Cass. civ. Sez. V, Sent., 01-06-2012, n. 8828 Detrazioni Esportazioni e importazioni Fatture Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 25.1.2010 n. 39 la Commissione tributaria della regione Molise rigettava l’appello proposto dall’Ufficio di Termoli della Agenzia delle Entrate annullando l’avviso di accertamento emesso nei confronti di Automare s.r.l. in liquidazione, società che esercita la rivendita di autoveicoli, per il recupero della imposta – pari ad Euro 106.348,00 – dovuta per l’anno 2000 in conseguenza della indebita applicazione dell’IVA sul margine di utile.

I Giudici territoriali rilevavano:

– che l’accertamento fiscale era scaturito da complesse indagini condotte dagli organi ispettivi anche presso la sede della società fornitrice in Belgio, essendo emerso dall’esame dei documenti ivi rinvenuti che tale società operava in regime IVA con aliquota allo 0%, e dunque con riferimento alle operazioni di cessione di veicoli usati acquistati da Automare s.r.l. non avrebbe potuto emettere fattura con annotazione della applicazione del regime del margine;

– che l’onere di accertamento delle irregolarità fiscali commesse dalla società belga non poteva tuttavia ricadere sul cessionario importatore in quanto non esisteva alcuna norma che attribuisse a quest’ultimo l’onere della verifica della attendibilità delle dichiarazioni degli operatori comunitari, attestanti la applicabilità del regime del margine, riportate nelle fatture emesse, non essendo peraltro emerso alcun ulteriore elemento che consentisse di ritenere la società cessionaria dei veicoli a conoscenza dell’operato illecito della società belga.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso – ritualmente notificato in data 2.12.2010 al difensore domiciliatario – la Agenzia delle Entrate deducendo con un unico motivo violazione di norme di diritto sostanziale.

Non si è costituita la società contribuente.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo la Agenzia ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, artt. da 36 a 40, conv. in L. n. 85 del 1995; D.L. n. 331 del 1993, art. 38, comma 4 e art. 47; D.P.R. n. 633/7, art. 21, 4, 25, 28 e 45, direttiva CEE n 77/79 e succ. mod., regolamento CEE n. 218/92, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Agenzia dopo un’ampia descrizione della normativa che disciplina il settore, perviene ad affermare che a seguito delle indagini svolte e delle informazioni trasmesse dall’organo ispettivo collaterale belga nelle attività di cooperazione, era emerso che mentre le fatture in possesso della società di importazione Automare s.r.l. recavano la annotazione "vendita soggiacente al regime particolare di imposizione del margine di Iva non deducibile1", le medesime fatture rinvenute presso la sede della società belga-cedente recavano, invece, la annotazione "VAT 0% – vehicule vendu sans paratie livraison intracomunatairè" e cioè che la compravendita era eseguita come operazione intracomunitaria assoggettata a regime fiscale ordinario ma con applicazione di IVA ad aliquota 0%. 2. Occorre premettere che il regime speciale c.d. del margine di utile disciplinato dall’art. 26 bis della VI Direttiva n 388/1977 del Consiglio in da 17.5.1977 (aggiunto dalla Direttiva n. 94/5/CE del Consiglio in data 14.2.1994, che ha ricevuto attuazione con il D.L. 23 febbraio 1994, n. 41, artt. 36 e 40, conv. in L. 22 marzo 1995, n. 85) si configura come "regime fiscale speciale", di natura derogatoria del regime ordinario IVA, avente carattere opzionale (essendo rimessa al contribuente la scelta di avvalersi del regime ordinario IVA o di quello speciale), e che, in quanto funzionale ad evitare il fenomeno della doppia imposizione (cfr. terzo considerando dir. CR n. 5 del 1994), assume come condizione indefettibile di applicabilità la indeducibilità dell’Iva versata "a monte" dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro (ovvero si rende necessario che il cedente abbia assolto l’IVA in modo definitivo, senza avere esercitato nè avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), dovendo in conseguenza il cedente, soggetto passivo di imposta comunitario, rispondere ad uno dei seguenti "requisiti soggettivi" individuati dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del 1995: 1 – soggetto che sia privato consumatore; 2 – soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente); 3 – soggetto che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro; 4 – soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.

Tali condizioni non sono venute meno con l’art. 2 della Direttiva 2001/15/CE del Consiglio in data 20.12.2001 (che ha modificato l’art. 28 novies paragr. 3 della citata VI direttiva sulla cifra di affari, e che ha ricevuto attuazione, soltanto tre anni dopo, con il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, art. 1, che ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21,) con il quale è stato introdotto l’obbligo di annotazione in fattura -in caso di applicazione del regime del margine di utile-dell’espresso riferimento agli arre. 26 o 26 bis della Dir. CE n. 388/1977 ovvero "alle corrispondenti disposizioni nazionali", o ancora della specificazione "di altre informazioni che indichino che è stato applicato il regime di margine di utile", atteso che la regolarità formale della fattura recante tali annotazioni, se assolve ad una esigenza di chiarezza e trasparenza nel rapporto tributario, non può evidentemente surrogarsi ai presupposti di fatto e diritto che la legge richiede per l’applicabilità del regime fiscale derogatorio.

