rapporti aventi ad oggetto l’acquisito di veicoli pari al 90% dell’intero volume di affari;

– la documentazione rinvenuta presso la ditta Alfino attestava la intensità e durata dei rapporti commerciali da questa di fatto intrattenuti direttamente con la società francese AT. CAR. da cui la Autoimport acquistava i veicoli rivenduti all’ A.;

– la medesima documentazione rivelava che la società Autoimport rivendeva sistematicamente sottocosto i veicoli acquistati alla ditta dell’ A., e la differenza tra il prezzo inferiore praticato, con applicazione dell’IVA, e quello richiesto dalla società francese, corrispondeva al risparmio di imposta.

Inoltre, quanto al recupero della imposta concernente la omessa regolarizzazione delle fatture emesse della società Stemacar aventi ad oggetto acquisii di radio e navigatori satellitari, i Giudici ritenevano legittimo l’avviso di accertamento in quanto "l’assenza di fattura da parte del contribuente comporta necessariamente che l’acquisto sia stato realizzato in evasione di imposta".

La sentenza definisce il giudizio in grado di appello riformando integralmente la decisione di prime cure e rigettando il ricorso introduttivo proposto dall’ A..

2. Il contribuente ha impugnato la sentenza deducendo:

1a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 2727 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3):

1b) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

2) violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. nonchè dell’art. art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2.1 Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza in quanto la CTR abruzzese avrebbe attribuito efficacia probatoria ad elementi e circostanze di fatto non conferenti, omettendo di fornire puntuale motivazione in ordine ad elementi invece determinanti accolti dal Giudice di primo grado/quali in particolare, la regolarità formale della contabilità tenuta dalla ditta e la piena rispondenza dei relativi dati a quelli risultanti dalla verifica bancaria eseguita dai funzionar accertatori; l’esito favorevole al contribuente del procedimento penale per truffa aggravata in concorso con il rappresentante legale della società Autoimport iniziato a seguito della trasmissione del rapporto redatto all’esito della verifica fiscale e definito con decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Lanciano; le sentenze di merito favorevoli al contribuente emesse in diversi giudizi che accertavano la effettività dei rapporti commerciali tra la ditta Alfino e la società Autoimport, che non era stata ritenuta mera società cartiera, ed escludevano che il contribuente potesse essere chiamato a rispondere per evasione dell’IVA accertata nei confronti della predetta società; dalle regolarità contabile concernente l’attività svolta al ditta Alfino dal giorno successivo alla verifica fino alla data del 21.10.2005 avendo accertato i funzionari del Fisco che le registrazioni contabili corrispondevano alle liquidazioni periodiche riportate nei modelli F24. 2.2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del giudicato interno formatosi -per mancata impugnazione da parte dell’Ufficio finanziario- sul capo della sentenza di primo grado che accertava la insussistenza della pretesa fiscale relativamente al recupero ad imponibile, ai fini IRPEF ed IRAP, dell’importo di Euro 1.295,00 concernente costi non inerenti (spese per viaggi), avendo la ditta Alfino in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi correttamente inserito tali spese non inerenti nella voce "altri servizi indeducibili". La CTR abruzzese riformando integralmente la decisione di prime cure aveva illegittimamente travolto anche il capo passato in giudicato non investito dai motivi di gravame proposti dall’Ufficio finanziario, così violando la norma dell’art. 2909 c.c..

4. Il primo motivo è inammissibile in relazione ad entrambe le censure prospettate.

4.1 Premesso che in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 26.6.2008 n. 17535), occorre rilevare come, in tema di prova relativa ad operazioni oggettivamente o -come nel caso di specie- soggettivamente inesistenti, la giurisprudenza di questa Sezione, tanto con riferimento alle imposte dirette ( D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40) che alle imposte indirette ( D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), è ferma nel ritenere che grava sull’Amministrazione l’onere di provare -anche mediante presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. – la inesistenza di passività dichiarate o la falsa od omessa indicazione di attività imponibili (cfr. Corte cass. 5^ sez. 19.10.2007 n. 21953, con riferimento ad "indebita detrazione IVA per operazioni inesistenti", secondo cui l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, dovendo invece fondare su elementi anche indiziari tale contestazione. Sulla stessa linea si pone Corte cass. 5^ sez. 12.12.2005 n. 2341, in relazione ad "emissione di fatture per operazioni inesistenti", affermando che l’onere della prova della difformità tra realtà e rappresentazione contabile grava sulla Amministrazione finanziaria), mentre, una volta accertata in giudizio la esistenza dei requisiti legali di detta prova presuntiva, sorge l’onere per il contribuente di fornire la prova contraria (cfr. Corte cass. 5^ sez. 11.6.2008 n. 15395, da ultimo: Corte cass. 5^ sez. 23.4.2010 n. 9784).

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alle c.d. "frodi carosello" (caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello interposto o c.d. "fantasma" che ha emesso la fattura incassando l’IVA ed omettendo poi di versarla all’Erario), la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che, una volta fornita dalla Amministrazione finanziaria la prova della interposizione fittizia della società "cartiera o fantasma" nella operazione commerciale che risulta effettivamente posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto -cedente/prestatore- che non figura nella fatturazione, spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’IVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che la operazione è stata "realmente" conclusa con esso, non essendo tuttavia sufficiente a tale scopo la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, "trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perchè relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode" (cfr. Corte cass. 5^ sez. 24.7.2009 n. 17377; id. 20.1.2010 n. 867; id. 11.3.2010 n. 5912. Giurisprudenza costante: id. 3.12.2001 n. 15228, id. 6.2.2003 n. 1779, id.

23.12.2005 n. 28695, id. 23.3.2007 n. 7146).

4.2 Il ricorrente tuttavia omette nella esposizione del motivo di individuare specificamente quali passaggi logici ed argomenti giuridici utilizzati dai Giudici di merito nella ricostruzione della fattispecie concreta contrastino con gli elementi giuridici della fattispecie normativa astratta in quanto non rispondenti allo schema normativo della presunzione ( art. 2727 c.c.), limitandosi soltanto a sostenere, peraltro con riferimento indifferentemente a tutto il complesso degli elementi indiziari considerati in sentenza, l’assenza dei requisiti legali di gravità, precisione e concordanza previsti dall’art. 2729 c.c., privando in tal modo, altresì, di autonoma rilevanza l’ulteriore vizio, anch’esso denunciato con il motivo in esame, di violazione della regola del riparto probatorio, che viene ad essere relegato a mera conseguenza della asserita inconsistenza probatoria degli indizi valutati dalla CTR abruzzese.

4.3 In assenza della puntuale critica agli argomenti logico-giuridici della sentenza, rimane preclusa a questa Corte la verifica preliminare della decisività del vizio di violazione o scorretta applicazione delle norme di diritto indicate a parametro del sindacato di legittimità, venendo di fatto a richiedere il ricorrente, mediante la generale contestazione della valenza probatoria degli elementi fattuali considerati in sentenza, una nuova inammissibile valutazione delle risultanze probatorie, essendo riservata in via esclusiva al giudice del merito la scelta, tra le varie fonti di prova, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, nonchè la verifica della loro attendibilità e concludenza (cfr. Corte cass. 3^ sez. 28.6.2006 n. 14972; id. sez. lav. n. 12052/2007), se immune da errori e vizi logici.

4.4 Il primo motivo di ricorso, quanto al dedotto vizio motivazionale, deve ritenersi inammissibile anche per difetto del requisito di decisività delle prove ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) prodotte in giudizio dal contribuente e che la CTR avrebbe omesso del tutto prendere in considerazione e di confutare singolarmente.