3. Tanto premesso occorre richiamare i principi di diritto espressi in subiecta materia da questa Corte il regime c.d. del margine rappresenta un regime "speciale" rispetto all’ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari (tanto è che il soggetto passivo può optare, in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari, ove intenda portare in detrazione l’IVA assolta: D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 3): pertanto è onere del contribuente provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 31.1.2011 n. 2227, in motivazione).

– il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime "de quo", indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 31.1.2011 n. 2227).

– non vale allegare la estrema gravosità dell’onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando "nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicchè va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione" (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 12.2.2010 n. 3427, in motivazione).

Pertanto il "rischio fiscale" della operazione intracomunitari a, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti (nella specie per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari – cedenti), ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore ("diligentia viri eiusdem generis ac professionis").

L’onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia con il principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l’operatore commerciale – proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto la cui condizione soggettiva legittima il contribuente a fruire del regime fiscale speciale – in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di legge rispetto a quello effettuato soltanto ex post dalla Amministrazione finanziaria; sia con la interpretazione del sistema del tributo armonizzato che le sentenze della Corte di giustizia della Unione Europea, richiamate nella decisione del Giudice di appello, hanno fornito in relazione ad ipotesi di frode commesse nella catena delle operazioni commerciali da soggetti diversi dal contribuente: l’affermazione secondo cui il soggetto passivo d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di agire in frode alla applicazione dell’IVA, è mediata infatti nelle pronunce della Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che detto contribuente "non aveva o non doveva avere conoscenza" della frode (cfr. Corte giustizia CE 3^ sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), il che è a dire che soltanto "gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode", possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni: un soggetto che "sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA" non può evidentemente allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE 6.7.2006 in cause rinite C-439/04 e C- 440/04).

4. La questione di diritto sottoposta all’esame della Corte può essere dunque risolta, alla stregua degli indicati principi di diritto, con l’accoglimento del ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate, essendo incorsa in errore di diritto la CTR molisana laddove, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, da un lato, ha ritenuto che la applicazione in favore del cessionario del regime fiscale speciale richiedesse quale unica condizione la regolarità formale della fattura emessa dal cedente, con ciò attribuendo al documento contabile una efficacia probatoria di cui è privo (trattandosi di una mera dichiarazione con la quale si attesta che il cedente ha applicato a sua volta nel Paese membro in cui ha sede il regime del margine, senza alcuna specificazione dei presupposti giustificativi della applicazione di tale regime fiscale); dall’altro ha ritenuto che, pure a fronte della oggettiva difformità tra la documentazione rinvenuta presso la sede della società-cedente attestante la inesistenza dei presupposti applicativi del regime fiscale speciale del margine di utile (sulla copia delle fatture emesse nei confronti di Automare s.r.l., rinvenute presso la sede della società belga-cedente, risultava annotato che trattavasi di operazione intracomunitaria tra soggetti passivi IVA) e la dichiarazione di fruizione del regime del margine di utile apposta sulle fatture in possesso della cessionaria Automare s.r.l., fosse la PA a dover fornire la ulteriore prova della insussistenza del presupposto richiesto dalla legge (indetraibilità dell’IVA a monte). Deve infatti ribadirsi, dando seguito alla giurisprudenza di questa Corte, che la mera annotazione apposta in fattura della applicazione dell’IVA sul margine di utile non esonera il contribuente dalla prova dei fatti che legittimano la fruizione del regime fiscale speciale, le volte in cui la contestazione della Amministrazione finanziaria trovi fondamento in elementi oggettivi (quali – nel caso di specie – le copie delle medesime fatture recanti la indicazione che trattasi di operazioni intracomunitarie assoggettate al regime IVA ordinario) che smentiscano o comunque privino di attendibilità le indicazioni (relative alla indetraibilità della imposta corrisposta nell’acquisto a monte) contenute nella fattura emessa nei confronti della società cessionaria, determinandosi in tal caso una inversione dell’"onus probandi" a carico del contribuente tenuto a fornire idonea giustificazione della difformità riscontrata sui documenti contabili della cedente e della cessionaria nonchè a dimostrare la sussistenza delle condizioni di fruibilità del regime del margine di utile del quale intende avvalersi.

5. In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessario procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la Corte può decidere al causa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo e la condanna della società resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo, dichiarate interamente compensate tra le parti le spese dei gradi merito.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente che condanna alla rifusione del spese del presente giudizio liquidate in Euro 5.000,0 per onorari oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, dichiarate interamente compensate tra le parti le spese relative ai precedenti gradi di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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