E’ infatti costante l’insegnamento di questa Corte, in tema di ammissibilità dei motivi di ricorso con i quali si denuncino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo cui "la parte che, in sede di ricorso per cassazione, lamenti vizi di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti ed alle risultanze processuale (cfr. Corte cass. 3^ sez. 24.1.2002 n. 849; id. 1^ sez. 23.7.2003 n. 11422).

4.5 Orbene quanto alla riscontrata regolarità formale delle registrazioni contabili, la irrilevanza della prova è chiaramente evidenziata dalla giurisprudenza di legittimità, richiamata sopra al precedente paragrafo 4.1 della motivazione, che ha puntualmente osservato come la corretta tenuta delle scritture obbligatorie sia del tutto compatibile con la fatturazione per operazione inesistenti, costituendo il necessario presupposto per consentire al cessionario/committente di portare in detrazione l’IVA applicata dalla società cartiera o fantasma.

4.6 Per quanto concerne la valenza probatoria da attribuire al decreto penale dì archiviazione, ferma la autonomia dei giudizi penale e tributario ( D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20) e la utilizzabilità in quest’ultimo, ai fini della valutazione probatoria, degli accertamenti compiuti nel giudizio penale e posti a fondamento del provvedimento giurisdizionale che lo ha definito, è appena il caso di osservare che la decisività dell’elemento di prova, richiesta dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – richiesta in funzione della autosufficienza del ricorso- transita non soltanto attraverso la specifica indicazione della prova o del documento (eventualmente mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte cass. sez. lav.

7.2.2011 n. 2966; id. 1^ sez. 13.11.2009 n. 24178; id. 3^ sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 25.5.2007 n. 12239) e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (cfr. Corte cass. 1 sez. 17.5.2006 n. 11501), ma soprattutto anche attraverso la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti/documenti -il cui esame si assume essere stato pretermesso dal Giudice di merito- in modo da rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte la rilevanza del vizio logico dedotto (cfr. Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6^ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1^ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. sez. lav.

21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388) Costituisce, infatti, massima consolidata di questa Corte che "il ricorso per cassazione – in ragione del principio di "autosufficienza" – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità, l’insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine dì consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte dì cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti e di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso -e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, inclusa la sentenza impugnata- di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti" (cfr. Corte cass. 3^ sez. 24.5.2006 n. 12362; id. 3^ sez. 28.6.2006 n. 14973; id. 1^ sez. 17.7.2007 n. 15952; id. sez. lav. 27.2.2009 n. 4849; id 2^ sez. 14.10.2010 n. 21224).

Nel caso di specie il ricorrente si è limitato a riportare nel ricorso soltanto il capo di imputazione con la indicazione dei reati contestati, difettando, in conseguenza, ogni ulteriore utile indicazione in ordine agli accertamenti in fatto compiuti dal Giudice penale e che hanno condotto alla archiviazione del procedimento (per insussistenza della condotta materiale, ovvero dell’elemento soggettivo del dolo), indicazione che risultava, invece, determinante, tenuto conto che nel giudizio tributario in cui si controverte sulla inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, il contribuente non può limitarsi ad invocare il giudicato penale di assoluzione per difetto dell’elemento soggettivo del reato (dolo), dovendo lo stesso, per far valere la propria buona fede, fornire altresì la prova della "assenza di colpa" in ordine alla ritenuta provenienza della merce dall’apparente cedente (cfr. Corte cass. 5^ sez. 9.6.2009 n. 13211 -che richiede la dimostrazione che la parte venditrice appariva -ex art. 1189 c.c.- legittimata a ricevere il pagamento dell’IVA "in base a circostanze univoche").

4.7 Prive di decisività sono altresì le sentenze tributane di merito favorevoli al ricorrente emesse in altri giudizi concernenti differenti periodi di imposta, in quanto, con riferimento alle parti motive di tali provvedimenti parzialmente trascritte nel ricorso per cassazione, vengono in evidenza soltanto i giudizi conclusivi espressi da quei Giudici di merito -rimanendo del tutto obliterati gli elementi di fatto dagli stessi considerati ed alla stregua dei quali sono state pronunciate le decisioni-, con la conseguenza che tali sentenze appaiono del tutto inidonee a costituire, sotto il profilo dimostrativo dei fatti da provare, idoneo metro di verifica della legittimità dell’impianto motivazionale posto a supporto della decisione impugnata.

4.8 Del tutto inconferente appare, inoltre, l’ulteriore elemento della accertata rispondenza dei dati emersi dalla verifica bancaria a quelli risultanti dalle scritture contabili, se non altro in quanto relativa a fatti gestionali riferiti a periodi successivi a quello in contestazione.

4.9 Quanto al vizio motivazionale dedotto con il primo motivo di ricorso, anche in relazione alla omessa regolarizzazione delle fatture emesse dalla società STEMACAR (aventi ad oggetto la cessione di accessori per autoveicoli), anche in tal caso la prova addotta dal ricorrente risulta priva del requisito della "decisività".

La trascrizione del passo relativo al verbale di constatazione redatto in data 8.5.2006 (cfr. ricorso pag. 38) dal quale emerge che i beni ceduti "si ritengono senz’altro rientranti nell’oggetto dell’attività esercitata dalla impresa verificata", da un lato appare inconferente, non essendo in contestazione la inerenza della spesa e la riferibilità all’oggetto della attività della impresa dell’acquisto di radio e di navigatori satellitari per auto;

dall’altro non evidenzia elementi di prova a favore del contribuente, non fornendo i verbalizzanti alcuna giustificazione alla omessa regolarizzazione della fattura emessa dalla società STEMACAR, essendosi limitati ad affermare che tali beni erano stati inviati alla ditta Alfino unitamente ad una seconda fornitura "in quanto i veicoli oggetto della prima fornitura erano sprovvisti dei richiamati dispositivi ed accessori", circostanza questa ex se del tutto inidonea a dimostrare l’assoggettamento ad IVA dell’acquisito di tali beni già al momento della prima fornitura (e dunque a dimostrare che il successivo invio dei dispositivi veniva a costituire un tardivo adempimento dell’originario contratto e non richiedeva emissione di nuova fattura).

5. Il secondo motivo con il quale il ricorrente censura la sentenza per extrapetizione e violazione del giudicato interno è fondato.

L’avviso di accertamento recuperava a maggiore imponibile ai fini IRPEF ed IRAP anche la somma di Euro 1.295,00 sostenuta per spese di viaggio in quanto indebitamente dedotta ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 ( T.U.I.R.).

Il Giudice di primo grado aveva accolto il ricorso del contribuente ritenendo illegittimo l’avviso in quanto tali costi non erano stati successivamente portati in deduzione nella dichiarazione dei redditi redatta dall’ A., e tale capo di sentenza -non essendo stato investito dal gravame dell’Ufficio finanziario- era passato pertanto in giudicato (cfr. ricorso pag. 12 e 13).

La sentenza di appello, riformando integralmente la decisione di prime cure, ha pronunciato oltre i limiti consentiti dal "quantum devolutum", investendo anche il capo della sentenza di primo grado, passato in giudicato per mancata impugnazione, concernente la illegittimità del recupero ad imponibile della somma di Euro 1.295,00.

La sentenza di appello, pertanto, in considerazione del rilevato giudicato interna sul capo in questione deve essere cassata senza rinvio "in parte qua" (cfr. Corte cass. 3^ sez. 31.7.2002 n. 11367;

id. 5^ sez. 3.12.2004 n. 22771).

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato quanto al primo motivo in relazione ad entrambe le censure prospettate, mentre deve essere accolto limitatamente al secondo motivo, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata relativamente al motivo accolto.

In considerazione dell’esito della lite sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso limitatamente al secondo motivo (rigettato il ricorso quanto al primo motivo in relazione ad entrambe le censure prospettate), cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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